domenica 30 dicembre 2012

profezia Maya: la fine della...democrazia!

L'anno 2012 sta terminando ed è giunto il momento di fare qualche bilancio.
La prima cosa da dire è che (anche) quest'anno la disoccupazione è aumentata e il lavoro è sempre più precario.
Moltissime sono le piccole aziende, i laboratori artigianali, i negozi che stanno chiudendo o che hanno già chiuso (con i nuovi esercizi che sono numericamente assai al di sotto dal compensare le cessazioni). Ovunque si registra un crollo della domanda.
Chiudono ospedali, asili-nido, i servizi sono sempre più ridotti e sempre più a pagamento. Le pensioni sono sempre più basse e le tasse e i prezzi sempre più elevati.
E si potrebbe proseguire ancora...

Insomma, la grande maggioranza degli italiani (ma non tutti) si è impoverita.
Di chi è la colpa?
La colpa -se di "colpa" si può parlare- non è nè di Berlusconi, nè di Monti: si tratta di una classica crisi economica, legata al capitalismo. Il capitalismo produce periodicamente delle crisi. Marx l'ha messo bene in luce e ne ha studiato i meccanismi fondamentali, tuttora validi. Non entro in profondità.

Ora, se nella seconda metà del '900 le crisi economiche sono state limitate e soprattutto limitati ne erano gli effetti sulla popolazione (ma anche sulle imprese), ciò era dovuto alla diffusione di politiche di welfare state e di intervento diretto degli Stati nell'economia, spesso gestendo direttamente importanti unità produttive.

Ma il "crollo del Muro di Berlino" e le successive politiche liberiste hanno a poco a poco ridotto, quando non eliminato, tali misure, bollandole come "vecchi residuati ideologici".
Tolti questi correttivi al capitalismo, nulla ne ha più frenato le dinamiche intrinseche,e, con queste, le crisi.
Della serie: ora stiamo cominciando a pagare le conseguenze di un trentennio di "superamento delle vecchie ideologie".
I torti di Berlusconi prima e di Monti poi sono, semmai, quelli di gestire questa crisi nel peggiore dei modi.
Ma ciò non dipende tanto e solo da loro: è tutta l'Europa che richiede tali politiche. E le principali forze politiche (PD compreso) sono in linea con queste.

Tutto ciò, oltre a creare disagi, povertà, malessere sociale, emarginazione e ignoranza, costituisce anche un colpo alla democrazia.
Quest'ultima, infatti, non consiste semplicemente in un sistema di norme formali, quanto in una parteipazione EFFETTIVA della popolazione alle istituzioni e alle scelte politiche , che va molto al di là dell'esprimere un voto alle elezioni.
Ma tale partecipazione presuppone un minimo di coscienza, di benessere, di diritti. Chi è economicamente ricattato o ignorante non sarà mai veramente libero e il suo voto sarà sempre condizionato da chi ha già potere.
L'importantissimo articolo 3 della nostra costituzione (frutto del decisivo contributo dei comunisti, questo Benigni se l'è "dimenticato"), recita: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese."

Il costante aumento dell'astensionismo elettorale e la sfiducia crescente verso "i politici" sono indicativi di come gran parte degli italiani percepisca le elezioni sempre più come uno strumento inutile per risolvere i problemi o per difendere i loro diritti.
D'altronde sta diventando sempre più evidente che le decisioni economicamente importanti sono prese dall'Europa (traduz: dalla Banca Centrale Europea, egemonizzata dalla Germania e comunque NON eletta dai cittadini), dietro il ricatto dello spread, e con l'ossessione -tragicamente sbagliata- che "va risanato il debito pubblico".
Il risultato paradossale è che non solo gli italiani (e i greci, gli spagnoli, i portoghesi, ecc.) si impoveriscono, ma il debito pubblico AUMENTA. E la crisi si aggrava.

In queste condizioni si può veramente parlare di "democrazia"?

giovedì 6 dicembre 2012

a che cosa servono le primarie?

Le primarie del Centro-sinistra (ma praticamente del Partito Democratico) si sono concluse senza grossi colpi di scena. Era abbastanza scontato che vincesse Bersani e che Renzi sarebbe andato benone.
Ci si aspettava, per la verità, qualcosa di più da Nichi Vendola, ma quest'ultimo ha commesso diversi errori e in politica gli errori si pagano.
Ad esempio, ha largamente snobbato la Federazione della Sinistra, si è allontanato da Di Pietro e ha suscitato diffidenza pure da parte della Fiom, ecc. Logico che in questo modo s'è giocato molti potenziali voti di sinistra (da notare che i 3 milioni di partecipanti alle primarie -non pochi, certo- sono comunque meno di un decimo dei voti validi alle ultime elezioni politiche del 2008).

Dunque, Vendola a parte, le cose sono andate più o meno secondo le aspettative. Ma allora a cosa sono servite queste primarie?
In realtà le primarie sono essenzialmente un notevole evento mass-mediatico. Soprattutto, poi, quando vengono sponsorizzate in modo così massiccio dai network (i quali invece tacciono sulla raccolta delle firme per i referendum sull'articolo 18, contro l'articolo 8 e per le pensioni).
Leggevo che i sondaggi -per quanto valgano- danno ora il PD in forte ascesa e, viceversa, i grillini in calo.
Ma i "piddini" hanno poco da esultare. Le operazioni mediatiche di marketing politico hanno effetti nel breve periodo. Già tra 3-4 mesi molti si saranno dimenticati delle primarie e allora avrà più peso la disoccupazione in crescita, la crisi economica, le fabbriche, i negozi e i laboratori artigianali che chiudono, i licenziamenti, i tagli alla sanità, le pensioni sempre più basse.

Ma le primarie, oltre ad essere uno spettacolo mass-mediatico, servono anche ad accentuare la personalizzazione della politica. Per cui si parla magari di Renzi, che è giovane e che vuole "rottamare" la vecchia generazione, oppure di Bersani, che giovane non è, ma che ha un'aria seria. Insomma, si parla di tutto, tranne che dei programmi.
E, infatti, le primarie servono proprio per NON parlare dei programmi, tranne magari qualche accenno, ma in termini di solito vaghi e generici. La competizione viene vissuta quasi come "tifo" calcistico (mi è capitato perfino di leggere termini come "rosicare" scritti da parte di qualcuno, entusiasta perchè ha vinto Bersani).
E d'altronde perchè parlare dei programmi, quando in sostanza sono molto simili?
Tra Renzi e Bersani potrà cambiare qualche cosuccia (tipo sui diritti civili o qualche ammortizzatore sociale in più o in meno, ma poca roba), ma la linea di fondo sarà in entrambi i casi l'agenda Monti.
Le misure "lacrime e sangue" (per i ceti popolari, naturalmente, figuriamoci se qualcuno si azzarderà a scalfire i privilegi) stile Monti -o BCE- proseguiranno, la gran parte della popolazione sarò sempre più ridotta alla povertà e l'economia sarà sempre più depressa e -grande paradosso- il debito pubblico, per il quale queste misure draconiane vengono emanate, invece di diminuire, aumenterà (così come è aumentato sia sotto Berlusconi, che sotto Monti).

Questa usanza di tenere le primarie, come è noto, viene dagli Stati Uniti. In Europa -per quanto ne sappia- esiste solo in Francia. In Italia se ne poteva benissimo fare a meno, ma poi, come sempre, ha prevalso la (pessima) abitudine tutta nostrana di imitare le cose peggiori degli altri.
E, in tempi di spettacolarizzazione mass-mediatica, la politica italiana -già spettacolo in sè- non poteva rimanere senza quest'altro "scoop". Come nascondere, sennò, il fatto che le politiche economiche del Bel Paese vengono in realtà sempre più decise a Bruxelles (o, meglio, a Berlino)? Quelle militari a Washington? Quelle civili (e sempre economiche) al Vaticano?

In Italia sarebbe di estrema utilità parlare, ad esempio, dell'Argentina, che è riuscita ad uscire da una tremenda crisi economica proprio quando lo Stato ha smesso di seguire le politiche di tagli al bilancio pubblico e, anzi, investendo su produzione, ma anche su scuola, sanità e salari.
Bisognerebbe discutere su come rilanciare e ammodernare l'industria italiana, su come andavano bene le aziende nostrane, quando c'era l'IRI e quanto vanno male ora che sono state privatizzate (vedi l'ILVA, l'Alcoa, l'Alitalia, tanto per fare qualche esempio).
Ma no, per carità: si discute di scandali, di "bunga-bunga", del "giovane" e "rottamatore" Renzi e di tante altre stupidate.
Logico poi che gli italiani si facciano un'idea distorta della politica e finiscano per seguire i peggiori ciarlatani e/o a non andare più a votare (come se, non votandoli, i politici si facciano qualche scrupolo e diventino più onesti; semmai il contrario).

Ebbene, a quasto servono le primarie: alla politica-show. Almeno in Italia.

domenica 25 novembre 2012

Togliatti e Kennedy: due attentati a confronto

Il 14 luglio 1948 Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano subisce un attentato con un colpo di arma da fuoco. Per fortuna riuscì a salvarsi e, dopo un intervento e il ricovero ospaedaliero, ritornò al lavoro.
Come è noto, ben altra sorte toccò, 15 anni più tardi (il 22 novembre, esattamente 49 anni fa), al Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, il quale, invece, non sopravvisse al suo attentato.

Fra i due personaggi vi è una cosa in comune: entrambi, al momento dell'attentato, erano i più alti esponenti del fronte progressista nei rispettivi paesi. Entrambi rappresentavano milioni e milioni di elettori; entrambi erano leaders di un grande partito progressista; entrambi "dividevano", se così si può dire, la società tra i loro sostenitori e i loro antagonisti.

