giovedì 29 maggio 2014

alcune considerazioni sui risultati delle elezioni

Forse la sto prendendo un po’ troppo “larga”, ma parlare di Europa senza prima inquadrare il continente all’interno delle recenti dinamiche mondiali è limitante.
La tendenza mondiale –molto sinteticamente- è la seguente: negli ultimi anni stanno sempre più emergendo i paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) a livello economico, ma sempre più anche politico.
Gli Stati Uniti si trovano in grave difficoltà di fronte a tale ascesa e tentano quantomeno di legare a sé il più possibile i paesi europei, staccandoli soprattutto dalle relazioni con la Russia. Contro la quale gli USA stanno praticando una politica decisamente aggressiva, anche se in modo (neanche tanto) indiretto (vedi Libia, Siria e soprattutto Ucraina). Agli americani conviene, agli europei decisamente meno, dato che un deterioramento serio dei rapporti con la Russia, avrebbe ripercussioni economiche gravi per i paesi dell’UE (Italia compresa), già alle prese con una pesante crisi economica.

L’Europa, infatti, si trova, per la prima volta da secoli, in una fase di declino economico, politico, culturale e morale.
La crisi economica è da attribuire al meccanismo di funzionamento del capitalismo (vedi Marx). Il problema è che le scelte dell’Unione Europea –e in modo particolare dei paesi che hanno aderito all’euro- sono le peggiori che possano essere fatte in un contesto di crisi: riduzione del debito pubblico, attraverso pesanti tagli al salario, alle pensioni, alla sanità, ecc. (che naturalmente vanno ad incidere soprattutto, se non esclusivamente, sui lavoratori e sui ceti popolari). Così la crisi si alimenta e si aggrava come un circolo vizioso.
L’unico paese che ne sta uscendo economicamente bene è la Germania, e proprio grazie all’euro e alle politiche di cui sopra (fiscal compact). In pratica, sta facendo pagare la sua floridità ai paesi deboli (Grecia, Italia, Portogallo, Spagna, Irlanda, ecc.).

Detto ciò, il comportamento elettorale degli europei riflette nel complesso tale stato di crisi e di decadenza. Comportamento che si esprime in modi diversi e contraddittori: dalla sfiducia (astensionismo, che a livello europeo non è aumentato, ma rimane elevatissimo), alla contrarietà, o quantomeno allo scetticismo nei confronti dell’Europa, da intendersi non come rifiuto dell’Europa unita in sé, quanto come rigetto delle politiche economiche dominanti nel continente.
Il dissenso (o euroscetticismo) è in netta crescita dappertutto.
Curiosamente l’unico paese dove le forze centriste e filo-UE tengono è, guarda caso, la Germania, ossia, l’unico paese che dall’introduzione della moneta comune ci ha guadagnato. Ma persino lì l’euroscetticismo è in leggera crescita (sull’Italia ritornerò più avanti).
Per il resto avanzano in modo notevole i partiti in diversi modi critici verso l’UE e verso l’euro.

Il cosiddetto “euroscetticismo” (termine ovviamente riduttivo) presenta –semplificando- due facce: quella di destra, che magari parte da un atteggiamento critico anche legittimo, ma che sfocia sostanzialmente ad una reazione di tipo nazional-egoista (stile: pensiamo a salvarci noi, degli altri poco ci importa). Il successo di questa opzione è particolarmente netto in Francia, in Gran Bretagna, in Austria e anche altrove.
E poi c’è la crescita delle forze di sinistra (cosiddetta “radicale”; ossia, quella che difende i ceti popolari e non il capitale finanziario). Crescita molto consistente in Grecia (dove Syriza è addirittura il primo partito), in Portogallo, in Spagna e in Irlanda –i paesi più colpiti dalle misure di austerità imposte dall’Europa- ma anche nell’insospettabile Belgio, nella Repubblica Ceca e altrove.
Infatti il GUE/NGL passa da 35 a 49 deputati.

 

E veniamo all’Italia. Chi ha vinto?
Sicuramente l’astensionismo. Ossia, la sfiducia, la rassegnazione. Che implica, nella maggior parte dei casi, un’insoddisfazione di fondo.
Poi, contrariamente alle previsioni (anche mie), il M5S non ha sfondato. Ma il 20% rappresenta comunque un risultato notevole per una forza politica relativamente giovane (Beppe Grillo a parte) e che gestisce poco potere.
Non mi dilungo sui limiti di tale “movimento”, dato che ne ho già ampiamente trattato. Mi limito ad osservare che nella Parma di Pizzarotti il M5S ha ottenuto un risultato in linea con l’Emilia Romagna e con quello nazionale, segno che Pizzarotti non ha entusiasmato granché e che un conto è opporsi, urlare e criticare, un altro è governare.

