venerdì 27 dicembre 2013

Nelson Mandela, grande eroe della lotta anticoloniale!

Dopo mesi di agonia, alla fine si è spento recentemente il grande Nelson Mandela.

E’ impossibile sintetizzare in un breve articolo la sua vita. Ma alcune osservazioni di fondo vanno fatte.
Mandela è stato l’eroe della lotta contro l’Apartheid.
Per chi non lo sapesse, l’Apartheid era un regime razzista e segregazionista del Sudafrica, governato allora dai bianchi, discendenti dei colonizzatori inglesi e olandesi. La grandissima maggioranza della popolazione, ossia i neri, non avevano di fatto cittadinanza e non potevano votare.

Per diversi decenni, Mandela, socialista, ha lottato contro quel brutale regime, fondando L’ANC (African National Congress), e facendosi, per questo, ben 27 anni di carcere. E divenendo poi presidente del Sudafrica una volta caduto il vecchio regime, nel 1994.
Fin qui è cosa nota.

Cosa meno nota ai più giovani (e forse dimenticata da molti altri meno giovani) è che i grandi campioni di “democrazia”, nonché “difensori dei diritti civili”, ossia, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno sostenuto fino alla fine tale regime repressivo.
E l’Apartheid non era solo razzismo: significava anche brutale sfruttamento della forza-lavoro di colore, soprattutto nelle miniere (il Sudafrica è ricchissimo di minerali) e povertà diffusa, sempre ovviamente tra la popolazione nera.
Dunque, Nelson Mandela e l’ANC non hanno dovuto combattere soltanto contro il regime sudafricano, ma di fatto anche contro gli USA e la GB.

Ma in questa lotta per fortuna non erano soli.
Un grosso e determinante aiuto è venuto dall’Angola (che il Sudafrica invase, attraverso la Namibia) e soprattutto da Cuba.
I cubani, infatti, hanno dato un aiuto determinante durante la guerra che gli angolani hanno dovuto sostenere contro l’invasore sudafricano. La battaglia decisiva fu quella (vinta) di Cuito Canavale, nel 1988, che ha permesso la liberazione dell’Angola e ha messo in crisi il regime sudafricano dell’Apartheid. Cosa che ha fatto sì che in seguito il regime dovette fare delle aperture –liberando Mandela- e che portarono, alla fine, a libere elezioni e alla vittoria dell’ANC.

La lotta eroica di Mandela e dell’ANC è stata, quindi, contro il colonialismo e tutte le varie forme con cui questo ancora oggi sopravvive.
Cessato, infatti –sull’onda del movimento anticoloniale del dopoguerra- il colonialismo politico diretto e ufficiale (e anche questo non ancora del tutto; diversi territori sparsi nel mondo ancora appartengono a GB, Francia e USA), vi è un altro colonialismo, più indiretto, basato sullo sfruttamento economico e su dittature e regimi vari “locali”, ma dipendenti di fatto –o comunque vicini- alle grandi potenze occidentali (vedi Israele e la sua brutalissima repressione del popolo palestinese).

Incredibile a dirsi, ma Nelson Mandela nel 1993 riesce ad ottenere pure il Premio Nobel per la Pace –difficilmente lo danno a chi non piace a USA e GB- anche se assieme a De Klerk (sarebbe stato troppo, sennò), ossia, l’allora presidente del Sudafrica, protagonista anche lui dell’apertura del regime all’ANC, ma, certo, molto meno eroico del primo.

Ma, morto Mandela, la lotta contro il colonialismo è tutt’altro che finita. E questo molti popoli del cosiddetto “Terzo Mondo” lo sanno bene, anche perché lo subiscono sulla loro pelle.
Numerose, infatti, sono le “guerre civili” o “guerre tribali” soprattutto in Africa, che –a differenza di ciò che ci fanno credere i nostri mass-media- sono in realtà guerre fomentate, finanziate e armate dalle potenze europee e soprattutto dagli USA, per ottenere indirettamente lo sfruttamento delle immense risorse, soprattutto minerarie e petrolifere, del Continente Nero (Sudan, Congo, Nigeria, ecc).

giovedì 19 dicembre 2013

ma sì, continuiamo a privatizzare....