Ma tra Togliatti e Kennedy c'erano anche notevoli differenze. A parte quelle politico-ideologiche ben note (comunista il primo, progressista -ma anticomunista- il secondo), c'era un'altra differenza che andrebbe sottolineata e che non riguardava tanto i personaggi nello specifico, quanto i loro rispettivi partiti.

Veniamo alla cronaca:
dopo l'attentato a Togliatti, la reazione del popolo italiano fu immediata ed impressionante: per un'intera settimana l'Italia rimase paralizzata da scioperi, manifestazioni con durissimi scontri (14 morti), occupazioni di fabbriche, assalti ai commissariati (tra i quali quello di Milano).
Insomma l'Italia era in uno stato a dir poco pre-insurrezionale e i poteri forti hanno vissuto sicuramente giorni di grande terrore.
Significativo, tra l'altro, fu il fatto che il tutto si calmò (lentamente) grazie proprio al decisivo intervento dello stesso Togliatti, il quale dal letto del suo ospedale fece appello alla calma e alla cessazione delle agitazioni.

Neanche l'ombra di una simile reazione si riscontra negli USA dopo l'attentato a Kennedy, peraltro mortale, in questo caso.
Certo, ci fu indignazione, costernazione, dolore, dubbi, sospetti. Ma non ci fu alcuna mobilitazione popolare e i poteri forti americani nemmeno per un secondo hanno avuto un accenno di paura.

Perchè tali differenze?
Di motivi se ne potrebbero trovare diversi, ma ce n'è uno -a mio avviso- che appare fondamentale e decisivo: la profonda differenza tra il PCI italiano e il Partito Democratico americano.

Il Partito Comunista Italiano era un partito di massa, fortemente radicato tra i lavoratori e nei quartieri popolari e ben organizzato. Aveva non soltanto una forte teoria, ma lavorava anche sotto l'aspetto culturale, sociale ed economico. Il PCI diede un contributo decisivo alla sprovincializzazione di molti ceti popolari italiani e rimase per decenni un punto di riferimento insostituibile per milioni di persone.
Insomma, era molto più di un semplice partito d'opinione. Gli iscritti -ma anche i soli votanti- si identificavano nel partito e nel "loro" segretario.
Poi, certo, anche il fatto che c'era stata pochi anni prima la Resistenza (in cui lo stesso PCI ebbe un ruolo notevole) diede il suo contributo.

Viceversa, il Partito Democratico americano (così come oggi il PD italiano) era un classico partito d'opinione. Finanziato dalle potenti lobbies, può trovare, tra i ceti popolari, simpatie, voti, qualche vago sostegno, ma niente più.
E' un po' la tendenza che ormai da decenni si è affermata anche in Italia (dove, chissà perchè, si tende ad acquisire sempre e solo le cose peggiori dall'America e mai quelle migliori), dove ormai i partiti di massa sono semi-scomparsi ed è nata una pletora di partiti "leggeri" e d'opinione, spesso facenti capo ad un personaggio famoso. L'ultimo "parto" è un po' l'esaltazione di questa tendenza: il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, fenomeno altamente mass-mediatico.

Senza esaltazioni "rivoluzionarie" o "insurrezionali", ciò che accadde in Italia dopo l'attentato a Palmiro Togliatti dimostra, però, una cosa importante:
che allora i lavoratori e le classi popolari italiane erano organizzate e capaci di dare risposte fortissime e che il potere era costretto a rispettarle e a farci i conti.
Oggi, finche non si ricostruiranno partiti di quel tipo, le grandi lobbies economico-bancario-mafiose dormono sonni tranquilli.
E non sarà certo un grillo parlante a turbarli.

mercoledì 14 novembre 2012

sciopero 14 novembre. Finalmente una risposta europea

Non so se si è capita la portata di ciò che è successo oggi. E' la prima volta che viene indetto uno sciopero a livello europeo.
Non è una banalità e non era un fatto scontato.
Possiamo trovare tante pecche e limiti in questo sciopero, nonchè tante differenze da paese a paese. Ma ciò non toglie che per la prima volta s'è realizzata una protesta contemporaneamente nei vari paesi colpiti dalle misure pesantissime che una politica economica europea assolutamente sbagliata (se ne sta accorgendo perfino il Fondo Monetario Internazionale, il che è tutto dire...) sta portando avanti.

I paesi che hanno aderito ufficialmente allo sciopero sono, oltre alla Spagna (dove è stata concepita l'idea), il Portogallo, la Grecia, l'Italia, Malta e Cipro.
Ma manifestazioni ci sono state pure a Bruxelles, a Parigi e persino in Germania (e mi pare anche da altre parti).
A parte le prevedibili tensioni, lo sciopero e le manifestazioni sono state un successo un po' da tutte le parti. In Italia si è manifestato praticamente in ogni città. E così in Europa. Lavoratori e studenti. Giovani e meno giovani.
Si tratta di un segnale importante.
Ma che non deve finire qui: la costruzione di un fronte sindacale e di protesta il più possibile unitario a livello europeo è sempre più un'esigenza, imposta dai pesanti attacchi al lavoro e alle nostre condizioni di vita a livello continentale.

Le politiche di austerità imposte dalla Banca Centrale Europea ai paesi europei, e basati sul dogma del "risanamento del debito pubblico" stanno impoverendo milioni di greci, spagnoli, portoghesi, italiani e sempre più anche i francesi e altri ancora.
E oltre all'impoverimento, deprimono sempre più l'economia. Solo Monti "vede" la ripresa vicina. Altri parlano di 5 anni. E forse pure di più.

Ma il bello è che le politiche di contenimento del debito pubblico non solo producono povertà e deprimono l'economia, ma STANNO FALLENDO ANCHE SULLO STESSO DEBITO PUBBLICO.
In Italia il rapporto tra debito pubblico e PIL è balzato dal 120% dello scorso anno, quando si è insediato Monti, al 126% di ora.
In Grecia siamo già alla quinta (o sesta, non ricordo) manovra "lacrime e sangue". In teoria, se tali manobre erano giuste, sarebbe dovuta bastare la prima. E invece, notizia di queste ore, il PIL ellenico è a oltre -7% (in Italia siamo al -2,5%). E di risanamento del debito pubblico neanche a parlarne.

Di fronte ad un simile fallimento, non solo si dovrebbe dimettere Monti, ma tutto l'establishment europeo, portatore di queste politiche economiche fallimentari e di massacro sociale.
Ma come fanno a dimettersi i banchieri che decidono -di fatto- le politiche economiche del nostro continente, se non sono mai stati eletti da nessuno?
Eppure i nostri governi prendono ordini da loro, come ormai dovrebbe essere evidente un po' a tutti.
Per questo è fondamentale che si inizi a rispondere a livello europeo.

Tra l'altro la mobilitazione sindacale europea ha avuto un'ulteriore effetto positivo: è riuscita, almeno per un giorno, anche a mettere d'accordo sindacati che normalmente non si guardano in faccia.
Infatti, allo sciopero del 14 hanno aderito sia la CGIL, che l'USB (i Cobas).

Naturalmente (e spero) qui si tratta di un primo passo. Ed era importante iniziare.
L'ampiezza dell'attacco alle nostre condizioni di vita impone che in futuro si prosegua su questa strada di coordinamento e organizzazione a livello europeo delle lotte.

venerdì 2 novembre 2012

Aiuto! Ci scippano la politica!

...e il bello è che moltissimi italiani, forse la maggioranza, neanche se ne sono accorti. O, se se ne sono accorti, non si rendono conto dell'entità del furto.

E in effetti la gente in giro si indigna per via delle tasse o dei vari tagli alle pensioni e ai servizi sociali. E indubbiamente si tratta di un furto pure quello.
Moltissimi si indignano perchè vedono "i politici" con le auto blu, o con stipendi e privilegi che noi neanche ci sogniamo. Certo, si tratta di briciole al confronto di quanto ci viene estorto dalle banche soprattutto e poi dalle grandi multinazionali e in Italia dal Vaticano, autentica macchina mangia-miliardi.
Ci scippano i soldi, il benessere, i diritti. Ma ci scippano qualcos'altro di ancora più grave: LA POLITICA!

Oggi abbiamo una visione molto distorta di ciò che significa il termine "politica". Associamo a questa parola le varie beghe tra i personaggi o tra i partiti -o all'interno di questi- per accaparrarsi delle poltrone. E ci sembra che la politica sia sostanzialmente ciò.
E, siccome certe dinamiche non ci piacciono, la tendenza è a non voler averci niente a che fare. Tendenza che porta, in ultima analisi, al non voto, com'è accaduto -molto prevedibilmente- in Sicilia.
Quante volte abbiamo sentito frasi come: "sono tutti un magna magna", "basta, il mio voto non glielo dò più", "ladri, pensano solo alla poltrona", e simili.

L'aumento dell'astensionismo testimonia la percezione dell'inutilità del voto che si sta sempre più radicando nella popolazione italiana. Per molti è una forma di protesta.
Protesta un po' ridicola, a pensarci bene: al sistema di potere che (mal) governa la Sicilia e l'Italia gli hai fatto il solletico! Continuerà a malgovernare (e a rubare) come e più di prima, senza farsi troppi scrupoli.

Il vero problema è un altro: l'astensionismo crescente, che poi è un astensionismo essenzialmente di estrazione proletaria, è il sintomo del fatto che i ceti popolari hanno perso e stanno sempre più perdendo potere nella società.
Le classi dominanti, che ben tollerano il mugugno popolare contro "i politici", hanno invece paura quando i ceti popolari lottano, quando prendono coscienza e si organizzano e soprattutto quando vogliono andare ad incidere sulle decisioni che riguardano la società. Ossia, quando pretendono di FAR POLITICA.