Il 40% del PD di Renzi può essere considerato un risultato storico?
Direi proprio di no. In termini assoluti il PCI (e taccio sulla DC) riuscì ad ottenere nelle politiche del 1976 un milione e mezzo di votanti in più, laddove gli elettori erano 40 milioni, invece dei 49 milioni di oggi. Cioè, calcolando il consenso reale -ossia, sul totale degli elettori- quello del PCI del 1976 era del 31,2%, mentre quello del PD di Renzi è del 22,7%, quasi 10 punti in meno. A ciò andrebbe aggiunto il fatto che almeno ¾ di quei voti erano stabili, ossia il cosiddetto “zoccolo duro”. Quanti dei voti ottenuti dal PD di oggi si possono considerare tali?
Il fatto è che Renzi è arrivato da pochi mesi e difficilmente l’elettorato è in grado di dare un giudizio adeguato. Finora l’indubbio consenso dell’ex sindaco di Firenze è stato dovuto soprattutto ad aspetti esteriori e propagandistici (giovane, dinamico, apparentemente estraneo al vecchio apparato, senza contare la faccenda degli 80 euro).
Inoltre i voti del PCI di allora rappresentavano in toto un popolo progressista, mentre quelli del PD (che indubbiamente ha preso voti dal PdL e soprattutto da Scelta Civica) sono in gran parte voti conservatori.

La Lista Tsipras.
Personalmente, tenendo conto il contesto difficilissimo per la sinistra alternativa, sono soddisfatto del 4,03%.
Ho sentito non poche critiche “da sinistra” rispetto ai risultati di tale lista. Critiche nelle quali si sottolinea la perdita di quasi la metà dei voti in termini assoluti, rispetto al risultato della Federazione della Sinistra e di Sel del 2009 messe assieme.
Un tale paragone è, a mio avviso, improponibile e fuorviante. Primo, perché la FdS nel frattempo è stata distrutta, causando l’ennesima emorragia di voti, chiaramente visibile nei risultati di Rivoluzione Civile dello scorso anno. A ciò si aggiunge il fatto che il PdCI è rimasto sostanzialmente estraneo a tale lista. Secondo, perché la stessa Sel era divisa e tutto lascia pensare che una parte di essa abbia boicottato la Lista Tsipras.
Insomma, tenuto conto che numerosi comunisti e persone di sinistra hanno preferito non votarla, la Lista Tsipras ha ottenuto un risultato discreto e che in questa difficilissima fase rappresenta una boccata d’ossigeno.

domenica 18 maggio 2014

Perchè voterò la Lista Tsipras

Il 25 maggio si terranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo.
Prima di effettuare una scelta vanno fatte alcune considerazioni su che tipo di Europa vogliamo, soprattutto alla luce delle recenti politiche di tagli e di austerità.

Il giudizio da dare, non tanto all’Unione Europea, quanto alla zona euro (le due cose non coincidono, e infatti, come è noto, ci sono paesi aderenti all’Unione Europea, i quali hanno tuttavia mantenuto la loro valuta) è sicuramente negativo.
Le politiche di massacro sociale (austerity) che la Banca Centrale Europea (BCE) sta imponendo ai paesi più deboli sono precisamente una conseguenza di come è stata impostata la valuta comune, oltre che del fiscal compact (obbligo di dimezzamento del debito pubblico). L’euro è stato concepito per dare i massimi profitti alle banche (che si stanno arricchendo enormemente in questi anni) e alle multinazionali, mentre si rivela, invece, un vero e proprio grimaldello per attaccare i salari e scardinare tutto il sistema di protezione sociale, dalla sanità, alla scuola pubblica, alle pensioni, ecc.

La miseria che sta ritornando alla grande soprattutto in Grecia, ma sempre più anche in Italia e in altri paesi è una precisa conseguenza delle politiche economiche europee e di come è stato impostato l’euro.
Va da sé che una scelta saggia NON può essere indirizzata verso quei partiti che fanno capo alle forze europee che più convintamente appoggiano tali politiche nefaste, dunque il Partito Popolare Europeo (PPE) e il Partito Socialista Europeo (PSE).

Un’altra questione sicuramente da tenere presente è quella dell’Ucraina, sulla quale non mi soffermo, avendone già trattato nel mio precedente articolo.

Per quanto riguarda le elezioni per il Parlamento Europeo, andrebbe fatto anche un ragionamento sul ruolo di tale parlamento. Un ruolo purtroppo secondario: le decisioni più importanti sulle politiche economiche vengono prese dalla Commissione Europea e dalla BCE, i quali NON vengono eletti dai cittadini (tanto perché viviamo nell'Occidente 'democratico').
Ma, ciononostante votare per il Parlamento Europeo ha la sua importanza, specialmente se si intende portare avanti una battaglia per mettere in discussione le politiche liberiste e dell’austerity, oggi dominanti e che tanti danni stanno facendo.
Parlamento Europeo, infatti, significa quantomeno enorme visibilità.

 

Ora la questione è: per chi votare?
Beh, va da sé che –per chi condivide gli argomenti di cui sopra- occorre votare una di quelle liste che si battono contro le attuali politiche europee.
In Italia sono grosso modo 4: la Lista Tsipras, il Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia e la Lega Nord.