La grande ondata privatizzatrice in Italia è iniziata negli anni ’90, sull’onda della “sbornia ideologica” liberista, per cui veniva messo ferocemente in discussione il ruolo dello Stato (considerato inefficiente, corrotto, se non ladro) nell’economia, in favore delle imprese private (considerate, viceversa, la parte “sana” della società).
Questa “sbornia ideologica” liberista, oltre ad aver favorito l’emergere di figure discutibili come Berlusconi (allora considerato solo un abilissimo imprenditore di successo), portò soprattutto il governo del Centro-sinistra Prodi a privatizzare enormi settori imprenditoriali e bancari, fino allora dell’IRI (da notare che paesi molto più avanzati ed efficienti di noi –tipo Germania e Francia- si sono guardati bene dal privatizzare settori di importanza strategica, come è stato fatto da noi). L'elenco sarebbe lunghissimo e ve lo risparmio.

I risultati?
Ora, mettiamo da parte i guadagni miliardari di imprenditori di dubbie capacità (e moralità), del calibro di Colaninno o Tronchetti-Provera e proviamo anche a dimenticarci che molte aziende e banche sono state svendute a prezzi bassissimi (quando valevano assai di più).

Passiamo alle conseguenze: intanto aziende italianissime sono passate nel giro di pochi anni in mano straniera (Alitalia ai francesi, Telecom agli spagnoli, Alcoa agli americani, solo per citare i casi più noti).
Poi, i tanto sbandierati miglioramenti del servizio si sono rivelati spesso un flop (Trenitalia investe praticamente solo sull’alta velocità, a scapito del servizio locale e pendolare, in condizioni da paese sottosviluppato).
I costi dei servizi molte volte invece di diminuire sono aumentati e i tagli sui posti di lavoro sono stati notevoli. Per non parlare di aziende che chiudono (l’Alcoa e, almeno in parte, l’Ilva).
Non è un caso che in diversi paesi europei (Francia, GB) alcuni servizi già privatizzati, vengono ri-pubblicizzati.

Ma veniamo ai giorni nostri.
Il Governo Letta, nell’intento di rispettare gli accordi europei sulla riduzione del debito pubblico (fiscal compact), vuole proseguire con le privatizzazioni. E’ possibile che la scelta di privatizzare sia dettata dalla volontà di attenuare il massacro sociale che si avrebbe praticando una politica di soli tagli.
Ma, per i motivi di cui sopra, le privatizzazioni si riveleranno comunque un massacro sociale, anche se un po’ più “soft”.

Naturalmente non viene presa nemmeno in considerazione l’idea di tagliare gli enormi sprechi e privilegi vari, oppure di prendere i soldi là dove ce ne sono, e pure in grande abbondanza.
Ad esempio, si continua a non voler contrastare seriamente la grande evasione fiscale. Si potrebbero tassare i grandi patrimoni, oppure le rendite finanziarie, oppure quantomeno una parte delle colossali ricchezze che la Chiesa Cattolica detiene in Italia, nonché il suo immenso giro d’affari e di interessi.

Naturalmente si finge di dimenticare il fatto che tutti i numerosi paesi che in passato hanno provato a ridurre il loro debito, attraverso massicci tagli alla spesa pubblica, sono andati incontro ad un clamoroso e totale fallimento (l’Argentina è solo il caso più noto), deprimendo fortemente la loro economia, riducendo in miseria la grande maggioranza della loro popolazione, compreso i cosiddetti “ceti medi”. E senza riuscire, nonostante tutto ciò, a ridurre significativamente lo stesso debito pubblico.

Mi sto sempre più convincendo che in questo contesto la prima cosa da fare è quella di riacquistare la nostra sovranità monetaria USCENDO DALL’EURO.
Certo, la sola uscita dall’euro non basta a risolvere i problemi di fondo, che sono dovuti alla crisi economica, effetto delle politiche liberiste degli ultimi decenni. Si tratta di una misura-tampone, che però, oggi come oggi si sta rivelando sempre più urgente.

martedì 3 dicembre 2013

Grillo, il M5S e Gramsci


Antonio Gramsci può essere considerato un semi-sconosciuto. Almeno in Italia (all’estero è molto più studiato che da noi).
In teoria tutti sanno chi è stato, molti lo citano, ma sono pochissimi quelli che veramente conoscono le sue geniali –è il caso di dirlo- analisi e intuizioni, anche a sinistra e perfino tra i comunisti. Il fatto che la frase sua di gran lunga più citata sia quella sugli “indifferenti” (che risale al Gramsci giovane, immaturo e ancora venato di idealismo) la dice lunga.
In realtà il “vero” Gramsci è quello delle Tesi di Lione, quello del “blocco sociale e storico”, dell’”egemonia”, quello dell’”intellettuale organico”, dell’”intellettuale collettivo”, delle “casematte”, del “senso comune”, eccetera.