La diffidenza, se non ostilità, di tantissimi italiani nei confronti della politica purtroppo fa il gioco dei poteri forti. I quali hanno tutto l'interesse a tenere il popolo lontano dalla politica, che deve rimanere appannaggio delle elites economiche (o religiose, che poi sono sempre economiche anche quelle).

Storicamente il popolo ha iniziato a voler incidere nella politica costruendo il suo partito. I primi partiti di massa, infatti, erano partiti socialisti (parliamo dei socialisti veri, niente a che vedere con gente come Craxi).
Non è un caso che l'ostilità nei confronti dei "politici ladri" è stata condita, a partire dagli anni '90, di ideologia anti-partitica. Il partito in Italia era visto -ed è tuttora visto- come il male assoluto della politica.
Certo, c'era una base di verità, nel senso che diversi partiti erano effettivamente diventati luoghi di corruzione e di lotte di potere. Ma, come vuole la buona tradizione italiana, si è gettato via il bambino con l'acqua sporca, accanendosi indistintamente contri i partiti tout-court.

Ora, i poteri forti non hanno bisogni di partiti politici. Governano e rubano anche meglio senza.
Sono i ceti popolari che ne hanno bisogno.
Anche perchè i vari leaders carismatici e santoni -alla Beppe Grillo- possono al massimo dare l'illusione di fare una rivoluzione. Ma non la fanno per davvero e non la possono fare.

Perchè la vera rivoluzione -e ce ne sarebbe bisogno- presuppone che il popolo si organizzi e arrivi ad incidere politicamente in modo cosciente e con degli obiettivi chiari, acquisendo potere nei vari ambiti della società.
Limitarsi a seguire un leader carismatico porta in tutt'altra direzione.

sabato 27 ottobre 2012

dopo la legge sulla stabilità...il terremoto

Non bastava la spending review, altri tagli sono in vista.
Il Governo Monti ha approvato un disegno di legge "per la stabilità". Poco dopo, la stessa natura ha reagito con un terremoto molto, ma molto metaforico.
L'unica cosa che appare buona di tale manovra è la riduzione dell'Irpef (la tassa sugli stipendi), con una riduzione dal 23 al 22% per i redditi fino a 15.000 euro e dal 27 al 26% per quelli da 15 mila a 28 mila euro.
Tale vantaggio sarà, però, ampiamente rimangiato dall'ulteriore aumento dell'Iva dell'1% (l'Iva fa parte delle tasse indirette, ossia quelle socialmente più ingiuste, dato che il povero paga lo stesso importo del multimiliardario).
E naturalmente per i pensionati o chi non ha un reddito regolare, cioè per i disoccupati o i lavoratori precari, tale misura costituisce solo uno svantaggio.

Ma la vera batosta riguarderà -tanto per cambiare- la sanità. Per la quale è prevista una riduzione di spese di ben 1,5 miliardi di euro.
Le ripercussioni di ciò saranno notevoli, dato che molte Regioni non sono in grado di sobbarcarsi tali spese e quindi tutto ciò si tradurrà in un aumento dei ticket e in un deciso peggioramento dei servizi.
Chiuderanno ancora altri ospedali? Probabilmente sì, con tutte le conseguenze sui disagi di tante persone, soprattutto anziane, che dovranno ricoverarsi in luoghi sempre più distanti dalla loro abitazione. E diminuiranno naturalmente anche i posti letto.
Difficile pensare che non ci sarà un'ulteriore perdita di posti di lavoro, soprattutto precari, anche in questo settore.

Ironia della sorte, ciò che lo Stato italiano risparmierà dai tagli alla sanità, lo riperderà di nuovo, grazie agli incentivi per le imprese private.
Dunque, per l'ennesima volta lo Stato italiano da una parte risparmia, tagliando pensioni, lavoro, scuola e servizi. Dall'altro lato ci rimette, con aiuti, incentivi ai privati, continuando sostanzialmente a non contrastare l'immensa evasione fiscale, a non tassare i grandi patrimoni nonchè le colossali ricchezze della Chiesa e facendo enormi spese discutibili (es: l'acquisto dei cacciabombardieri F35 per ben 15 miliardi). Chi si avvantaggerà più di tutto saranno, neanche a dirlo, le banche, che sul debito pubblico si stanno arricchendo in una maniera tanto impressionante quanto incontrastata.

Prima gli italiani capiranno che la faccenda del debito pubblico è solo una scusa per drenare ricchezza dai cittadini (soprattutto dei ceti popolari) a favore delle multinazionali, della finanza e dei ceti possidenti, e meglio è.

giovedì 11 ottobre 2012

la vittoria di Chàvez è un messaggio anche per noi

Quando Hugo Chàvez vinse per la prima volta le elezioni presidenziali in Venezuela, il paese caraibico era ridotto veramente in pessime condizioni sotto numerosi aspetti.
Le ingenti ricchezze che derivavano dal petrolio, di cui il Venezuela è ricchissimo, erano distribuite tutte fra la ristretta elite della borghesia locale e soprattutto delle multinazionali del petrolio statunitensi, le quali facevano grossi affari con l'oro nero venezuelano a bassissimo costo. Il Venezuela era -di fatto- una semi-colonia USA, come un po' tutta l'America Latina.
La grande massa della popolazione venezuelana viveva in povertà, nelle baraccopoli, priva di un minimo di assistenza sanitaria, senza istruzionee completamente emarginata. A livello politico ciò si rifletteva in un astensionismo elettorale che toccava il 70%.

Da quando Chàvez è andato al potere (vincendo sempre democraticamente le elezioni) ha iniziato una politica totalmente innovatrice (nei fatti, non a parole, come siamo abituati in Italia) e ha radicalmente cambiato molte cose.

E' difficile sintetizzare in poche frasi tutti gli interventi della nuova Repubblica Bolivariana: dalle missioni per contrastare la povertà, all'assistenza sanitaria dentro le baraccopoli (mai vista prima), all'enorme impulso dato alla scolarizzazione (l'analfabetismo è quasi scomparso), alla costruzione di migliaia e migliaia di abitazioni per i baraccati, all'aumento dei salari, alla creazione di posti di lavoro e altro.

Per la prima volta nella storia la ricchezza prodotto del petrolio venezuelano è stata usata per il benessere del suo popolo. Il risultato è che alle ultime elezioni del 7 ottobre ha votato oltre l'80% degli aventi diritto (e meno male che da noi in Occidente si parla di Chàvez come di un quasi dittatore; forse per essere "democratici" bisogna fare come da noi: alimentare l'astensionismo e la sfiducia della gente verso la politica).

Anche in politica estera il presidente bolivariano non è stato da meno. Con una politica molto coraggiosa ha affrontato i giganti USA e ne ha ridotto, col tempo, influenza e potere, ma soprattutto è stato un potente traino e stimolo per la svolta progressista dell'America Latina degli ultimi 10 anni. Creando o rafforzando legami economici e politici con gli altri paesi di quel continente (come l'Alba, il Mercosur e altri) e perifino fuori, come dimostrano i rapporti saldi e crescenti con la Cina e con tanti altri paesi del mondo.

Non è stato semplice fare tutto ciò: Chàvez ha subito un tentativo di colpo di Stato, sventato all'ultimo momento, e ha dovuto affrontare una serie di altre insidie e difficoltà.

La vittoria di Chàvez lancia un messaggio anche a noi.
Il messaggio è che le politiche liberiste, che riducono i popoli in miseria, disoccupazione e senza assistenza, e minano la sovranità degli Stati (è successo in America Latina e in tante altre parti del mondo; ora sta accadendo in Europa) SI POSSONO SCONFIGGERE.
Ma per far ciò serve una sinistra VERA. Che rompa una volta per tutte con le politiche liberiste.

venerdì 5 ottobre 2012

diversamente tagli

Le politiche pubbliche rivolte a tutte quelle persone con difficoltà di inserimento sociale, come possono essere i diversamente abili, quelli con patologie mentali, i minori a rischio, e altri ancora, sono indice del grado di maturità, di civiltà e di democrazia effettiva raggiunta da un determinato paese.

E la società dimostra ancor più di essere progredita, nel momento in cui capisce che l'intervento di tipo meramente assistenziale -tranne, ovviamente, in casi gravi- non basta e forse in molti casi neanche serve: molte persone con problemi, hanno delle potenzialità a volte insospettabili e possono essere valorizzate. Tutto sta a essere messe nelle condizioni di poterlo fare.
Tutto ciò richiede un lavoro e, visto che siamo (e ci vantiamo di essere) in una società di "libero mercato", un certo impegno economico.
Molti passi avanti sono stati fatti nei decenni scorsi in tal senso.

Ma in questi ultimi anni le cose stanno cambiando. In peggio.
Dopo i tagli agli Enti Locali effettuati dal precedente Governo Berlusconi, ora sta arrivando la "spending review" di Monti. Ossia, i tagli.
Non certo ai finanziamenti alle scuole private o alle banche o a tutti quei (veri) sprechi che andrebbero, quelli sì, decurtati. No: si decurta sui servizi essenziali.

Il taglio del 5% del budget dei contratti e servizi stipulati dalla Pubblica Amministrazione difficilmente rimarrà senza conseguenze per quanto riguarda le cooperative e le associazioni (anche quelle no-profit) che si occupano di handicap.
Questo significa non solo che i lavoratori di questo settore, particolarmente delicato, vedranno abbassati i loro già miseri stipendi, ma anche che una serie di servizi indispensabili saranno cancellati o subiranno comunque un peggioramento della qualità.
E' da tenere poi presente che tali misure vanno ad aggravare una situazione già negativa, frutto di precedenti tagli a livello regionale (almeno nel Lazio, ma di sicuro anche in altre regioni).