Ora, Fratelli d’Italia, per quanto critichi giustamente le politiche europee, che favoriscono la Germania a danno di altri paesi, mi pare, però, che non riesca ad andare al di là della riproposizione di un generico nazionalismo, senza affrontare alcuni problemi economici e politici di fondo. Discorso simile va fatto per la Lega, molto incentrata sulla difesa territoriale e sostanzialmente basta.
Entrambe le formazioni, poi, ripropongono per l’ennesima volta la solita guerra tra poveri contro gli immigrati, la quale non può che favorire i ceti ricchi e parassitari, a danno di quelli popolari (autoctoni compresi).

Il M5S si dichiara anch’esso contro le politiche europee dell’austerity e il suo programma (7 punti) è molto buono, anche se stranamente quasi identico a quelli di Rifondazione e del PdCI. Ma, al di là dei soliti proclami “rivoluzionari”, la sua strategia concreta non è affatto chiara: con quale gruppo si schiereranno in Europa? Presumibilmente con nessuno, e quindi staranno da soli. Ma se in Italia con cento e passa deputati non sono –a distanza di oltre un anno- ancora riusciti a stravolgere granché, che cosa potranno fare in Europa, con una ventina di deputati?
Di concreto praticamente nulla. Faranno le loro solite azioni teatrali (aspettiamoci diversi “show”; sono la loro specialità), ma ci sarà qualche altro europeo disposto a prenderli sul serio?

Rimane la Lista Tsipras.
La quale, lo dico francamente, NON mi entusiasma. Intanto perché è troppo eterogenea. E troppa eterogeneità non va bene, soprattutto quando ci sono questioni cruciali, come le politiche europee che stanno massacrando i diritti dei popoli, e sulle quali andrebbe presa una posizione netta (purtroppo non tutti i candidati della lista andranno nel gruppo del GUE/NGL, qualcuno andrà nel PSE).
Ma la Lista Tsipras rimane anche l’unica in cui ci sono dei buoni candidati, che andranno sicuramente nel GUE (essenzialmente quelli di Rifondazione Comunista). E sono proprio questi quelli che secondo me, vanno votati.

mercoledì 7 maggio 2014

In Ucraina si rasenta il genocidio. E l'Occidente guarda compiaciuto...

L’intervento militare repressivo del governo golpista ucraino contro la popolazione ribelle si sta rivelando un brutale massacro. Centinaia di civili, in gran parte disarmati, sono stati uccisi dall’esercito, coadiuvato da bande di neo-nazisti dichiarati.
L’atto più grave (almeno sinora) è sicuramente quello accaduto a Odessa: bande di nazisti, armate di tutto punto, sono arrivate nella città da fuori e hanno terrorizzato la popolazione.
Decine di persone disarmate hanno cercato di trovare rifugio nella locale sede sindacale, ma il gruppo paramilitare di estrema destra “Pravy Sektor” è arrivato a dar fuoco all’edificio, con la gente dentro. Molti sono morti carbonizzati e altri buttandosi giù disperatamente dalle finestre. Chi riusciva a scappare dall’edificio veniva poi selvaggiamente picchiato e bastonato dalle bande criminali.
 

Il problema è che queste bande criminali di estrema destra –che, neanche a dirlo, la stanno passando liscia- sono appoggiate dalla stessa giunta golpista. La quale è a sua volta appoggiata dagli Stati Uniti, in funzione anti-russa.
Anche i paesi europei, contrariamente ai loro interessi, appoggiano tale governo. Perché?
Semplice: per suddittanza nei confronti della loro madrepatria, cioè, gli Stati Uniti.

Il colpo di Stato ucraino, appoggiato in vari modi dall’Occidente (esponenti dei governi europei e statunitensi, tra cui il senatore Mc Cain, si sono ripetutamente recati in Piazza Maidan ad incitare alla rivolta; un’intromissione senza precedenti) non è avvenuto per caso: è, almeno in parte, la conseguenza del fallito tentativo di scalzare il governo di Assad in Siria. Fallimento dovuto –lo ricordiamo- proprio al fatto che la Russia si era opposta ad un intervento militare della NATO nel paese mediorientale.

Ma ovviamente non è solo una questione di vendetta: c’è, intanto, anche un interesse geo-strategico.
L’obbiettivo è quello di far diventare l’Ucraina un paese della NATO -e quindi direttamente controllato dagli USA- per poter così subito installare i missili nucleari a poche centinaia di chilometri da Mosca.
 
Ma c’è un’altra questione ancora più importante (e collegata alle precedenti): il gas russo.
Non so quanti di voi hanno chiaro in che misura l’Europa sia energeticamente dipendente dal gas russo. E ciò non può che costituire una spina nel fianco degli americani, che ovviamente vorrebbero portare gli Stati europei ad una condizione di dipendenza totale da essa.
Quindi scopo degli americani è quello di sganciare l’Europa dalla Russia e renderla completamente suddita.
Ciò comporterà per noi dei problemi immensi: se la Russia dovesse “chiudere i rubinetti” aspettiamoci, nei prossimi anni, fortissimi aumenti dei prezzi di qualsiasi genere. Inoltre dovremo probabilmente accollarci le spese per il rifornimento del gas in Ucraina (dato che lo Stato ucraino è sull’orlo della bancarotta e se continua a non pagare Mosca gli chiude i rubinetti).

