giovedì 19 aprile 2012

D'ora in poi il Welfare State sarà anticostituzionale

Tanto tuonò, che piovve! Il pareggio di bilancio nei conti statali è passato, modificando l'articolo 81 della nostra Costituzione. La quale è stata, grazie a ciò, completamente stravolta.
Quella che è stata presentata come una misura assolutamente necessaria, e che apparentemente sembra anche esserlo, porterà ad una tremenda limitazione dei margini di manovra delle politiche economiche dei singoli paesi -che poi è ciò che vuole l'Unione Europea- e, in modo particolare, delle politiche sociali.
La modifica costituzionale è stata approvata dal parlamento con voto quasi unanime. Il Partito Democratico ha votato a favore.

Da un punto di vista storico, ci sarebbe da dire che il pareggio di bilancio venne perseguito nell'800, poco dopo l'Unità d'Italia, dai governi della Destra Liberale.
E portò, tra le altre cose, alla famigerata tassa sul macinato, che tanta miseria portò e causò numerose vittime nelle rivolte popolari in tutta la penisola.
A questo siamo tornati!
Bisognava prevederlo: tutta la retorica di questi ultimi vent'anni -dopo il Crollo del Muro di Berlino- sulla fine delle ideologie, sul marxismo che sarebbe ormai superato, sul fatto che la sinistra doveva innovarsi e stare al passo coi tempi, invece di "barricarsi ideologicamente", sul fatto che occorreva "superare il '900" hanno portato e non potevano che portare a questo risultato:
oggi il PD è sulle stesse posizioni della Destra Storica ottocentesca!!!

Dal punto di vista politico, il pareggio di bilancio in costituzione è una misura che si sta attuando in diversi paesi europei (Germania, Spagna, Francia...) e che limiterà fortemente l'autonomia dei singoli paesi, come già detto. Le politiche economiche, soprattutto dei "paesi deboli" -come l'Italia, per intenderci- saranno dettate direttamente dalla Banca Centrale Europea. Così funziona e funzionerà la nostra "democrazia" (che per giunta pretendiamo poi pure di "esportare all'estero"!).

E ora veniamo alle conseguenze economico-sociali.
Il vincolo del pareggio di bilancio sarà una potente arma di ricatto per impedire qualunque tipo di spesa (tranne quelle faraoniche per "salvare le banche", naturalmente).
A cominciare dalle spese per investimenti economici statali per favorire la ripresa. Ed è da ricordare, ad esempio, che la tremenda crisi economica degli anni 30 fu superata in tutto il mondo grazie proprio all'intervento degli stati nell'economia (oltre che alla II Guerra Mondiale, il che fa riflettere). Ossia, le famose politiche keynesiane.
Che, a partire da oggi diventano -di fatto- anticostituzionali.
Poi, le spese per la ricerca, che di certo non si sobbarcheranno i privati. In Italia, poi, meno che mai.
E poi, tutte le spese per la Sanità, per l'istruzione pubblica (ma per quella privata i soldi si trovano sempre), per qualunque servizio sociale, per le pensioni, ecc.

Ora Monti parla bene, dice che siamo riusciti ad evitare il peggio, che le riforme favoriranno la ripresa economica, ecc.
Peccato che i dati dicano esattamente il contrario: la disoccupazione aumenta, le imprese chiudono i battenti a migliaia, i consumi calano ulteriormente.
E non si tratta di fenomeni passeggeri: ricordo che la Grecia è già alla 4° misura "lacrime e sangue" e in teoria doveva bastare la prima a risollevare i suoi conti pubblici.
Ma come fanno i conti pubblici a pareggiare, se il PIL diminuisce in continuazione? E diminuisce proprio a causa di tutti i tagli "per pareggiare il bilancio"?
E' un cane che si morde la coda (e la coda siamo noi, i lavoratori/disoccupati/pensionati).

In Italia (Grecia, Spagna, ecc.) si sta ripetendo grosso modo ciò che è successo in tanti altri paesi (l'Argentina è il caso più famoso) negli anni '90. Le politiche economiche di Berlusconi-Monti assomigliano tanto a quelle di Menem. Che portarono l'Argentina -un paese una volta relativamente benestante- al collasso dei primi '2000.
Loro si sono ripresi grazie alle lotte che il popolo ha condotto e che sono sfociate alla fine in governi (Kirchner, Fernandez) che sono usciti fuori dall'ottica liberista, nonchè dalla suddittanza agli USA.
Per noi sarà più difficile fare ciò: il PD è pienamente interno all'ottica liberista ed è improbabile che cambierà rotta.
Non mi fido neanche molto degli "urlatori" di professione. Ossia, parolai alla Beppe Grillo (che cambia idea da un giorno all'altro e che comunque non esprime una visione un minimo coerente e seria).
Non parliamo, poi, della Lega, che ora urla anche lei, ma che con Berlusconi ha avallato le peggiori porcherie.
Forse si salva un po' l'Italia dei Valori (ma non sempre).