Per quanto riguarda l'occupazione nel settore, l'Anfass (associazione nazionale che si occupa di disabilità intellettivo-relazionale) prevede la probabile perdita di ben 5.000 posti di lavoro in tempi molto brevi. Inoltre almeno 30 mila persone con disabilità rischiano di perdere servizi e strutture fondamentali, con grave danno per loro e pesanti ripercussioni sulle loro famiglie.

Ma non basta: la spending review si sta abbattendo anche sulla scuola e -visto che si parla di diversamente abili- pure sugli insegnanti di sostegno.
Per i quali non è previsto, in teoria, nessun taglio in modo esplicito (anche perchè già ce ne sono stati nel recente passato), però è in vista una manovra preoccupante, cioè, si intende specializzare tutti gli insegnanti nel sostegno, a scapito di quelli già esistenti e che da anni lavorano in modo specifico in quest'ambito con la loro professionalità.
Per cui in un probabile futuro ogni insegnante dovrà occuparsi anche del sostegno, venendo a decadere la figura specifica, con evidenti conseguenze negative, sia per gli insegnanti, che diventeranno dei fac-totum che si dovranno occupare di tutto, che per i ragazzi disabili, che dovranno usufruire di un servizio che per forza di cose sarà molto più scadente di quello una volta fornito da specifici insegnanti.



Se, tornando al discorso iniziale, il grado di civiltà, di progresso, di democrazia di un paese si misura anche dal modo come interviene sulle persone con problemi, non c'è dubbio che in Italia abbiamo già da anni imboccato la via del regresso e stiamo facendo non pochi passi indietro.
A volte viene da domandarsi quanto siano (diversamente) abili gli ultimi governi italiani.

venerdì 21 settembre 2012

Calamità naturali: io speriamo che me la cavo


Finora tutte le volte che in un qualunque angolo d'Italia si verificava qualche disastro dovuto a cause naturali, la notizia veniva ampiamente riportata dai più importanti mezzi di informazione, cioè, i telegiornali e i grandi quotidiani.
Anzi, a volte si esagerava pure nel riportarla, e spesso c'era la tendenza ad un'eccessiva drammatizzazione del fenomeno (verrebbe da dire quasi spettacolarizzazione, come se certi drammi fossero uno "spettacolo"). Drammatizzazione che poi non serviva a fare luce sulle responsabilità umane indirette, ossia, quelle di chi avrebbe dovuto svolgere un lavoro di prevenzione e di intervento in anticipo, laddove possibile e prevedibile, naturalmente.
Comunque sia, terremoti, alluvioni, incendi, grandinate, allagamenti, siccità, frane apparivano puntualmente sui nostri schermi (o giornali) quando questi accadevano in qualunque remoto angolo del Bel Paese.
Ma oggi sembra che qualcosa stia cambiando.

Nei giorni scorsi, le Isole Eolie (poco a nord della Sicilia, per chi non lo sapesse) sono state investite da violenti nubifragi, i quali hanno causato danni ingentissimi. Nessun morto, forse -e meno male- ma comunque danni tali, che la notizia avrebbe dovuto apparire prontamente sui mass-media.
Invece tale evento ha dovuto faticare parecchio prima di essere stato preso in considerazione dalla grande informazione mediatica (e comunque sottotono) e forse c'è arrivato anche grazie ad un intenso tam-tam che c'era stato su internet.

Senza arrivare a dire -come ha fatto qualcuno- che ci sia stata una vera e propria censura della notizia in questione, c'è da rilevare che le è stato dato un risalto decisamente debole e anche un po' tardivo. Perchè?

La cosa è da inserire probabilmente in un mutato clima politico-sociale rispetto agli anni e decenni scorsi. Il decreto n. 59 dello scorso maggio prevede che d'ora in poi lo Stato non risarcirà più in caso di calamità naturali. Saranno gli Enti Locali -se non gli stessi cittadini- a dover intervenire, per qualsiasi intervento di ricostruzione, di tasca propria.
Provvedimento che approfondisce ed aggrava una tendenza già da lungo tempo in atto in diversi ambiti. Ossia, lo smantellamento dello Stato Sociale e, con esso, del concetto per cui le istituzioni hanno il compito di intervenire a tutela delle condizioni di vita dei cittadini, garantendo un minimo di benessere e di servizi fondamentali.
Ufficialmente, perchè bisogna risanare il debito pubblico (ma i soldi si trovano sempre, e in grande abbondanza, quando si tratta di "aiutare" le banche, di finanziare le scuole private, di costruire le varie "cattedrali nel deserto", di acuistare i cacciabombardieri, ecc.).

E' vero che in passato molti Enti Locali (nonchè le varie lobbies, anche mafiose, che ruotano intorno a questi) hanno non di rado approfittato delle calamità naturali, per ricavare -amplificando l'entità dei danni- più soldi possibile dallo Stato. Ma, come al solito, prevale la logica di buttare via il bambino con l'acqua sporca, per cui invece di effettuare controlli a dovere, si preferisce semplicemente tagliare i fondi e far risparmiare soldi allo Stato sulla pelle dei cittadini più deboli o degli Enti Locali privi di sufficienti risorse per ovviare agli ingenti danni.

Una volta che è passata la scelta di non far intervenire più lo Stato in soccorso dei cittadini danneggiati dai cataclismi, il passaggio successivo è quello mass-mediatico. Ossia, chi controlla i grandi mezzi di informazione farà probabilmente in modo di nascondere, per quanto possibile, tali generi di notizie, per limitare il più possibile le polemiche relative al mancato intervento statale.

Staremo a vedere nei prossimi mesi e anni se effettivamente accadrà così. Però, certo, l'episodio delle Isole Eolie francamente lascia un po' perplessi.

lunedì 17 settembre 2012

Proteste nel mondo islamico. Non è solo religione

Ambasciate e consolati assaltati, bandiere bruciate, catene ristoratrici devastate, ambasciatori uccisi (quello USA in Libia). E poi scontri, sparatorie, morti e feriti.
Tutto il mondo islamico è in tensione, ovunque ci sono manifestazioni di protesta. Dal Pakistan al Sudan, dall'Iran alla Tunisia, dallo Yemen alla Libia, dal Libano al Marocco, dall'Afghanistan all'Egitto.
Il tutto sembra essere partito da un film ritenuto offensivo per la religione islamica. Sembra.

Le cose, come sempre, sono un po' più complesse: forse mai come in questo caso si tende a confondere la scintilla con la polveriera. L'offesa provocata dall'uscita del film può essere chiaramente paragonata ad una scintilla. Ma l'odio, la rabbia e la violenza che si sono scatenati in questi giorni in quei paesi hanno motivazioni che vanno ben al di là delle questioni strettamente religiose.
Altrimenti non si spiegherebbe come mai ad essere presi di mira non sono i luoghi di culto di altre religioni (presenti in abbondanza in numerosi paesi a prevalenza islamica), bensì le ambasciate e i consolati. E, neanche a dirlo, soprattutto quelle americane. E ovunque, ad essere bruciate sono le bandiere degli USA e di Israele, non certo quella del Vaticano.
E quali sono queste motivazioni?

Di motivi ce ne sono diversi, ma ciò che su tutti sembra prevalere è l'ostilità contro le politiche dell'Occidente (USA, soprattutto, ma anche Israele ed Europa) degli ultimi anni, che si vanno a sommare a quelle della vecchia Europa colonizzatrice.
Politiche di guerra e di dominio. Diretto ed indiretto.
In quello diretto rientrano la guerra in Afghanistan, quella in Iraq e quella in Libia, nonchè il forte scalpitamento degli occidentali per invadere la Siria (e il loro appoggio ai "ribelli") e per attaccare l'Iran. E mi pare che non è poco.

Il dominio indiretto è più complesso e meno visibile, ma non per questo meno incisivo e dannoso (per loro) e meno fautore di odio e rancore da parte di quei popoli nei confronti degli Stati Uniti soprattutto.
Si tratta di tutti quei paesi retti da regimi autoritari (anche se alcuni appaiono formalmente "democratici") e i cui capi di Stato e i ceti dirigenti perseguono gli interessi euro-americani (oltre che quelli loro) a tutto danno delle popolazioni locali.
Spesso sono paesi produttori di petrolio, che vanno ad arricchire le grandi compagnie petrolifere occidentali e il ceto dominante locale, che ostenta uno sfarzo faraonico, mentre il popolo vive in gran parte in miseria.
Nel dominio indiretto rientrano pure le "rivoluzioni" chiaramente fomentate, armate e finanziate dall'Occidente e dai vari emirati oscurantisti amici di questo, come quella libica e quella siriana.
Ancora più grave è quanto è accaduto di recente in Sudan, dove la parte più ricca di petrolio, quella meridionale, si è scissa dal resto del paese, formando uno staterello, col chiaro appoggio -anche lì- degli USA, nella cui orbita gravita ora il Sud Sudan. E a tutto danno del resto del paese.
Non è un caso che uno dei luoghi dove ci sono stati incidenti gravi in questi giorni è Khartum, la capitale del Sudan.

Quando si verificano queste ondate di manifestazioni di protesta particolarmente forti e violente stiamo attenti a non cadere nella facile tentazione di dare un giudizio superficiale (e dettato dai forti pregiudizi che abbiamo nei confronti dei popoli islamici) e di bollare tali episodi come "fanatismo religioso".
Infatti, al di là della causa scatenante, ci sono quasi sempre motivazioni assai più profonde.

mercoledì 5 settembre 2012

Toh, la disoccupazione aumenta. Ma va?

A volte è veramente incredibile come certe notizie vengono riportate, quasi fossero eventi inaspettati, quasi fossero calamità naturali, sulle quali nessuno può farci niente, tantomeno prevederli.
E' il caso della notizia arrivata qualche giorno fa e che riporta i dati dell'Istat sull'aumento della disoccupazione in Italia negli ultimi anni.