E c’è un’altra questione ancora, anch’essa strettamente connessa alle altre.
Il contesto economico mondiale attuale vede la Cina prossima a diventare la prima economia mondiale, scalzando gli Stati Uniti, i quali detenevano tale primato dal 1872 (lo sostiene il Financial Times). A ciò va aggiunto che il gigante asiatico detiene gran parte del debito americano.
A livello economico (ma anche politico) la Cina sta stringendo rapporti sempre più stretti con molti paesi, e in modo particolare con i paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica).
Uno degli obbiettivi su cui stanno lavorando questi paesi è quello di scalzare il dollaro come moneta mondiale e sostituirlo con un paniere di monete di diverse nazioni.
Inutile aggiungere come tale prospettiva sia fumo negli occhi degli Stati Uniti, che perderebbero enormi privilegi economici che oggi derivano proprio dalla natura di moneta mondiale del dollaro.

Tutto ciò sta dietro le brutali violenze in Ucraina. E’ un peccato che la nostra (dis) informazione sia totalmente asservita agli interessi forti e in ultima analisi agli USA e che, anche per questo motivo, in Italia (e in tutta Europa) non si stia sviluppando un movimento per la pace proprio ora che ce ne sarebbe più bisogno.
E’ difficile, infatti, prevedere il corso dei futuri eventi. Ma, certo, l’Ucraina non è lontana come l’Afghanistan o l’Iraq. Fa parte dell’Europa. E le tensioni, si sa, ci mettono poco ad allargarsi.

giovedì 24 aprile 2014

In Italia è sempre più politica-bluff

La carriera politica di Matteo Renzi è stata costellata da una serie di dichiarazioni, diciamo così, “spettacolari”, scenografiche, puntando spesso sull’esagerazione. Insomma, chiamiamole pure “sparate”.
Ad esempio quella sulla “rottamazione”. Ma ce ne sono state ben altre.

Verrebbe da rimpiangere la Prima Repubblica.
Non che anche allora non ci fossero una serie di storture (e anche qualche “sparata” di troppo): basti pensare che è stata gestita soprattutto dalla Democrazia Cristiana!
Ma durante i decenni dal 1945 al ’90 la politica italiana, o almeno quella visibile al grande pubblico, aveva un minimo di serietà. La demagogia, le dichiarazioni altisonanti, roboanti, i bluff erano un fenomeno assai più contenuto di quello che sono oggi.

A partire dagli anni ’90 in Italia si è avuta una vera e propria esplosione della politica-spettacolo.
E abbiamo avuto un grandissimo maestro in ciò: Silvio Berlusconi.
Con i suoi slogan quali “un milione di posti di lavoro” (ricordate?), “meno tasse per tutti”, e tanti altri che nemmeno ricordo, si può dire che ha fatto scuola.

D’altronde l’Italia –che rimane pur sempre una semi-colonia degli USA- non poteva rimanere immune dalle cattive abitudini d’oltreoceano.
Lì abbiamo avuto le “guerre stellari” di Reagan (un parziale bluff, almeno per come era stato presentato il progetto). Poi la “lotta al terrorismo”, soprattutto con Bush junior. Grandissimo bluff, dato che gli Stati Uniti –attraverso la CIA- hanno e mantengono fortissimi legami con quasi tutti i più grandi e pericolosi gruppi terroristici mondiali (Al Qaeda compreso), non di rado finanziandoli, appoggiandoli e utilizzandoli per i loro scopi imperialistici (vedi gli estremisti islamici in Libia e Siria o i nazifascisti in Ucraina, con la benedizione dell’Europa, o gruppi terroristi contro Cuba e i paesi dell’America Latina che si vogliono emancipare dal dominio USA).

Anche Obama in quanto a bluff non è stato da meno.
Basti pensare che i 10 punti programmatici che aveva sbandierato durante la campagna elettorale del 2008 (quella che lo ha visto vincere la prima volta) sono poi rimasti tutti lettera morta una volta che si è insediato alla Casa Bianca (la stessa “riforma sanitaria” in realtà si è tradotta sostanzialmente in un’elargizione economica alle grandi compagnie assicurative, affinché assistessero anche la fascia più debole della popolazione; cosa ben diversa da una “riforma sanitaria”).

Ma torniamo in Italia.
Se Berlusconi ha imperversato per anni e anni con la sua politica-show (e bluff), ora è la volta del Partito Democratico.
Renzi parla di dare un bonus di 80 Euro sulla busta-paga. Forse sarà proprio così. Eppure questa cosa puzza un po’ di bluff.
Sorgono infatti almeno 2 questioni: la prima è che un’enorme percentuale di lavoratori (soprattutto giovani) non hanno un contratto stabile e spesso lavorano saltuariamente. Saranno beneficiati anch’essi dal bonus? E come la mettiamo con i disoccupati (e i pensionati, i quali oggi spesso mantengono figli e nipoti)?