Restano le forze autenticamente di sinistra.
La Federazione della Sinistra e SEL (sperando che Vendola la smetta di snobbare partiti come Rifondazione e PdCI e si decida invece a collaborare assieme).
E poi le forze sindacali e sociali.

Prepariamoci alla lotta, tempi duri stanno per arrivare!

lunedì 2 aprile 2012

piccolo era bello. Ora è disoccupazione e miseria!

Se c'è una cosa positiva nella crisi economica di questi ultimi anni -al di là del tremendo dramma generale- sta nel fatto che questa sta, a poco a poco, incominciando a chiarire tante cose e tanti equivoci. E, in modo particolare, la recessione sta smascherando una serie di falsi miti e di luoghi comuni, i quali -soprattutto in Italia- hanno imperversato da diversi decenni a questa parte.
Mi riferisco al mito del "mettersi in proprio" e soprattutto a quello del "piccolo è bello".
Oggi sono proprio le piccole imprese e il piccolo commercio a risentire maggiormente della crisi economica.
I dati della CGIA (associazione artigiani piccole medie imprese) di Mestre parlano chiaro: nel 2011 sono oltre 11 mila le ditte che hanno chiuso i battenti!

Intanto un dato curioso: l'enorme diffusione delle piccole-medie imprese (spesso monocommittenti e dunque autonome solo in apparenza), di aziende artigianali, di negozi a conduzione familiare, nonchè la pletora di liberi professionisti (avvocati in modo particolare) è una peculiarità del Bel Paese. In nessun altro paese quantomeno dell'Europa Occidentale esiste una percentuale così elevata di questi cosiddetti ceti medi.
Come mai?

Probabilmente è il risultato di diversi fattori combinati, tra i quali quelli che mi sembrano maggiormente determinanti sono due: la relativa arretratezza dello sviluppo industriale-capitalisico in Italia unita a fattori politici particolari in un paese-frontiera, come lo siamo stati nel dopoguerra e durante tutta la Guerra Fredda.
Le politiche dei decenni scorsi della Democrazia Cristiana (e poi del PSI e degli altri partiti centristi) sono state spinte fondamentalmente da un grosso timore: quello del sorpasso del PCI e il rischio che questo andasse al governo.
La stessa Democrazia Cristiana è sempre stata composta -di fatto- da partitini differenti e spesso molto distanti fra di loro, ma tenuti assieme proprio dal fattore anti-PCI. Partiro, quest'ultimo, che otteneva consensi e adesioni tra la massa dei lavoratri soprattutto delle grandi imprese e dei ceti popolari in genere.
Per ovviare a ciò, la DC (e poi PSI e gli altri) ha favorito in tanti modi la diffusione -appunto- di tutti questi ceti piccolo-imprenditori (negozianti, professionisti, ecc.), in maggioranza legati politicamente ad essa.
Uno di questi modi è la proverbiale tolleranza italica all'evasione fiscale.
Un altro modo è stato lo spezzettamento di grandi imprese per motivi sempre fiscali, ma anche per dividere e indebolire la classe operaia italiana.
Il mito del "piccolo è bello" nasce qui.

Dopo l'89, con la fine della Guerra Fredda e venuto meno il PCI (non a caso subito dopo è implosa anche la DC), sono arrivati i governi di Centro-sinistra e soprattutto Berlusconi. Degno rappresentante della classe imprenditoriale italiana -fra le più incapaci al mondo- invece di investire -anche da Presidente del Consiglio- sulla ricerca e l'innovazione, ha continuato a "campare" sul consenso di questi "ceti medi", mantenendo intatte (anzi, aumentando) evasione fiscale, condoni vari, ecc.



Ma Karl Marx non aveva studiato il capitalismo a vanvera e le dinamiche che egli aveva già allora notato e predetto, ora si stanno drammaticamente verificando.
In particolare, il fatto che le piccole e medie imprese, soprattutto durante le crisi economiche, sono destinate a scomparire e a lasciare il posto ad aziende di dimensioni (e di capitale) via via sempre più grandi e avanzate tecnologicamente.
Questo è ciò che puntualmente (o forse un po' in ritardo, ma poco cambia) sta accadendo: il mondo imprenditoriale italiano, anche quello delle grandi imprese (FIAT in testa) è incapace di competere con le multinazionali straniere e sta sempre più cedendo il passo.
I primi a risentirne sono ovviamente le piccole imprese artigianali, il piccolo commercio e in generale la piccola-media borghesia.
Anche perchè Mario Monti, essendo legato al mondo bancario internazionale, oltre a colpire i lavoratori e i pensionati, non sembra propenso a voler risparmiare neanche questi ceti medi.

A poco serve abbassare ulteriormente il costo del lavoro (in Italia già fra i più bassi) ad esempio abolendo l'articolo 18.
Per rilanciare l'economia italiana (seriamente) servirebbero un piano economico-industriale, investimenti, specie nella ricerca, un rilancio della formazione. Cioè, l'esatto opposto di ciò che è stato fatto negli ultimi anni, prima da Berlusconi e ora da Monti!