I dati riportano che nel Bel Paese l'indice di disoccupazione è arrivato al 10,5% nel secondo trimestre del 2012, aumentando di ben 2,7 punti percentuali, rispetto al 2011. Un aumento veramente vertiginoso. Era dal 1999 che non si aveva un dato così elevato.
E l'allarme riguarda soprattutto, neanche a dirlo, la disoccupazione giovanile. Il tasso di disoccupazione dei 15-24 enni è del 35%, con forte aumento dallo scorso anno (in cui era già molto elevato).
Ancora più elevata è la disoccupazione femminile. Quasi la metà delle giovani donne del Mezzogiorno è in cerca di lavoro (48%).

Esiste un noto detto che recita così: "vuole la botte piena e la moglie ubriaca", per indicare chi non si rende conto che in molte circostanze, se si toglie da una parte, si deve poi aggiungere dall'altra, altrimenti il risultato è una perdita.
Sembra un discorso apparentemente semplice e scontato, eppure, strano a dirsi, ma -fuor di metafora- questo aumento della disoccupazione, risultato delle politiche recenti (e meno recenti) e prevedibilissimo, coglie ufficialmente tutti impreparati.

Negli ultimi 10 anni in Italia assistiamo ad un continuo aumentare dell'età pensionabile. Dai precedenti Governi Berlusconi al Governo Monti le riforme costringono i lavoratori over 60 a dover lavorare ancora per diversi anni.
Ora, è chiaro che se io aumento l'età pensionabile -a parità di lavoro- tolgo necessariamente occupazione ad altri, e quindi ai giovani.
Questo a parità di lavoro. Purtroppo il lavoro in Italia non è pari, ma sta diminuendo con gli anni e quindi gli effetti sui giovani (e meno giovani) sono ancora più devastanti.

Ma il problema non è soltanto l'età pensionabile. Mancano gli investimenti produttivi.
O, meglio, ci sono, ma sono scarsi e comunque molte aziende italiane preferiscono spostare la produzione all'estero (delocalizzazione).
Perfino la FIAT, sta, a poco a poco, smantellando le fabbriche sul territorio italiano. E questo, si badi, dopo aver ottenuto per anni e anni miliardi di euro di aiuti dallo Stato Italiano.
A differenza della Germania o di altri paesi, l'imprenditoria italiana è particolarmente restìa ad effettuare investimenti a rischio.
E tutto ciò produce disoccupazione. E precariato.

E sì che nel nostro paese già dagli anni '90 sono state realizzate diverse riforme del lavoro, le quali in teoria dovevano servire proprio a favorire gli investimenti e, con essi, a contrastare la disoccupazione.
A partire dalla cancellazione della Scala Mobile, all'introduzione di varie forme di contratti a termine, part-time, all'introduzione del lavoro interinale, e poi con forme sempre più precarie, tipo le collaborazioni e i contratti a progetto.
Il risultato è stato l'enorme crescita del lavoro precario. Ma la disoccupazione è rimasta lì.
Anzi, aumenta.
A tutto ciò vanno aggiunte le ultime manovre economiche del Governo Monti (tipo la "spending review"). I cui futuri effetti recessivi sono stati lamentati addirittura dal Presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi.

In realtà si potrebbe fare moltissimo per combattere la disoccupazione, il precariato e rilanciare gli investimenti produttivi. A cominciare dalla nazionalizzazione di tutte quelle grosse imprese che stanno per chiudere o che sono in crisi (e per le quali spesso lo Stato Italiano ha già speso tantissimi soldi, con incentivi e aiuti vari). Lo Stato -il privato non lo farà mai- può effettuare numerosi investimenti utili (acquedotti, trasporto pubblico, ecc.) e che producono lavoro.
Ma perchè accada tutto ciò, andrebbe rimessa completamente in discussione la filosofia economica che ha mosso gli ultimi governi italiani, ossia, il neo-liberismo.

E' veramente triste il fatto che decine di migliaia di giovani italiani (e spesso di cervelli) siano e saranno sempre più costretti ad andare all'estero per trovare un lavoro e per poter sperare in una sistemazione.
Ma sembra che l'unica cosa che veramente importa ai governi sia il rispetto dei conti statali e il calo del debito pubblico. Che però, nonostante ciò, aumenta lo stesso. Assieme alla disoccupazione.

lunedì 27 agosto 2012

Caso-Assange, Ecuador e Occidente

Recentemente si è parlato parecchio del caso-Assange e del suo essersi rifugiato all'interno dell'ambasciata ecuadoregna a Londra, nonché dell'accoglimento, da parte dello Stato sudamericano, della sua domanda di asilo politico.
Ma, intanto, chi è Assange?
Molti di sicuro già lo sanno, ma forse non tutti.

Julian Assange è stato protagonista negli ultimi anni di una serie di rivelazioni -ottenute abilmente via web- su documenti segreti americani e un po' di tutti gli Stati del mondo e che vengono pubblicate sul sito di "wikileaks".
Naturalmente la pubblicazione di numerosi documenti segreti non può che dare fastidio ad una serie di governi, Stati Uniti in testa. Molti di quei documenti riguardano infatti le guerre in Afghanistan e in Iraq.
La Gran Bretagna preme per avere Assange, al fine di estradarlo in Svezia (dove è formalmente accusato di reati sessuali). Ma il fortissimo sospetto è che dalla Svezia Assange venga poi dirottato negli USA, dove rischierebbe addirittura la condanna a morte, per divulgazione di materiale segreto (e meno male che poi sarebbe la Cina a reprimere le voci critiche...).
Dunque, Julian Assange si trova (nel momento in cui scrivo) ancora nell'ambasciata dell'Ecuador.
Il quale si guarda bene dal consegnarlo alle autorità britanniche, nonostante le fortissime pressioni da parte degli inglesi. Arrivando a concedergli asilo politico.

Quest'ultimo fatto non solo non era per niente scontato, ma, anzi, costituisce una novità e un evento storico notevole: soltanto fino a pochi anni fa era impensabile che un piccolo Stato del Sudamerica (ma neanche uno grosso) si rifiutasse di cedere alle richieste di un paese come la Gran Bretagna, soprattutto, poi, quando si intuisce molto facilmente che dietro tale richiesta ci siano gli Stati Uniti.
Tale decisione è stata veramente coraggiosa e fa onore al nuovo Ecuador di Rafael Correa.

Questo episodio fa venire in mente il recente comportamento del Brasile di fronte alla richiesta, da parte dell'Italia, dell'estradizione di Cesare Battisti, accusato di terrorismo, e rifiutata da parte del governo carioca.
Le forti proteste e l'indignazione del Governo Berlusconi e di tanti italiani, apparentemente comprensibili, in realtà lo sono molto di meno se si tiene presente che di rifiuti simili (anzi, ben peggiori, soprattutto per i reati commessi) l'Italia ne ha subiti a decine negli scorsi decenni. Solo che finché sono la Francia, o gli USA o il Giappone a negarci l'estradizione di terroristi, criminali e stragisti, passi. Ma quando lo fa il Brasile -paese considerato (a torto) "inferiore" a noi- allora, e soltanto allora, scatta l'orgoglio nazionale e il senso di superiorità di essere un paese europeo (per modo di dire...).

Questi due episodi -quello dell'Ecuador con la richiesta del Regno Unito e quello del Brasile con l'Italia- sono emblematici di qualcosa che sta cambiando.
Oggi il continente sudamericano ha smesso di essere ciò che è stato per secoli, ossia, il "cortile di casa" degli Stati Uniti.
Il potente sviluppo economico, sociale, politico e culturale che sta sempre più abbracciando l'America Latina degli ultimi anni, sta portando delle trasformazioni veramente epocali. Basti pensare, ad esempio, che il Brasile ha recentemente sopravanzato l'Italia per la produzione industriale.

Il Sudamerica sta, finalmente, scrollandosi di dosso quella subalternità agli USA e all'Europa che l'aveva caratterizzata per lunghi secoli e fino a pochi anni fa.
Solo che, come spesso succede in questi casi, molti da noi in Europa e in Occidente in genere, non se ne stanno accorgendo, o -soprattutto- non vogliono o fanno finta di non accorgersene. E continuano ad ostentare un senso di superiorità nei confronti dei sudamericani, che, con il passare degli anni, sta diventando sempre più anacronistico, se non ridicolo.

sabato 28 luglio 2012

Siria, una rivolta...decisa a Washington

In Siria è guerra. Ma che guerra è?
La campagna mass-mediatica di (dis) informazione che da mesi ormai dilaga sugli avvenimenti del luogo opera una sistematica distorsione delle notizie che ci giungono.
Le "notizie" che ci vengono quotidianamente riportate non partono da nessuna fonte un minimo ufficiale. Ossia, non soltanto non provengono da fonti governative -e questo potrebbe anche essere in teoria comprensibile- ma nemmeno da forze politiche di opposizione o dei vari gruppi religiosi conosciuti. Le fonti sono quelle di generici "ribelli" o del misterioso "Esercito Libero Siriano".

Chi sono questi ribelli?
Tutto lascia pensare che si tratti di mercenari professionisti -spesso estremisti islamici- provenienti da paesi quali l'Afghanistan, la Libia, il Qatar, l'Arabia Saudita e altri ancora.

