martedì 27 febbraio 2018

Perchè voto POTERE AL POPOLO. Una riflessione non scontata.


Qualunque discorso serio, e non propagandistico, sulle prospettive di governo nell’Italia di oggi –e quindi sul vero senso di queste elezioni politiche- non può prescindere dalla considerazione su quanti margini di autonomia effettiva goda oggi il governo di un paese dell’UE, e specificamente della zona-euro.
Oggi, infatti, un governo può decidere, in modo autonomo, su numerose questioni. Ma soltanto su quelle secondarie. Per nessun motivo può mettere in discussione gli indirizzi generali delle politiche economiche. Queste sono decise da organismi potentissimi e non eleggibili dai cittadini, quali la Commissione Europea e la BCE (Banca Centrale Europea), le quali sono strettamente legati alle grandi banche e alle multinazionali.
I trattati europei, il fiscal compact, i vincoli di bilancio sono stati decisi una volta per tutte e nessun governo può metterli in discussione (come ha ampiamente dimostrato il caso-Tsipras; ma questo vale anche per i paesi più “forti”).

Dunque tagli (ulteriori) alla sanità, alla scuola, alla cultura, alle pensioni e a tutti i servizi, ecc. non sono a discrezione dei governi democraticamente eletti. Sono imposti obbligatoriamente. Punto e basta.
La scusa è sempre quella del debito pubblico (scusa che naturalmente viene meno quando si tratta di aumentare le inutili spese militari o di salvare le banche, cioè i privati che falliscono).
Tale indirizzo economico non verrà messo in discussione né dal PD, né dal Centro-destra. Non lo farà Salvini, né tantomeno il M5S.

A questo punto non pochi si domanderanno a che cosa serva andare a votare, visto che le cose più importanti sono già state stabilite in partenza.
A mio avviso votare serve, eccome (anche se non basta; occorre anche lottare).
Certo, non serve mica per ottenere un governo che cambi radicalmente indirizzo e che persegua finalmente i nostri interessi. Quello –almeno nella situazione attuale- ce lo scordiamo.
L’unico obiettivo importante che oggi si può e si deve raggiungere è quello di costruire e rafforzare una seria OPPOSIZIONE.
Nell’Italia di oggi non è possibile altro. I rapporti di forza sono troppo squilibrati in favore del grande capitale finanziario. L’unico modo per iniziare a creare un minimo di tutela per i ceti popolari è quello di costruire una seria opposizione.

Ma quale opposizione? Perché c’è opposizione e opposizione.
Permettetemi una metafora: se una persona, magari armata, ti aggredisce per rapinarti dei tuoi averi, tu, certo, la puoi anche criticare perché non aveva le scarpe lucidate o magari perché il colore della sua maglietta non si abbinava a quello dei calzini. Ma ovviamente una critica del genere non avrebbe alcun senso in quel contesto.
Fuor di metafora, l’Italia sta per essere, via via, sempre più depauperata e privata delle risorse da investire per elementi fondamentali, quali la sanità, la cultura, i trasporti, la scuola, le pensioni, ma anche la tutela del territorio e del patrimonio archeologico e tanto altro.
Noi, certo, possiamo anche prendercela con gli immigrati, come fanno i partiti di destra. Possiamo convincere numerosi italiani che sono gli extracomunitari che ci prendono le nostre risorse (magari facendo anche finta di dimenticarci che la legge italiana sull’immigrazione è ancora e sempre la Bossi-Fini, una legge fortemente di destra).
Ma, così facendo, ci limitiamo a spostare l’attenzione e l’indignazione popolare su un facile capro espiatorio, senza, però, toccare l’essenza dei problemi seri che abbiamo nel nostro paese e senza sfiorare minimamente le vere responsabilità di questi.
D’altronde quelli che oggi se la prendono con gli immigrati sono gli stessi che negli anni scorsi –al servizio della BCE e dell’oligarchia finanziaria- hanno contribuito, assieme al PD, a toglierci la pensione (votando la Riforma Fornero, del Governo Monti) e a condannare la generazione attuale (e presumibilmente pure quelle future) alla precarietà a vita, oltre che a tagliare fondi sugli Enti Locali, sugli ospedali, ecc.
Le destre, quindi, a dispetto della loro retorica sulla difesa degli italiani, in realtà difendono –di fatto- soltanto i ricchi, spingendo il grosso della popolazione italiana meno benestante a “sfogarsi” contro gli ultimi arrivati, nella classica guerra tra poveri, la quale contribuisce, in definitiva, a consolidare il potere degli sfruttatori.