La seconda questione è che questi soldi in più dovranno arrivare da qualche parte.
Ora, dal momento che in Italia nessuno si azzarda a voler racimolare i soldi laddove ce ne sono e in grande abbondanza (grandi patrimoni, rendite, capitale finanziario, ecc), dove prenderà Renzi queste risorse? Probabilmente ci saranno dei tagli “nascosti” a servizi come la sanità, la scuola, ecc.
Anche perché (altro bluff) la dichiarazione che l’Italia ridurrà le spese per l’acquisto degli F35 sembra decaduta dopo che il nostro padrone (cioè, il Presidente degli Stati Uniti) è venuto a far visita alla sua colon…ehm…in Italia qualche settimana fa.

Anche il “job act” è stato tanto proclamato, ma al momento la sua definitiva approvazione sembra essersi arenata.

E il Movimento 5 Stelle?
Forse è ancora prematuro dare un giudizio definitivo, ma certo, anche qui le premesse non sono molto incoraggianti: una forza politica nata da un personaggio mass-mediatico per eccellenza –e Beppe Grillo è indubbiamente eccezionale, in quanto a capacità comunicative (e a “sparate”) - sembra tagliata apposta per la politica-spettacolo. E in effetti il M5S ha molto di “scenografico”.
Ma già emergono le prime crepe: ogni tanto qualche deputato o consigliere entra in contrasto col capo, e persino l’unico sindaco pentastellato di una città di medie dimensioni (Pizzarotti a Parma) sta deludendo le aspettative degli stessi “grillini” (doveva chiudere l’inceneritore e non l’ha fatto).

Insomma, l’Italia in politica (e non solo…) sta prendendo veramente una bruttissima piega. Si riuscirà prima o poi ad uscire fuori da una logica di politica-bluff?
Questo dipende anche da noi: più diamo credito alle “sparate” e più le alimentiamo.

venerdì 28 marzo 2014

Italia: inefficienze, corruzione, illegalità. Da che dipende?

Molti di voi si saranno chiesti -io tantissime volte- come mai in Italia, e specialmente nel Centro-Sud, i servizi, la gestione politica, e un po' tutto quanto, funzioni spesso così male. Le inefficienze, i disservizi, le carenze, il pressappochismo, i tempi a volte lunghissimi, i lavori interrotti, ecc. ecc. Tutto ciò colpisce chiunque abbia una certa conoscenza dei paesi europei, dove tutto sembra funzionare meglio che da noi e dove maggiore è l'organizzazione e la puntualità.
A ciò si aggiunge che nel nostro paese l'illegalità è diffusissima, a partire dall'evasione fiscale, poi l'abusivismo, il lavoro nero, e il controllo spesso latita.
E poi abbiamo le grandi organizzazioni mafiose, fenomeno che non ha eguali, quantomeno in Europa e nel mondo occidentale.
Perchè tutto ciò?

La prima risposta che di solito si sente è quella per cui il problema risiederebbe nella "casta" politica italiana, particolarmente ladra e corrotta. Ma questa risposta non fa che spostare la domanda: perchè nel Bel Paese abbiamo tale ceto politico e da altre parti no? (in realtà, il ceto politico, lungi dal "plasmare" la società, ne è semmai molto più plasmato).

Un'altra risposta chiama in causa le caratteristiche mediterranee (o levantine) che avrebbero gli italiani e soprattutto i romani e i meridionali.
Ma anche questo discorso non regge: basta farsi un giro a Madrid o a Barcellona, e perfino a Lisbona, per notare strutture e servizi di una modernità e di un'efficienza, che Roma non si sogna neanche lontanamente. E non regge anche per un altro motivo: pure nella stessa Italia e anche nel Sud ci sono diverse eccezioni alla regola del malfunzionamento e della corruzione. Esistono ambiti dove le cose si riescono a far funzionare egregiamente, anche se purtroppo si tratta di situazioni limitate.
E allora da che dipende tutta questa inefficienza, quest'illegalità, questo pressapochismo e lentezza che abbiamo nel nostro paese?

Per abbozzare una risposta occorre, secondo me, andare a vedere quali paesi hanno tali caratteristiche, e a volte anche peggiori di noi.
Ebbene, corruzione, inefficienza, illegalità, sono fenomeni tipici dei paesi ex colonizzati, e che, nonostante la loro attuale indipendenza formale, mantengono, però in grande maggioranza una fortissima subalternità –di fatto- nei confronti della loro ex madrepatria (o di chi l'ha sostituita, di solito gli USA). Una subalternità soprattutto economica, ma in ultima analisi anche politica e spesso pure culturale.

Il "meccanismo" del paese colonizzato è -in soldoni- questo: io madrepatria mantengo il paese xy in condizione subalterna, dato che mi interessano le risorse del luogo, e/o intendo conquistarne il mercato (per vendere i prodotti del mio paese) e, inoltre, mi conviene sfruttare la manodopera locale a bassissimo costo.
Per ottenere tale risultato, non è necessario che il paese colonizzato sviluppi una sua efficienza, nè tantomeno una classe dirigente capace e progredita. Al contrario: i dirigenti locali devono esprimere subalternità, affidabilità, per non dire servilismo, e quindi devono essere un ceto "debole", nonché facilmente corruttibile.
Inoltre, per me (madrepatria) è assolutamente vitale che in tale paese non si sviluppi un'economia forte, nè infrastrutture o servizi efficienti (tranne, ovviamente, quelli che mi permettono di sfruttare le sue risorse).
E perfino la stessa illegalità diffusa gioca sempre a mio favore.

