mercoledì 4 settembre 2013

Siria, guerra sì, guerra no.

Sono due anni che in Siria si combatte. E sono altrettanti che l'Occidente -a partire dagli USA- preme per attaccare il paese, o quantomeno mira a far cadere il suo leader, Bashar al Assad.
Ora che la rivolta siriana sta dando segni di debolezza e di cedimento e il "regime" di Damasco sembra a poco a poco riprendere il sopravvento, esplode il caso del presunto utilizzo delle armi chimiche da parte del governo siriano.

Sembrano ritornati i tempi dell'attacco all'Iraq di Saddam Hussein, dietro il pretesto che possedesse "armi di distruzione di massa". Le quali, come è noto, non sono mai state trovate (la notizia, come ammise poi il governo americano, era falsa). Ma intanto quella guerra produsse centinaia di migliaia di morti e feriti (in gran parte civili), milioni di profughi, episodi di torture (Abu Ghraib), distruzione del paese e saccheggio fra l'altro di preziosissimi reperti archeologici dai musei (in un'area come la Mesopotamia, terra delle più antiche civiltà della storia umana).
L'Iraq, da paese relativamente tranquillo e laico che era, divenne un coacervo di gruppi terroristi ed estremisti islamici, quale è oggi.
Stesso discorso per quanto riguarda la Libia (paese tranquillo e laico sotto Gheddafi e ora dominato da gruppi terroristi ed estremisti islamici).

Ora il discorso sembra ripetersi con la Siria.
E' di queste ultime settimane la "notizia" che il governo di Assad avrebbe usato armi chimiche contro i "ribelli".
Questa "notizia", la cui fonte è dei non meglio precisati "ribelli", viene riportata e data per buona da quasi tutti i principali quotidiani e TG occidentali, italiani in primis. Senza essere verificata.
Anzi, le uniche verifiche fatte a suo tempo dall'ONU riportavano che le prove dell'utilizzo di armi chimiche erano solo a carico dei "ribelli" (estremisti islamici -fra cui anche Al Qaeda- finanziati e armati dai paesi occidentali e dai grandi campioni di democrazia e pluralismo, quali l'Arabia Saudita, il Qatar e sultanati vari).
E col pretesto delle armi chimiche si stanno moltiplicando le pressioni occidentali per un attacco alla Siria.

MA. C'è un grosso MA.
Se l'Afghanistan dei Talebani, l'Iraq di Saddam Hussein e la Libia di Gheddafi erano paesi relativamente isolati politicamente (e quelle guerre non sono state comunque una passeggiata e proseguono tuttora), il governo di Damasco ha dei forti legami soprattutto con l'Iran (potenza regionale) e la Russia.
Non solo: la Siria è un crocevia di gruppi e fazioni politico-religiose, con dinamiche a livello internazionale (basti pensare, tanto per fare un esempio, al rapporto stretto tra il governo siriano e gli Hezbollah libanesi). Far saltare gli equilibri in un'area come il Medio Oriente rischia di scatenare delle reazioni e delle dinamiche difficilmente controllabili e forse nemmeno prevedibili.

Dunque, Obama si trova in seria difficoltà.
Il tergiversare nell'attacco alla Siria riflette quindi il contrasto tra le forti pressioni affinchè ciò avvenga e la prudenza dettata dal timore di scatenare dinamiche poi ingestibili. E ciò in un contesto mondiale nel quale l'egemonia americana è sempre più in difficoltà e in cui emergono sempre più potenze nuove (Cina in primis).
Un ultimo ostacolo potrebbe venire dal neo governo egiziano, il quale avrebbe deciso di chiudere il Canale di Suez alle navi americane in caso di attacco alla Siria.

Nel momento in cui scrivo ancora non si sa gli USA quale decisione prenderanno e se attaccheranno la Siria.
Ma una cosa è certa:
Antonio Gramsci sosteneva che l'egemonia è basata sulla forza, ma anche sul consenso.
Nel Medio Oriente, l'Occidente -USA in testa- negli ultimi decenni praticamente si è limitato ad usare la sola forza.
Non è riuscito, quindi, ad essere egemonico.