Ma veniamo a Beppe grillo e al Movimento 5 Stelle.
In che modo ci può aiutare Gramsci?
Intanto con il suo discorso sull’egemonia (l’egemonia in Gramsci è la capacità di una classe sociale –in genere quella dominante- di far passare i propri interessi di classe come interessi generali della società).

In Italia negli ultimi 30 anni i ceti dominanti (banchieri, grandi imprese, gerarchia ecclesiastica, dirigenti vari), ossia la borghesia, hanno ripreso alla grande il controllo della società, sconfiggendo il movimento operaio, eliminando un partito come il PCI e qualsiasi altro partito seriamente di sinistra, “rottamando” –per usare un termine alla moda- la teoria marxista, ormai considerata “vecchia ideologia superata”.
Ora, è vero che la borghesia è, a sua volta, divisa al suo interno e i suoi vari settori sono spesso in guerra tra di loro. Ciononostante, essa esercita un’egemonia politico-ideologica talmente forte, che perfino il malcontento popolare e di classe –anche radicale- trova in parte espressione in un “movimento” borghese, quello del M5S di Grillo e Casaleggio (si chiama “movimento”, ma è un’azienda con tanto di titolare, che è Grillo).
Milioni di proletari, anche persone tradizionalmente di sinistra, oggi sono sempre più attratti dal M5S, a riprova di quanto l’egemonia della borghesia sul popolo italiano sia potentissima e pervasiva. E di quanto il “senso comune” –per usare sempre un concetto gramsciano- si sia spostato a destra.

Ma l’enorme seguito che il M5S riscuote fra i ceti popolari non deve trarre in inganno: la vera natura di questo movimento-azienda è squisitamente borghese. Ossia, la sua base sociale sono le piccole-medie imprese e anche quelle grandi, ma poco internazionalizzate e finanziarizzate. Che sono poi gli stessi settori sociali che fino a poco tempo fa seguivano Berlusconi, la Lega e Alleanza Nazionale, ma anche –nelle regioni cosiddette “rosse” - il PdS-DS-PD.
Oggi questi strati sociali risentono della crisi economica e delle politiche europee di austerità e non si sentono più tutelati dalle forze politiche “tradizionali”. Si stanno sempre più radicalizzando e seguono sempre più Grillo.
E in effetti le misure concretamente portate avanti dai pentastellati laddove governano gli enti locali sono a favore delle piccole imprese.

Anche qui vediamo quanto sia utile distinguere fra “base sociale” e “base di massa” di una forza politica. La prima è la classe sociale (o una parte di questa) che una determinata forza politica rappresenta effettivamente, ossia, è ad essa organica, mentre il secondo caso (“base di massa”) è composto da larghi strati di ceti popolari che seguono una determinata forza politica, anche se quest’ultima –al di là dei discorsi strumentali e demagogici- non persegue i loro interessi (o lo fa solo in minima parte), e, anzi, spesso persegue interessi opposti.
E’ il caso del “Movimento” 5 Stelle, che ha la sua base sociale nella piccola-media borghesia nazionale e la base di massa nei ceti popolari italiani, i quali si illudono di aver trovato finalmente un loro riscattatore.

Un altro concetto gramsciano sicuramente da tenere presente è quello di “sovversivismo delle classi dirigenti (o sovversivismo dall’alto)”.
Il M5S rientra –a mio avviso- pienamente in questa categoria.
E non tanto per la banale considerazione che Beppe Grillo e a maggior ragione Casaleggio (probabilmente il vero “padrone” del M5S) sono miliardari e il secondo è un grande imprenditore nella comunicazione (guarda caso…). Anche molti dirigenti comunisti storici erano di estrazione borghese.
Ma il vero motivo risiede nel fatto che, a differenza dei comunisti (almeno quelli seri), il M5S non organizza i ceti popolari e soprattutto non fa un lavoro di coscientizzazione di questi, attraverso un lavoro teorico-ideologico e di analisi complessiva. L’attività di Grillo –prendere di mira di volta in volta singoli personaggi o singole aziende, in modo estemporaneo e, almeno all’apparenza, senza un preciso disegno organico- non rientra in ciò. E di sicuro tale comportamento non rafforza i ceti popolari.