Dunque, ceto politico corrotto, e quindi debole, servizi e infrastrutture scarse e poco efficienti, illegalità diffusa e un'economia locale debole sono le caratteristiche tipiche dei paesi colonizzati o semi-colonizzati, o comunque subalterni.
Cosa centra in tutto ciò l'Italia, paese indipendente e "forte" (al punto da far parte del G8)?
Centra.

Il Bel Paese ha intanto una caratteristica che la rende unica (almeno in Europa): quella di comprendere al suo interno una zona con caratteristiche tipiche di un paese imperialista (Centro-Nord, e soprattutto il triangolo industriale Torino-Milano-Genova) e altre zone arretrate e paragonabili ai paesi subalterni (Centro-Sud).
In effetti, l'unificazione italiana nell'800 è stata, a ben vedere, una vera e propria colonizzazione del Centro-Sud da parte del Piemonte. Mentre nel Centro-Nord e soprattutto nel Nord-Ovest è emersa una classe dirigente industriale e politica liberale, nel Mezzogiorno i ceti dominanti erano agrari e poi sempre più politico-clientelari.

Dunque, sotto molti aspetti, il Sud è stato una semi-colonia del Nord. Caratteristica, questa, che è rimasta sostanzialmente immutata nel corso del '900 e fino ai giorni nostri.
E qui ci viene incontro l'analisi che fece Antonio Gramsci, nelle Tesi di Lione: "La grande industria del Nord adempie verso di esse [le popolazioni lavoratrici del Mezzogiorno] la funzione delle metropoli capitalistiche: i grandi proprietari di terre e la stessa media borghesia meridionale si pongono invece nella situazione delle categorie che nelle colonie si alleano alla metropoli per mantenere soggetta la massa del popolo che lavora." (Marx chiamerebbe questi ceti la "borghesia compradora").

L'Italia, inoltre, è, dal dopoguerra, in uno stato di subalternità politico-militare nei confronti degli Stati Uniti. Decine di basi militari della NATO (in ultima analisi americane) non possono non condizionare la politica italiana, anche grazie a strutture segrete, come è stata la "Stay Behind" (Gladio).
Certo, in questo caso siamo in buona compagnia, dato che un po' tutta l'Europa -chi più chi meno- condivide tale condizione.

Economicamente lo Stivale ha avuto un ruolo significativo nei decenni scorsi, tanto da far parte del G8. Ma tale ruolo ora è in netto declino e siamo sempre più subalterni soprattutto alla Germania. Ciò è dovuto da una parte ai limiti intrinseci della nostra struttura produttiva e dall'altra parte al modo come è stata concepita l'Unione Europea, ossia, con criteri ultra-liberistici e che mirano a salvaguardare in pratica solo gli stratosferici interessi delle banche e del capitale finanziario, a discapito delle popolazioni.
Anche qui, è evidente, siamo in buona compagnia (Grecia, Spagna, Portogallo, ecc.).
Tra l'altro non è vero ciò che sostiene Confindustria, ossia, che i nostri problemi economici deriverebbero dall'elevato costo del lavoro o dall'eccessiva tutela della forza-lavoro (sono in forte crisi -e spesso chiudono- pure le aziende che adoperano prevalentemente lavoratori precari, sottopagati e senza diritti). E' il "nanismo industriale", ossia, la proliferazione delle piccole-medie imprese, che stiamo pagando, di fronte ad una concorrenza straniera molto più agguerrita (soprattutto in termini di investimenti, che in Italia scarseggiano).

Infine l'Italia ha una posizione di subalternità nei confronti di quello che si può considerare a tutti gli effetti una potenza straniera, ossia, il Vaticano.
In nessun paese la Chiesa Cattolica esercita un potere ed un'influenza così massiccia e capillare come da noi. E anche a livello economico, le risorse che ci risucchia la Chiesa sono veramente enormi (già solo per il fatto che le sue attività commerciali non vengono tassate).
La Chiesa, inoltre, disponendo di scuole, ospedali e un'infinità di strutture (a pagamento) ha tutto l'interesse a che gli stessi servizi pubblici funzionino male. E questo spiega in parte, secondo me, molte delle carenze e dei disservizi che ci sono in Italia, e in modo particolare a Roma.

 

L'amministrazione di un paese come l'Italia, dunque, con almeno tre "madrepatrie" a cui rendere conto, e per giunta "colonizzata" anche al suo stesso interno (Nord-Sud) è talmente complessa e delicata, che ha finito giocoforza per svilupparsi una borghesia di tipo "compradora" (corrotta, clientelistica, poco propensa alla legalità, ecc.), assieme ad una borghesia capitalistico-industriale e oggi sempre più finanziaria. Questa seconda borghesia è sostanzialmente concentrata al Centro-Nord del paese.