Su queste basi, la nostra "informazione" ci fa credere che in Siria sia in corso una rivoluzione (magari anche sull'onda della primavera araba) contro il regime di Assad, dipinto come particolarmente antidemocratico e oppressivo.
NON intendo qui difendere il governo siriano, che ha certo i suoi grossi limiti. Ma se consideriamo la situazione complessiva del Medio Oriente di sicuro tale regime non figura tra i peggiori. Molto più repressivi, oltre che assolutisti e oscurantisti sono l'Arabia Saudita, il Qatar e i vari emirati.
Solo che di questi ultimi non si parla perchè hanno buoni rapporti con gli Stati Uniti e quindi nessun governo occidentale (nè i relativi mass-media) sente il dovere di "esportarvi la democrazia".
Viceversa, la Siria, che pure è rimasta uno dei pochi Stati laici del Medio Oriente e dove convivono pacificamente confessioni religiose molto diverse tra loro, ha però il "torto" di non piegarsi al dominio di USA e Israele.
Da qui nasce la rivolta armata, chiaramente finanziata, appoggiata da diversi Stati limitrofi e -in ultima analisi- decisa a Washington.

Chiunque ha una certa infarinatura di politica del Medio Oriente e la segua da qualche anno sa che la Siria in questi ultimi 10 anni almeno ha sempre rappresentato un ostacolo per le mire yankee (e sioniste). Era chiaro che lì DOVEVA prima o poi succedere qualcosa. La Siria è troppo anti-USA perchè potesse rimanere un paese tranquillo, come lo è stato fino ad un anno fa.

Bene hanno fatto Cina e Russia a votare contro la risoluzione ONU.
Intanto perchè la risoluzione 1973 sulla Libia dello scorso anno (in quell'occasione s'erano astenute) è stata pesantemente violata dall'intervento della NATO, che invece di limitarsi a far rispettare la "no fly zone" -come prevedeva la risoluzione- ha bombardato le città e l'esercito libici, permettendo ai "ribelli" (anche in questo caso rimane tutto da chiarire chi fossero tali ribelli) di vincere la guerra. E, preso il controllo sul petrolio, di escludere i cinesi dagli affari con l'oro nero (il che la dice lunga sulle reali motivazioni che stavano dietro l'intervento della NATO).

La nuova strategia degli USA e dell'Occidente adesso non è più quella di "esportare la democrazia" invadendo direttamente i paesi (visti tra l'altro i brillantissimi successi in Iraq ed in Afghanistan). Ora si esportano le rivolte.
Ossia, si addestrano decine di migliaia di terroristi e mercenari di vari paesi (in questo caso arabi) i quali provocano incidenti, fanno attentati, seminano il terrore e costringono il governo vittima di questi attacchi ad intervenire in modo repressivo.
Con la complicità dei mass-media parte una massiccia campagna di disinformazione, che condiziona l'opinione pubblica, predisponendola a favore di un intervento "umanitario". Intervento che poi viene eseguito naturalmente dagli USA o dalla NATO (o da qualche paese o leader fantoccio, tipo Sarkozy).
Il risoltato finale, se la cosa ha successo, è la creazione di un governo malleabile agli interessi statunitensi innanzitutto e soprattutto delle relative multinazionali.

Per le popolazioni locali le condizioni di vita al 90% peggioreranno. Ma questo i nostri efficientissimi mass-media tanto non ce lo diranno.
Ci dicono nulla su come il popolo libico sia ora finalmente "felice", dopo la caduta di Gheddafi?

lunedì 23 luglio 2012

Ma perchè lo Stato Italiano scende a patti con la mafia?

In queste ultime settimane sono riemerse le voci circa il patto tra Stato e mafia che ci sarebbe stato nei primi anni '90, in seguito agli attentati terroristici e poi all'assassinio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Sono in molti a ritenerlo, a cominciare dal Presidente del Tribunale di Palermo Leonardo Guarnotta, ad Antonio Ingroia, Procuratore.
Traggo spunto da queste ultime vicende per porre una domanda. Una domanda che è tanto semplice a farsi quanto estremamente difficile a rispondersi: per quale motivo l'Italia è l'unico paese -quantomeno in Europa- ad ospitare al suo interno delle organizzazioni di tipo mafioso?
Ossia, parliamo di strutture criminali, con un fortissimo radicamento nel tessuto sociale d'origine (e non solo d'origine) e una discreta presenza nelle istituzioni, come lo sono Cosa Nostra, la Camorra, la Ndrangheta e la Sacra Corona Unita.
Qui non abbiamo a che fare con semplici bande criminali, come ne esistono in molti paesi, composte da qualche decina -o massimo poche centinaia- di persone, prive di un sostegno sociale diffuso e con scarsa o nessuna copertura istituzionale.

Sono state date diverse interpretazioni del fenomeno. Naturalmente è impossibile in quest'articolo esaminarle anche solo sinteticamente. Mi limiterò a fare qualche osservazione.
La nascita e lo sviluppo di tali organizzazioni è da mettere in relazione, almeno in una prima fase, con lo stato di semi-colonia -non dichiarata, ma di fatto- nella quale s'è venuta a trovare l'Italia Meridionale (Roma e Lazio compresi) dopo l'Unità d'Italia. La classe dirigente politica sabauda e la forte borghesia industriale-commerciale del Nord scelsero di sviluppare in pratica solo le regioni settentrionali, lasciando il Mezzogiorno nell'arretratezza.
La classe dirigente meridionale, un po' per limiti intrinseci e un po' per subordinazione a quella del Nord ha prodotto una serie di contraddizioni economico-politico-sociali, all'interno delle quali si sono sapute ben inserire le organizzazioni mafiose.

Nel secondo Dopoguerra Cosa Nostra si è rafforzata ed espansa, grazie anche al rapporto ambiguo che gli Stati Uniti hanno mantenuto con essa (basti pensare al ruolo decisivo svolto da Lucky Luciano nello sbarco alleato in Sicilia).
Inoltre, gli USA hanno utilizzato il Piano Marshall (ERP) per distribuire provvidenziali risorse alle forze politiche di centro (DC in primis), da gestire in modo clientelare e corrotto, in funzione anti-comunista. E anche qui le varie mafie si sono sapute ben inserire.
Ma le organizzazioni mafiose hanno avuto addirittura "una marcia in più". Al contrario della classe dirigente meridionale "legale", con un'ottica meramente gestionale, conservatrice, sonnolenta e tesa a vivacchiare, i mafiosi si sono dimostrati -a modo loro, purtroppo- molto più spregiudicati, veloci e capaci non soltanto nel controllo del territorio, ma anche nel fiutare nuove attività redditizie, come, ad esempio, il narcotraffico o la gestione dei rifiuti (negli ultimi anni spesso al centro della cronaca, soprattutto in Campania).

Il vasto e diffuso consenso sociale di cui godono spesso le organizzazioni mafiose nel loro territorio d'origine non può essere spiegato certo soltanto con l'omertà. Ci piaccia o non ci piaccia, le mafie fanno girare l'economia di molte zone e creano lavoro, laddove l'unica alternativa è spesso soltanto l'emigrazione.
Dico questo non certo per giustificare Cosa Nostra, Ndrangheta, Camorra e SCU, bensì -al contrario- per denunciare le profonde carenze e limiti della classe dirigente economica -prima che politica- italiana. E non tanto di quella meridionale, quanto di quella del Nord, che in questi 150 anni ha molto speculato sull'arretratezza del Mezzogiorno.

E veniamo finalmente al rapporto Stato-mafia.
Tommaso Buscetta, pentito di mafia considerato tra i più attendibili, ha più volte affermato che Cosa Nostra è tutt'altro che imbattibile e che se lo Stato italiano si fosse deciso a contrastarla con energia e fermezza, l'avrebbe sconfitta.
Il problema è che non l'ha voluto.
Ossia, se si eccettuano singoli personaggi eroici, non c'è stata complessivamente da parte delle istituzioni una seria politica di lotta alla mafia (anzi, alle mafie).

E il problema non riguarda solo lo stato italiano. Oltre ai già citati USA, a trafficare, almeno finanziariamente, con Cosa Nostra abbiamo avuto anche lo IOR di Marcinkus. Ossia, il Vaticano. E restano tutti da chiarire i rapporti tra l'Opus Dei e il boss della Banda della Magliana, De Pedis (in contatto con Cosa Nostra attraverso Pippo Calò).

In questo contesto non c'è dunque da meravigliarsi di fronte alla notizia emersa recentemente del patto tra Stato e mafia. C'è invece da preoccuparsi quando lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgo Napolitano non trova di meglio che inveire contro i magistrati, che indagano su ciò, esaminando le intercettazioni del Quirinale.
E quando un procuratore come Antonio Ingroia è costretto a lasciare l'Italia.

domenica 15 luglio 2012

Come mai l'Argentina ha risolto la crisi e la sua economia è in ripresa?

La risposta si potrebbe facilmente sintetizzare con una battuta: perchè ha fatto l'esatto opposto di ciò che si sta facendo da noi, in Europa.
Ma approfondiamo la questione.
L'Argentina non è mai stato un paese povero. Anzi, all'interno dell'America Latina la sua economia si difendeva abbastanza bene.
Le cose hanno iniziato a cambiare a partire dalla dittatura degli anni 1976-83.
Ma il grosso peggioramento lo abbiamo avuto negli anni '90, sotto la presidenza di Carlos Menem.
Egli attuò una serie di politiche ispirate all'ideologia liberista: privatizzazioni, tagli ai salari, ai servizi sociali.
Il risultato fu un peggioramento dell'economia, una perdita di competitività con l'estero, aggravata da una politica di parità Peso-Dollaro (che tanto ricorda l'Euro). E ancora, aumento vertiginoso della disoccupazione, della povertà e delle diseguaglianze sociali. Nonchè indebitamento.

Per far fronte al quale, l'Argentina ricorse al FMI (Fondo Monetario Internazionale). Il quale impose al paese politiche liberiste ancora più radicali. La conseguenza è che la crisi si aggravò ancora di più (qualcuno ricorda i "bond argentini"?) ed esplosero forti tensioni sociali.
Non solo i ceti popolari caddero in miseria, ma l'indigenza raggiunse perfino settori di piccola-media borghesia.