In questi ultimi decenni il movimento operaio e i comunisti hanno perduto un’importante “casamatta” (altro concetto gramsciano): quella teorico-ideologica.
Il disorientamento, la confusione, le divisioni che regnano nella sinistra nostrana e tra i comunisti, e quindi l’annullamento politico, ne sono una conseguenza.
Forse è proprio dal ricostruire la “casamatta” teorico-ideologica che occorre ripartire.
 

domenica 24 novembre 2013

Sarno, Sardegna, alluvioni e TAV

Che cosa c’entra –chiederà qualcuno- la tragedia che ha colpito la Sardegna la scorsa settimana e quella del 1998, che colpì la città di Sarno, con oltre 100 morti (e tante altre simili), con la TAV?
C’entra tantissimo.
In tutti i casi di cementificazione selvaggia (spesso abusiva, ma tanto poi sistematicamente condonata) e di mancato intervento sulla salvaguardia del territorio, ci sono in ballo gli interessi delle lobbies costruttrici. Anche dietro alla costruzione della TAV in Val di Susa (e non solo lì) ci sono in ballo gli stessi interessi.

Le ennesime provocazioni alla manifestazione dei NO TAV qualche giorno fa a Roma stanno a dimostrare che contro queste lobbies NON SI DEVE PROTESTARE.
Quando c’era il Fascismo ti punivano con l’arresto e il confino (se non peggio). Oggi ti lasciano apparentemente libero di manifestare, ma poi sistematicamente ti mandano i provocatori, di modo che così i mass-media -di solito collusi con i palazzinari- hanno facile gioco a scatenarti contro tutta l’opinione pubblica, facendoti passare per teppista.
Moderne tecniche di repressione.

Ritornando all’alluvione in Sardegna, ora immagino che qualcuno tirerà in ballo l’imprevedibilità dell’evento, secondo lo “stile-Alemanno” (ricordate la nevicata a Roma nel febbraio 2012?) e magari getterà tutte le colpe al cambio climatico. Curioso, in un paese come l’Italia, dove la classe dirigente economico-politica, particolarmente miope, non è mai stata granché sensibile a questo genere di tematiche.
Ma quando si tratta di giustificare mancati interventi di prevenzione o di tutela del territorio, di manutenzione/riparazione delle infrastrutture pericolanti (ponti, strade, acquedotti, ecc.), allora tutto fa brodo.
E sì, che in Italia nubifragi e alluvioni sono tutt’altro che inconsueti, e questo non solo negli ultimi anni, ma dalla notte dei tempi. Oltre al già citato episodio di Sarno, solo negli ultimi decenni ricordo numerosi alluvioni con morti e danni in varie parti dello Stivale, dalla Liguria, alla Versilia, al Piemonte, alla Sicilia, ecc. E, ancora più indietro, il famoso alluvione di Firenze del 1966 e quello del Polesine, negli anni ’50, per citare gli episodi più noti e tragici.

Insomma, diciamo che nel Bel Paese l’attività di prevenzione è in genere molto scarsa, quando non del tutto inesistente. Come d’altronde tutto ciò che non porta ad un immediato guadagno/tornaconto.
Ma additare, come di solito si fa, la “casta” dei politici serve a ben poco.
Il vero problema in Italia è lo strapotere delle lobbies del cemento.

Le imprese costruttrici da noi riescono –come da nessun’altra parte- a costruire praticamente dappertutto, sui letti dei fiumi, come sui pendii franosi, come su aree destinate all’agricoltura o al verde.
Tanto poi i condoni sono all’ordine del giorno.
E non solo: riescono a costruire spesso con materiali scadenti. Infatti non di rado crollano ponti e addirittura interi palazzi. Pur di guadagnare di più…

E, tornando alla TAV in Val di Susa, l’opera, che viene definita “strategica” a ben vedere lo è soltanto per le imprese costruttrici.
In Italia, grazie alle politiche sull’alta velocità, ci si mettono tre ore per andare da Roma a Milano (e questo potrebbe anche avere una sua utilità) e magari ci si mette quasi lo stesso tempo per andare da un quartiere di Roma all’altro.
Perché il trasporto locale viene trascurato, dato che è meno profittevole dell’alta velocità. Poco importa se poi milioni di pendolari ogni giorno devono sopportare disagi per andare al lavoro.
Il profitto –e solo quello- decide tutto.