Per quanto riguarda il M5S, il minimo che si possa dire è che la sua opposizione si è concentrata, in questi anni, essenzialmente su questioni superficiali e secondarie.
Inveire praticamente contro il solo ceto politico (“la casta”) non aiuta a comprendere i meccanismi di fondo del potere nell’Italia e nell’Europa di oggi. Tanto più se “i politici” non vengono contestati per il vero motivo per cui sarebbero da criticare –ossia, per la loro subalternità ai cosiddetti “poteri forti”- bensì per i loro guadagni (eccessivi, certo, ma del tutto trascurabili, in termini macroeconomici) o per la loro vera o presunta “disonestà”.

Su liberi e Uguali mi limito a constatare come i suoi leaders non solo sono stati, negli anni passati, i protagonisti delle devastanti politiche liberiste e di austerity, ma non risulta che abbiano fatto un minimo di autocritica in tal senso. Che questi, poi, vogliano fare la guerra a Renzi, non posso che considerarlo un regolamento di conti tra di loro.
Inoltre, che senso ha continuare a prospettare ancora un “centro-sinistra”? Che, anche nel caso fosse possibile riesumarlo, non potrà che essere all’insegna delle politiche di austerity e di massacro sociale?

In ogni caso, nessuna di queste forze politiche parla, o dà il giusto risalto, alla vera e propria rapina (non trovo termine più adatto) che i popoli europei e soprattutto quello italiano, stanno subendo da anni, con la scusa del debito pubblico. L’enorme spostamento di ricchezza –a cui assistiamo da anni- dalle tasche dei lavoratori e dei ceti popolari verso le grandi banche e le multinazionali non sembra veramente preoccupare questi soggetti.
Anche combattere la colossale evasione fiscale, la quale contribuisce ad impoverire milioni e milioni di italiani meno ricchi, non sembra interessarli granché.


Resta Potere al Popolo.
Per come la vedo io, Potere al Popolo rappresenta una scommessa, una sfida, come viene ripetuto. Ma la sfida non è tanto quella di raggiungere il quorum del 3% dei voti per entrare al Parlamento.
Cosa sicuramente importante. Ma c’è qualcosa di molto più importante.
La vera sfida è quella di riuscire ad invertire una tendenza storica negativa, che data da 30 anni circa: quella della devastazione e polverizzazione dei comunisti e della “vera” sinistra, ossia, quella che ha a cuore la difesa dei lavoratori e dei ceti popolari. E di provare a ricomporre finalmente le varie realtà.
Potere al Popolo, infatti, è costituita da almeno 4 forze comuniste (Rifondazione, PCI, Sinistra Anticapitalista e Rete dei Comunisti), a cui si aggiungono una serie di realtà importanti, come “Je so’ Pazzo”, “Eurostop”, e molto altro ancora. Si tratta di realtà spesso radicate in alcuni territori e con anni e anni di esperienze di lotta.

E’ in gestazione, quindi, di un primo tentativo di ricomposizione della ormai decennale diaspora della sinistra, -quella seria- per provare a costruire un qualcosa di più grande, significativo, e, soprattutto, di più radicato tra i ceti popolari e maggiormente rappresentativo degli interessi della maggior parte del popolo, di tutti quelli che faticano ad arrivare alla fine del mese.

Tutte le componenti di Potere al Popolo partono da una constatazione palese, quanto basilare, ossia, che al giorno d’oggi non esiste una forza politica –nell’ambito dei comunisti e della sinistra di classe- che possa considerarsi autosufficiente (constatazione evidente, ma, ahimè, non scontata, visto che in giro c’è anche chi, ritenendosi autosufficiente, si presenta alle elezioni da solo, rifiutando sdegnosamente qualsiasi “compromissione” con qualunque altra forza politica, anche comunista).
Solo nel confronto e nel lavoro politico congiunto, i “cocci” possono sperare di ricostruire, col tempo, un ampio fronte popolare e un partito comunista che non sia testimoniale e marginale.

Non sappiamo se tale sfida avrà successo. Dove per successo intendo, ripeto, non tanto il risultato elettorale, quanto la messa in atto, finalmente, di un processo –strategico e presumibilmente di lungo termine- di ricomposizione dei comunisti e della sinistra di classe.
E, con essa, di ricostruzione, in Italia, di un’opposizione forte e saldamente legata agli interessi dei ceti popolari.
Si tratta, appunto, di una sfida.

Una sfida che comunque passa anche attraverso il risultato elettorale.

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