Inutile dire che tutta la retorica sul „ceto politico“ corrotto non porta a niente. E nemmeno quella sui partiti: il neo-colonialismo si regge tranquillamente sulle dittature, come s’è visto in molti paesi del mondo.
I tagli alle spese politiche ci saranno -a prescindere dalle sparate di Beppe Grillo- su questo possiamo stare tranquilli. Ma ciò non cambierà di una virgola le numerose carenze e inefficienze che imperversano nel nostro paese.
Le cose potrebbero in teoria migliorare se da noi emergesse una borghesia imprenditoriale seria, intraprendente e lungimirante. Ma al momento non se ne vede nemmeno l’ombra.
E allora rimane solo la lotta dei ceti popolari, che, dopo decenni di sostanziale latitanza, dovrà necessariamente riemergere.

sabato 1 marzo 2014

Ucraina, ma quale rivoluzione...è guerra!

Già anni fa, nel 2004, in Ucraina c’era stata la cosiddetta “rivoluzione arancione”, che portò al potere Victor Juscenko, filo-occidentale.
Che tale “rivoluzione” non fosse stata proprio del tutto spontanea (ma foraggiata dall’Occidente) divenne evidente alle elezioni successive, nel 2006, quando Juscenko venne sconfitto e vinse Yanukovich.
Ma da allora molte cose sono cambiate. Non tanto in Ucraina, quanto a livello mondiale.

Se nei primi anni 2000 gli Stati Uniti esercitavano ancora una forte egemonia politico-economico-militare sul resto del mondo, oggi tale egemonia sta per essere via via sempre più ridimensionata.
L’affermazione dei paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), e in modo particolare della Cina, la crescente emancipazione dell’America Latina dagli USA, il fallimento del tentativo americano di controllare completamente il Medio Oriente, stanno mutando i rapporti di forza a livello mondiale a sfavore degli Stati Uniti.
A questo si aggiunge la forte crisi economica, che sta devastando l’Europa e creando seri problemi anche oltreoceano (ma ciò accade perché la si sta gestendo nel peggiore dei modi possibili: inasprendo le politiche liberiste).

Ma l’Occidente (USA in testa, come al solito), incapace di affrontare i problemi relativi alla crisi economica e di egemonia, in modo pacifico, razionale e accorto, non trova di meglio che alimentare e rinfocolare le tensioni, spingendo sempre più insistentemente verso un conflitto bellico.

Falliti gli interventi militari diretti in Afghanistan e in Iraq, ora l’Occidente ci prova con un’altra tattica: quella di provocare “rivoluzioni” (costruite ad arte) nei paesi ostili. Tali “rivoluzioni” vengono sovvenzionate, armate, legittimate e sostenute in tutti i modi dagli USA e/o da paesi come la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e altri.
In Libia è andata bene (per l’Occidente, non certo per i libici), ma in Siria no.
E siccome sono stati proprio i russi ad impedire all’ONU l’intervento militare in Siria, lungamente caldeggiato dall’Occidente (e da Israele), dov’è che scoppia la successiva “rivoluzione”?
In Ucraina, a due passi da Mosca!

Poco importa all’Occidente se la rivolta ucraina è stata condotta da elementi di estrema destra (tra cui i filo-nazisti di Svodoba; ma gli USA e gli europei non si sono mai fatti scrupoli ad utilizzare pure terroristi legati all’estremismo islamico, sia in Libia che in Siria, e anche altrove). L’importante era far cadere il governo filo-russo.
Il motivo principale –e neanche troppo nascosto- è quello di allargare la NATO all’Ucraina (o anche solo a parte di essa), per poter installare missili nucleari americani a poche centinaia di chilometri da Mosca.

E le questioni nazionaliste-linguistiche?
In realtà hanno un ruolo di fatto secondario nella vicenda. Le differenze tra la parte orientale dell’Ucraina (filo-russa) e quella occidentale, non russofila, sono state utilizzate strumentalmente per gli scopi di cui sopra.
Tali differenze, infatti, hanno convissuto per lunghi decenni in modo pacifico, come d’altronde accadeva nella Jugoslavia di Tito; poi, anche lì sono arrivati gli occidentali e, secondo il classico metodo del “divide et impera”, hanno fomentato divisioni, ostilità e guerre, per sottomettere e controllare economicamente e politicamente quelle regioni. Lo stesso sta facendo l’Occidente in Ucraina.

Ma la Russia non sta a guardare.
E non è un paese isolato, come lo erano la Serbia di Milosevich o la Libia di Gheddafi. E –non dimentichiamolo- è pure una potenza nucleare.
Il rischio che possa scoppiare una guerra di enormi proporzioni è notevole.
Anche perché da noi in Occidente, come accadeva ai tempi del fascismo che precedettero la II Guerra Mondiale, nessuno protesta: il movimento pacifista sembra completamente eclissato.
Proprio ora, che USA e Occidente spingono sempre di più verso una guerra dalle proporzioni e dagli esiti imprevedibili.

giovedì 20 febbraio 2014

Che cosa ci possiamo aspettare da Renzi?