Dunque l’inutile TAV in Val di Susa si fa. Anche se la stessa Francia è titubante a farla. Ma i palazzinari sono quanto mai determinati a violentare l’ambiente locale, pur di realizzare i loro profitti.

A proposito di lobby del cemento, lo Stato italiano (e quindi noi) dopo aver sborsato chissà quanti soldi per la progettazione del ponte sullo Stretto di Messina, ora che non si farà più dovrà (dovremo) pagare una penale di miliardi. Altri ingenti risorse nostre che si riversano su Impregilo e CO.
Ma per le lobbies del cemento i soldi si trovano sempre. Per la sanità, per le pensioni, per la scuola, per la cultura è il solito tantra: “non ci sono i soldi”.
E così Pompei cade in rovina. E con lei l’Italia.

lunedì 11 novembre 2013

come la Cina cambierà l'economia mondiale (e nostra)


Di solito quando si tratta l’argomento Cina i nostri mezzi di informazione tendono a parlarne in modo superficiale e distorto e spesso trascurano le notizie più importanti e significative.
Ciò accade non solo e non tanto per una precisa volontà di disinformare il pubblico, quanto per pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni e ignoranza degli stessi cronisti. La maggioranza dei quali sono interessati molto più alla sensazionalizzazione delle notizie e assai poco inclini all’approfondimento di queste (cosa, quest’ultima, molto meno redditizia).

Da noi, quindi, si tende ad avere un’immagine dei cinesi, visti un po’ come i nostri “parenti poveri”, quelli che scopiazzano male ciò che noi faremmo bene, quelli che inquinano molto più di noi, quelli che prestano poca attenzione all’igiene e all’ambiente ecologico e infine quelli che abitano sotto un regime dittatoriale e che reprime i tibetani.

Logico, dunque, che pochi in Occidente si sono accorti che la Cina negli ultimi anni sta investendo miliardi per l’ecologia. Pochi sanno che il gigante asiatico sta a poco a poco soppiantando gli Stati Uniti (e gli altri paesi occidentali) come principale partner commerciale di molti paesi, perfino nel Sudamerica (ad es. il Brasile), fino a poco fa “cortile di casa” degli USA.
Pochi sanno che il paese di Mao sta uscendo semi indenne dalla crisi economica (la quale, viceversa, sta devastando l’Occidente, Europa in primis) perché sta praticando politiche opposte a quelle liberiste, aumentando i salari e i servizi sociali, e in genere il tenore di vita del suo popolo, stimolando, così, la sua economia.
E ancora pochi sanno che se la Cina sta incrementando progressivamente le relazioni (sia commerciali, che sempre più anche politiche) con molti paesi africani e sudamericani -oltre che ovviamente asiatici- ciò è dovuto non tanto, come di solito si crede, al basso costo delle sue merci, quanto al fatto che pratica uno scambio economico molto più equo, di quanto non faccia l’Occidente. E anche le relazioni politiche che instaura con questi paesi sono improntate al reciproco rispetto e alla non ingerenza negli affari interni loro (e non coll’arroganza da post-colonizzatori, come continuano a fare europei e americani).
I cinesi inviano addirittura loro tecnici in molte regioni sottosviluppate, in ausilio alle loro necessità di infrastrutture.

Ma c’è un’altra cosa ancora che da noi sta passando quasi sotto silenzio (come d’altronde accade con più o meno tutte le notizie veramente importanti): l’attacco al dollaro in quanto moneta di scambio mondiale.
L’egemonia economica mondiale americana –basata sulle loro capacità produttive, certo, ma anche sulla loro forza militare e sul ruolo della loro valuta, il dollaro- sta per avere gli anni contati. La Cina e gli altri paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sta lavorando per soppiantare il dollaro come (unica) moneta di scambio mondiale, per sostituirlo non con lo yuan (moneta cinese), bensì con un paniere di valute.
Ciò vuol dire che il Dragone cesserebbe di acquistare la valuta americana, e, anzi, tenterebbe di disfarsi di tutta quella che ha, causando dei temibili contraccolpi sull’economia americana (già in crisi) e soprattutto sulla sua egemonia mondiale.