Ma alla fine, dopo le rivolte del 2001-02, e sulla spinta di queste, arrivò alla presidenza Nestor Kirchner.
Il quale ha mutato profondamente le politiche economiche del paese sudamericano.
Ha nazionalizzato diverse industrie, s'è sganciato dalla parità col Dollaro e dal FMI, ha incrementato le spese sociali e creato nuovi posti di lavoro.
L'Argentina ha incominciato a dipendere sempre meno dalle importazioni e soprattutto ha fortemente ridimensionato le pretese egemoniche degli Stati Uniti, facendo fallire la costituzione dell'ALCA (trattato di "libero commercio" americano, in cui gli USA, su posizioni di forza, l'avrebbero fatta da padroni).
S'è, viceversa, appoggiata al Mercosur (mercato comune del Sudamerica), che però è un organismo molto più egualitario di tanti altri, compreso l'Unione Europea, e non prevede le rigidità di questo.
Il riusultato è che oggi l'Argentina è in piena ripresa economica.



E in Europa?
I paesi dell'Unione Europea perseguono sostanzialmente politiche molto simili a quelle praticate in Argentina negli anni '90 (e in tanti altri paesi, sempre con risultati simili).
In Grecia prima e poi in Irlanda, nel Portogallo, in Spagna e naturalmente anche in Italia abbiamo tagli alle pensioni, alle scuole pubbliche (ma non a quelle private), alla Sanità, licenziamenti in massa, privatizzazioni, deindistrializzazione, aumento delle tasse concentrato tutto sui ceti medio-bassi (di patrimoniale neanche a parlarne).

Insomma, una politica che, con la scusa del debito pubblico, non soltanto cancella i diritti dei lavoratori e il futuro di milioni di giovani e meno giovani, ma alla fine non risolve minimamente il problema per cui tali manovre erano state in teoria partorite.
Il debito pubblico rimane altissimo e il rapporto tra questo e il PIL non si abbassa (e difficilmente lo farà in futuro). Anche perchè le politiche del Governo Monti sono fortemente recessive e dunque non potranno che abbassare il PIL.
Tale denuncia proviene, tra l'altro, da una fonte non sospetta: Giorgio Squinzi, neopresidente di Confindustria, il quale sostiene che il calo del PIL nel 2012 potrebbe arrivare a -2,4% e ha dichiarato che la "spending review" è una manovra recessiva.
Ha poi subito un vero e proprio linciaggio morale per aver osato dire una cosa, che è fin troppo palese, ma che evidentemente non si può dire "...altrimenti fa aumentare lo spread".
Il quale spread, però, è aumentato lo stesso, anche dopo che Squinzi è stato costretto a chiedere scusa per la sua affermazione.

Io mi auguro che non dovremo arrivare alla situazione di miseria che si era arrivati in Argentina nei primi anni '2000, perchè ci si renda conto che bisogna cambiare radicalmente le politiche economiche. Ma, certo, Berlusconi prima, e ancora di più Monti ora, stanno dando una decisa accelerata in tale direzione.

domenica 1 luglio 2012

Riforma Fornero, il lavoro non è più un diritto

Dai e dai, alla fine anche l'articolo 18 è stato -di fatto- cancellato.
La riforma del Ministro del Lavoro Elsa Fornero è passata in Parlamento e ha abbattuto una delle poche tutele che i lavoratori ancora mantenevano.
Non va dimenticato -per comprendere appieno il significato di ciò che sta accadendo- che in passato ci sono voluti decenni e decenni di lotte, anche durissime, per riuscire ad ottenere certi diritti, tra i quali quello di non essere licenziati senza una giusta causa. Ora questo diritto è perduto.

Uno dei paradossi della faccenda è che in Italia la libertà di licenziamento, anche senza giusta causa, già esisteva. Qualunque persona che lavora senza un contratto a tempo indeterminato è licenziabile come e quando il padrone vuole. Basta semplicemente non rinnovare il contratto o la collaborazione.
E, a dire il vero, persino i lavoratori con contratto a tempo indeterminato sono stati spesso licenziati, soprattutto negli ultimi anni. Cìò capita, frequentemente, se l'azienda è in crisi economica.
E l'elevato numero di esodati (ultracinquantenni espulsi dal lavoro e che non possono andare in pensione, dato l'innalzamento dell'età pensionabile) lo dimostra.

Grazie a questa riforma le aziende private come gli enti pubblici potranno licenziare più facilmente e si allarga ulteriormente l'utilizzo del precariato, con la generalizzazione del contratto di apprendistato, che non prevede l'obbligo dell'assunzione.
E, come se ciò non bastasse, c'è un ulteriore taglio agli ammortizzatori sociali.

Il vero obbiettivo di tali misure è quello di poter esercitare un maggior ricatto nei confronti del lavoratore.
E' noto che chi corre il rischio di perdere il posto di lavoro tende a partecipare meno a qualsiasi iniziativa di lotta e sindacale.
Contrariamente a quanto molti pensano, ciò non porterà ad un miglioramento delle prestazioni lavorative. L'esperienza insegna che i lavoratori precari non lavorano meglio di quelli tutelati, anzi, proprio il contrario. Il precario, soprattutto se sa di non avere prospettive di una futura stabilizzazione, è molto demotivato nel lavoro.



Secondo ciò che viene detto, la riforma Fornero dovrebbe servire a rilanciare la produzione e di conseguenza l'occupazione. Ho perso il conto di quante misure nel passato -a cominciare dall'abolizione della scala mobile- dovevano in teoria servire a tale scopo. E poi invece non sono servite a niente (se non ad arricchire le banche).

Ma se vogliamo farci un'idea un po' più concreta di quanto possa essere efficace tale riforma, ci basta andare a vedere le numerosissime aziende medio-piccole, dove la maggior parte dei lavoratori -se non tutti- opera in condizioni di facile licenziabilità: stanno chiudendo a decine di migliaia.
E quelle che non chiudono, si barcamenano.

La Riforma Fornero serve solamente per permettere agli imprenditori di poter fare ciò che in tempi di crisi (come questi) tendono istintivamente a fare. Ossia, a licenziare.
Tale politica miope porta inevitabilmente ad un ulteriore aggravamento della crisi, a meno che non intervengano altre circostanze -ma francamente non ne vedo- e quindi ad ulteriori tagli e licenziamenti.

Non un marxista, bensì un economista borghese (ma illuminato) tale John Maynard Keynes descrisse abbondantemente tale meccanismo. E disse che per ovviare a ciò, lo Stato -il tanto decantato privato, infatti, non lo farà mai- doveva intervenire, aumentando le spese e creando posti di lavoro, anche inutili ("scavare buche per poi riempirle"). Così facendo rimetteva in moto i consumi e quindi l'economia. Cioè, l'esatto opposto di ciò che si sta facendo oggi, non solo in Italia, ma in tutta Europa (e ovviamente negli USA).
L'ideologia liberista -oggi dominante in tutto l'Occidente- lascia il cosidetto "libero mercato" (traduz.: mercato finanziario, spesso del tutto estraneo alla realtà economico-produttiva) ai suoi "istinti".
E quindi, licenziamenti a volontà e facilissimi.

Benvenuta, crisi, la strada per te è spalancata!

martedì 5 giugno 2012

Terremoto: una calamità naturale. Ma non solo...

Fare delle considerazioni generali su un terremoto e i suoi effetti non è mai cosa troppo semplice, viste le reazioni emotive dei lettori. Facile scadere nella retorica o nei commenti banali e scontati o in frasi strappa-applausi, ma che però poi non portano a niente di concreto.
Ci vuole pure poco per essere accusati di strumentalizzare un evento drammatico, quando si tenta di indagare delle responsabilità per tali drammi.
Perchè, sì, è vero che un terremoto, come un'alluvione, sono eventi naturali spesso non prevedibili. Sono "capricci" della natura, su cui gli esseri umani possono farci poco.

Ma è anche vero che, in realtà, possiamo farci spesso molto più di quanto si è portati di solito a pensare. Ossia, prevenire.
Non si spiega altrimenti come mai in Giappone terremoti assai più potenti di quelli italiani producono di solito danni umani e materiali molto minori.
Molti degli edifici o capannoni industriali in Emilia -così come all'Aquila tre anni fa- sono crollati, perchè costruiti con materiali scadenti o comunque non in regola con le norme antisismiche. Parlo naturalmente delle costruzioni recenti (su quelle antiche personalmente ignoro se esistano delle tecniche per renderle antisismiche).



Stesso discorso va fatto -anzi, qui a maggior ragione- per le alluvioni: si costruisce a destra e manca, senza un minimo di criterio, spesso abusivamente (ma tanto poi i condoni edilizi sono la normale prassi), finchè poi la natura "si ribella", distruggendo strade, case, facendo vittime, ecc. Quando questo accade, come al solito tutti che piangono per la disgrazia, tutti che solidarizzano con gli alluvionati, per poi, passati i canonici 3-4 giorni, ritornare alla vita normale e, soprattutto, a ricostruire nei luoghi più assurdi, come se niente fosse.