Messo in crisi il Governo Letta, gli è subentrato quello capeggiato da Matteo Renzi.
Qualcuno ha parlato addirittura di colpo di Stato. Potrebbe sembrare una “sparata” e di sicuro è un’esagerazione. Ma non ci siamo nemmeno troppo lontani, considerando intanto il fatto che Renzi è stato eletto soltanto come segretario del Partito Democratico e non certo come Presidente del Consiglio e per giunta non è neanche un parlamentare.
Ma, a parte questi metodi molto poco democratici che si stanno affermando in Italia (più o meno la stessa dinamica è accaduta con la nascita del Governo Monti), qui il problema è capire che cosa cambierà ora che Letta è stato sostituito da Renzi.

Premesso che non ho mai nutrito grossa simpatia per uno come il Sindaco di Firenze, il quale è sempre stato considerato un esponente della destra PD (come se il PD non fosse già di per sé abbondantemente a destra, almeno in termini di politiche economiche). Per giunta passa per essere vicino a Berlusconi.
Le sue prese di posizione di qualche anno fa per l’abolizione della Festa del Lavoro, il 1 maggio, di sicuro hanno peggiorato il mio giudizio su di lui.
Ma, come sempre, nella realtà le cose non sono così semplici e schematiche.

In Italia ormai s’è affermata una visione della politica molto personalistica (siamo forse l’unico paese europeo che ha assorbito quasi completamente la cultura e i metodi politici statunitensi, da bravi “sudditi”).
Tale visione ci porta a dare erroneamente una enorme importanza al personaggio che va ad occupare posizioni di potere.
Ma se negli stessi USA il presidente è strettamente legato alle potentissime lobbies economico-militari-finanziarie, in Italia le cose non sono molto diverse.

Ora, consideriamo il fatto che sia Enrico Letta che Matteo Renzi hanno dietro di sé le grandi lobbies industriali-finanziarie: Letta è membro della Trilateral Commission (una sorta di massoneria ultra-liberista egemonizzata dagli USA) e ha partecipato a riunioni del Gruppo Bilderberg (altra massoneria, più segreta della prima), mentre Renzi ha origini democristiane e suo padre, Tiziano Renzi, grande imprenditore e possidente, pare abbia fatto parte della massoneria.
Stando così le cose il problema è capire per quale motivo c’è stato questo cambio al vertice e se ciò possa riflettere o meno uno scontro di potere.

Ossia, ciò che sta accadendo potrebbe essere dovuto, semplificando, a due fattori. Il primo, è che i due personaggi riflettano sostanzialmente gli stessi settori economico-sociali (i cosiddetti “poteri forti”), i quali, delusi dalle prudenze e “lentezze” di Letta nel portare avanti le politiche di austerità, richieste dall’Europa delle banche, si sarebbero rivolti a Renzi, il quale appare essere molto più deciso e “dinamico”.
Non è però nemmeno da escludere che ci sia uno scontro di potere tra settori diversi di capitale finanziario, o tra grande borghesia finanziaria internazionalizzata da una parte e medio-alta borghesia italiana poco finanziarizzata ed internazionalizzata. Renzi potrebbe anche rappresentare una possibile mediazione tra queste due forze.
Non sono in grado di fare questo tipo di analisi, che richiederebbe ben altre conoscenze. Ma tengo a sottolineare che sono queste le questioni che una sinistra SERIA dovrebbe porsi.

Un’altra questione, ovviamente legata ai discorsi di cui sopra, e che però ci riguarda direttamente, è quella di cercare di capire quali misure di politica economica il Governo Renzi intenda attuare.
Non ci sono dubbi, infatti, che il (non ancora ex) sindaco di Firenze intende “picchiare forte”. Ma “picchiare” chi?

I ceti popolari sono già stati abbondantemente “picchiati” nei decenni scorsi e oggi in Italia abbiamo il costo del lavoro fra i più bassi di tutta Europa e elevatissimi livelli di precarietà e non poca disoccupazione. Inoltre, il grado di conflittualità dei lavoratori è bassissimo, per non parlare della ormai totale assenza di rappresentanza parlamentare dei ceti popolari.

Certo, i ceti popolari si possono “bastonare” ancora di più e non credo che Renzi (e chi lo sostiene) si faccia grossi scrupoli a farlo.
Ma non è neanche detto che l’attacco questa volta non possa essere rivolto ai cosiddetti “ceti medi”, che in Italia rappresentano uno strato sociale molto sovradimensionato (rispetto a tutti gli altri grandi paesi europei). E che rendono l’economia italiana particolarmente debole e scarsamente competitiva con l’estero.
Il “nanismo industriale” del Bel Paese, infatti, è un evidente ostacolo nello sviluppo tecnologico e della ricerca, dato che ha sempre prosperato sul basso costo del lavoro (nonché sulla sua estrema precarietà), e sull’evasione fiscale.

Nei prossimi mesi ne sapremo qualcosa di più.
Una cosa è certa: se anche ci dovessero aspettare tempi durissimi, ciò non è dovuto al fatto che ora c’è Renzi. Renzi non è altro che il perfetto risultato finale di tutto il percorso che ha portato negli scorsi decenni dal PCI al PdS, ai DS e al PD.