Gli scenari che si apriranno nei prossimi anni (se non mesi) sono del tutto inediti e difficilmente prevedibili nelle loro conseguenze.
Una cosa è certa: in un prossimo futuro non vedremo più i cinesi come i nostri “parenti poveri” e saremo costretti a portare loro molto più rispetto.

lunedì 21 ottobre 2013

NO TAV, NO MUOS, movimenti e informazione pilotata



Siamo alle solite: come sempre –quando si vanno a toccare i grossi interessi e gli affari sporchi- parte la consueta campagna di dis-informazione nei confronti di chi osa contestare tale business.
Mi riferisco alla manifestazione tenutasi sabato scorso a Roma, tra l’altro riuscitissima: quasi centomila persone hanno sfilato PACIFICAMENTE.
Lo slogan del corteo è stato: “una sola grande opera: casa e reddito per tutti”.
Questo non è stato notato dai TG e da gran parte dei quotidiani italiani.
Viceversa, per i nostri mass-media sono esistiti soltanto quei quattro gatti infiltrati nel corteo che hanno fatto –appositamente- un po’ di “casino”.

I movimenti (NO TAV, NO MUOS, quelli per la casa, per il lavoro, degli immigrati,ecc.) che hanno sfilato sabato 19 ottobre giustamente protestano contro delle politiche che guardano soltanto ai profitti delle grandi imprese e delle banche, a danno di gran parte della popolazione.
I mass-media –in gran parte strettamente legati al capitale finanziario- non possono che criminalizzare chi si permette di contestare contro tali politiche, affinchè la popolazione non si renda conto della giustezza di tali proteste e magari finisca per scendere in piazza anch’essa.
E così, li fanno passare per dei teppisti violenti.

Ma chi sono esattamente questi movimenti e per che cosa protestano?

Cominciamo dal più conosciuto: i NO TAV.
Nato nella Val di Susa già negli anni ’90, il movimento contesta la costruzione della linea ad alta velocità Torino-Lione per tutta una serie di motivi. I più importanti sono –sinteticamente- l’elevatissimo costo dell’opera (quando esiste già una linea ferroviaria, sottoutilizzata, che si potrebbe ristrutturare ed ampliare), la sua nocività (utilizzo di amianto e uranio), il suo impatto ambientale negativo, la sua sostanziale inutilità.

Poi, c’è il movimento NO MUOS (Mobile User Objective System).
Nato in Sicilia, tale movimento contesta il fatto che una delle stazioni terrestri dovrebbe essere costruito, appunto, in Sicilia, a Niscemi.
Tale stazione arrecherebbe dei seri rischi alla salute umana, all’ecosistema, alle attività agricole, e, infine, rappresenta una minaccia per la pace in Italia e la possibilità di essere esposti ad attacchi, in caso di guerra (visti i tempi non difficilissimo).

Ha manifestato pure il movimento per la casa. Quello per il diritto al lavoro e gli immigrati.

In sintesi, la manifestazione del 19 ottobre mirava a sostenere quelli che dovrebbero essere i diritti basilari di ogni cittadino e che in una società cosiddetta di “libero mercato” (ossia, capitalistica) vengono facilmente dimenticati, per perseguire solo gli enormi profitti delle multinazionali e delle banche.
Quanto poi questa società sia veramente di “libero mercato” lo dimostrano le migliaia e migliaia di piccole imprese e negozi che ogni anno chiudono, spinti dalla crisi capitalistica e dalla concorrenza sempre più spietata delle grandi imprese.
Per non parlare di quanti non trovano lavoro o trovano soltanto lavoro precario (ma oggi anche chi ha un lavoro fisso tende a stare sempre peggio), di quanti non hanno una casa o si svenano per pagare un affitto o il mutuo. E così via…

Allora, al potere fa comodo che meno persone possibile ragionino sulla deleterietà di queste politiche liberiste. E ci vogliono far credere che chi giustamente protesta sia invece un teppista scalmanato, che non fa altro che provocare disordini e danni.
Non cadiamo in queste “trappole mediatiche”!

mercoledì 9 ottobre 2013

Berlusconi marginalizzato (finalmente). Ma c'è poco da gioire...



In queste ultime settimane (come d’altronde da 20 anni a questa parte) Silvio Berlusconi è stato al centro delle cronache dei mass-media italiani, prima per la questione della condanna e poi per via della tenuta o meno del Governo Letta-Alfano.
Con le ultime vicende, ossia, la caduta del governo e poi, però, la spaccatura all’interno del PdL e alla fine la disponibilità da parte di questo a formare un nuovo governo con il Partito Democratico, si può tranquillamente affermare che il Cavaliere ha subito un fortissimo ridimensionamento del suo ruolo e del suo potere politico.
Se non definitivamente tramontato, il Berlusca è stato di sicuro marginalizzato e d’ora in poi difficilmente tornerà ad occupare un ruolo centrale nella politica italiana.
Meno male!

Ma se l’indebolimento di Berlusconi rappresenta di sicuro un fattore positivo per il nostro paese, il rafforzamento di Letta e della compagine governativa lo è molto, molto meno: il nuovo governo che –con tutta probabilità- si andrà a formare, sarà, ancora di più di quello precedente e di quello Monti, un governo dei cosiddetti “poteri forti”, ossia, delle grandi banche e delle multinazionali –ossia, del capitale finanziario- nonché sensibile alle pulsioni guerrafondaie americane.
Sarà un governo obbediente ai peggiori diktat della Comunità Europea e alle sue manovre lacrime e sangue (grazie anche al fiscal compact, voluto –ricordiamolo- sia dal PdL che dal PD).
Enrico Letta, infatti, non è un politico qualsiasi, bensì è membro del Gruppo Bilderberg.
Cos’è il Gruppo Bilderberg?

Il G.B. è una potentissima massoneria mondiale, con base negli USA, e strettamente legata ai grandi colossi finanziari (banche e multinazionali-transnazionali) e alle elites militari.
Tutte, o quasi, le politiche liberiste degli ultimi decenni portate avanti in varie parti del mondo hanno avuto come protagonisti dei membri del Gruppo Bilderberg.
Ricordo che le politiche liberiste portano ad effettuare pesanti tagli ai servizi sociali, alla sanità, alla scuola pubblica, alle pensioni e all’occupazione, nonché alle privatizzazioni, che di solito –almeno in Italia- si traducono in svendite a bassissimo costo a privati incapaci (quanto rapaci), e, in ultima analisi, agli stranieri (vedi Alitalia, Telecom, Alcoa, ecc.).
Si tratta delle politiche che in passato hanno impoverito numerosi paesi del Terzo Mondo e ora stanno fortemente impoverendo l’Europa meridionale, a partire dalla Grecia.

Questo è Letta. Tanto per capire con chi si ha a che fare. 
E possiamo star certi che lui e i partiti che lo sostengono faranno di tutto per attuare il più possibile il famigerato “fiscal compact”. Prepariamoci!

Ma allora per quale motivo Berlusconi è stato fatto fuori? Non fa parte anche lui dei “poteri forti”?
Pensare che il Cavaliere sia stato marginalizzato per motivi giudiziari è un’ingenuità da dare in pasto al gran pubblico.
Berlusconi, in realtà, rappresenta soprattutto l’imprenditoria poco internazionalizzata e la sua base sociale è composta da piccola-media borghesia (piccoli imprenditori, artigiani, piccolo commercio; settori che spesso campano grazie ad una certa dose di illegalità).
Ora, è in corso una guerra tra diversi settori della borghesia, in cui il grande capitale “cannibalizza” il piccolo (abbiamo, grazie anche alla crisi economica, decine di migliaia di piccole-medie imprese, di esercizi e di laboratori artigianali che stanno chiudendo).
Dunque, i “poteri forti” (il capitale finanziario internazionale) stanno attaccando non solo i ceti popolari, i lavoratori, ma anche la piccola-media borghesia, la quale finora ha sostenuto in larga maggioranza il Berlusca (o la Lega).

In conclusione, i problemi dell’Italia non si esauriscono certo con Berlusconi e non derivano nemmeno dagli eccessivi guadagni dei “politici”, come si vuole far credere. E, meno che mai, dagli immigrati. 
Ed è (anche) per questo motivo che Grillo e il M5S non mi hanno mai convinto: i loro attacchi sono tanto clamorosi e sensazionalistici, quanto incentrati su problemi secondari, quando non marginali o ridicoli (vedi la vicenda degli scontrini).
In Italia manca una sinistra seria (ossia, su posizioni chiaramente anti-liberiste e non subalterna al PD) e forte. Ed è questa che va ricostruita.