Allora, le frasi di circostanza, del tipo "siamo solidali con i terremotati" in questi giorni servono a poco. Al limite una frase così andrebbe detta fra 2/3 mesi, quando tutti ormai -tranne gli abitanti del luogo- si saranno dimenticati del terremoto e i riflettori dei mass-media saranno puntati altrove, magari sulle prossime nozze di qualche principe o sulla farfallina di Belen (vedi la popolazione dell'Aquila, già dimenticata da tutti).
Frasi come "di fronte al dolore dobbiamo essere uniti", oppure "non strumentalizzare il dramma umano", a che servono? A volte mi sembra soltanto a coprire le responsabilità di tutti quelli che potevano (anzi, dovevano) intervenire in senso preventivo prima che succedesse il disastrro e si sono guardati bene dal farlo.
Purtroppo è vero: l'Italia è il paese del "finchè non ci scappa il morto...(e anche dopo che ci è scappato e tutti se ne sono dimenticati)...tirammo a campà". E qualcuno ci si arricchisce sopra. Vedi, ad esempio, i costruttori, risparmiando sul materiale e altro. E qualcun altro ci muore.

Allora sarebbe sicuramente utile stanziare soldi per questi eventi. Ma sarebbe forse ancora più utile combattere seriamente la varie mafie che si annidano nelle istituzioni. Altrimenti, come sempre succede, lo Stato stanzia i soldi, ma poi questi chissà dove vanno a finire...

Purtroppo in Italia, la tendenza non è quella di aumentare la prevenzione, ma esattamente il contrario. Gli ultimi governi, e in particolare il Governo Monti, tagliano fondi a tutto spiano, secondo la logica che i cittadini e gli Enti Locali debbano arrangiarsi da soli.
Recentemente è passato il decreto per cui lo Stato non risarcirà più i cittadini colpiti dalle calamità naturali.
I privati, nonchè gli EELL, dovranno ricorrere alle polizze assicurative. Ennesimo regalo -come se ce ne fosse bisogno- a quei pescecani delle compagnie assicurative (chiedo scusa ai pescecani per il paragone offensivo).
E dove li trovano gli EELL i soldi per assicurarsi? Ma naturalmente tartassando ulteriormente i poveri cittadini.

Altro che terremoto...

giovedì 24 maggio 2012

gli elettori europei bocciano il rigore BCE

In questo maggio ci sono state delle votazioni in diversi paesi europei. Le più importanti sono state le presidenziali in Francia e le politiche in Grecia.
In modo particolare, in quest'ultimo paese la bocciatura delle politiche restrittive, del "rigore", decise dalla BCE e dal FMI da parte del popolo ellenico non poteva essere più netta!
Ma anche in Francia Sarkozy ha subito una dura sconfitta. Vincitore, come sappiamo, è stato Francoise Hollande, che ha promesso -se poi lo manterrà è ancora tutto da vedere- un cambiamento nelle politiche economiche. Decisivo per il trionfo di Hollande è stato l'apporto del Front de Gauche (e del PCF).

Nelle ultime amministrative italiane il dato sicuramente più importante è stato l'aumento dell'astensionismo. Il secondo dato significativo è l'ascesa dei "grillini". In entrambe i casi è la protesta (o la disillusione) a prevalere.
Ma la cosa forse più significativa sono i risultati delle elezioni in due laender tedeschi: soprattutto nel Nordreno-Westfalia la CDU, il partito di Angela Merkel, prende una batosta.
Se pensiamo che la Germania è fra gli Stati europei meno toccati (finora) dalla crisi economica, e dove (ancora) non si parla di manovre restrittive, il risultato è veramente notevole!

Quindi, al di là delle differenze tra paese e paese, il dato comune che emerge è la netta contrarietà all'Europa delle banche. Quella che ha imperato finora.
Per la Grecia si profila addirittura un'uscita dall'euro. Non sappiamo al momento se ciò accadrà, ma penso che quest'eventualità -anche nel caso dell'Italia- avrebbe vantaggi, ma anche svantaggi.
La questione da risolvere, secondo me, è un'altra: lo strapotere del capitale finanziario.
Non mi stancherò mai di ripetere che la Cina è uscita dalla crisi perchè lì lo Stato controlla le banche e non viceversa, come da noi.

C'è un meccanismo perverso e assurdo, per il quale la BCE quando presta i soldi agli Stati, i cosidetti "aiuti" (a mettersi il cappio) non li dà direttamente a loro, bensì alle banche, ad un tasso molto basso (circa l'1%) di interesse. Queste le prestano agli Stati con tassi del 4% e oltre! Realizzando, così, guadagni colossali, ovviamente a nostre spese.
Gli aumenti delle tasse, i tagli alle pensioni, ai servizi, ecc. vanno a finire in gran parte lì, alle banche. Oddio, un (bel) po' anche al Vaticano e ai vari potentati economici.
O anche per l'acquisto (18 miliardi di euro) degli inutili (e per giunta difettosi) cacciabombardieri F35.
Poi, per creare lavoro, per i servizi sociali, per le pensioni..."non ci sono i soldi"!!!
Serve a poco prendersela genericamente con i partiti. Anche se quelli che sono oggi in parlamento fanno politiche sicuramente molto discutibili.

Tornando all'Europa, bisogna dire che i greci, attraverso le loro lotte prima e tramite il voto ora, hanno dato un chiaro e forte segnale all'europa dei banchieri. Un segnale che è stato ampiamente colto.
In Italia, come al solito, facciamo ridere i polli: il PD non solo continua ad appoggiare il banchiere Monti, ma purtroppo continua ad esercitare una notevole influenza sul sindacato più forte, la CGIL, frenandone l'attività. Il minimo, ma veramente minimo, che andrebbe fatto è uno SCIOPERO GENERALE.
Per il resto, gli italiani non sanno che pesci prendere e sfogano la loro (sacrosanta) rabbia in un generico odio contro la politica tuot-court (senza distinzioni) andando ad incrementare l'astensionismo elettorale, oppure con il voto di (sterile) protesta grillino. In entrambe i casi alle banche facciamo il solletico.

Serve una forza politica (e un sindacato) seriamente di sinistra. Veramente dalla parte del popolo. Solo una sinistra seria, forte, coraggiosa (ma non estremista) potrà cambiare le cose.

Così è accaduto in Grecia e in Francia. Così dovremo fare pure da noi.

giovedì 17 maggio 2012

12 maggio. Tornano i comunisti. In massa


...e per la maggior parte sono giovani.
Il 12 maggio si è tenuta la prima manifestazione nazionale della Federazione della Sinistra (Rifondazione C., PdCI, Socialismo 2000, Lavoro e Solidarietà). E' stata un grande successo: 40 mila persone! E consideriamo che era della sola FdS. Decisamente oltre le aspettative.
Il corteo è stato indetto contro il Governo Monti. Che non solo ha proseguito le manovre del precedente Governo Berlusconi, ma è stato capace persino di aggravarle. L'attacco pesante alle condizioni di vita di milioni di lavoratori/pensionati/precari e persino ai "ceti medi" -dietro diktat delle banche europee, tedesche in primis- sta producendo, come risultato estremo (ma neanche poi tanto) una catena di suicidi mai vista prima.

Dopo il corteo, dal palco hanno parlato, oltre naturalmente a Salvi, Diliberto e Ferrero, anche dirigenti del Partito Comunista Francese (grande successo col Fronte de Gauche alle presidenziali francesi), del P.C.Portoghese e di Syriza (anche qui enorme successo alle ultime politiche in Grecia).

L'onda lunga del malcontento, che si sta diffondendo in tutta l'Europa, si incomincia a sentire pure da noi.
Le recenti elezioni in Grecia e in Francia hanno -seppur con sfumature differenti- dimostrato la sconfitta delle politiche imposte dall Europa delle banche. E persino in alcuni laender tedeschi, la CDU, il partito della Merkel, ha subito una fortissima sconfitta elettorale.

Anche in Italia il malcontento si è manifestato alle ultime amministrative, intanto con un forte aumento dell'astensionismo (che non è mai un buon segno), e poi con il prevedibile boom del Movimento 5 Stelle (ossia, i "grillini").
Perfettamente logico, se ci pensate: Beppe Grillo APPARE l'unica voce "fuori dal coro" e inoltre gli è stata data una visibilità mediatica veramente immensa.
Visibilità che, viceversa, è stata scientificamente negata alla FdS.
Ma se Grillo non fa parte della "casta" dei politici (ma pure Berlusconi, se vi ricordate, quando "scese in campo", si vantò di non farne parte), fa parte sicuramente di quella dei miliardari (guadagna oltre 10 volte quanto un deputato medio)..

Anche per questo motivo, la manifestazione del 12 maggio è stata importante. Ci siamo conquistati (da soli) una visibilità. I lavoratori, i pensionati, i disoccupati, gli esodati devono vedere che esiste una forza politica che rappresenta e difende i loro interessi, anche non stando in parlamento.
E che in questi anni è sempre stata al fianco delle battaglie per la difesa dei diritti e della dignità dei ceti popolari.

E, forte del successo di questa manifestazione, la FdS lancia un appello all'unità delle forze di sinistra. Rivolto soprattutto a Sinistra Ecologia e Libertà e all'Italia dei Valori.
Se il PD insiste a voler sostenere l'uomo delle banche (del FMI e della BCE) e le sue ricette "argentine" (o greche) e se insiste a voler inseguire Casini, se ne assumerà le sue responsabilità.

In Italia la sinistra c'è! I comunisti ci sono!

Dobbiamo solo unirci.


mercoledì 2 maggio 2012

1 Maggio. Festa del lavoro. Che non c'è...

Perchè c'è tanta disoccupazione? Perchè manca il lavoro, o è precario?
La risposta è semplice e complicata allo stesso tempo: perchè non ci sono investimenti.
Per investimenti si intendono quelli produttivi e/o per le infrastrutture necessarie (non sono investimenti produttivi, ad esempio, le colate di milioni di metri cubi di cemento con la relativa speculazione edilizia, o opere faraoniche quanto inutili, come la TAV in Val di Susa o il Ponte sullo Stretto di Messina).

Gli investimenti creano occupazione, migliorano il tenore di vita della popolazione, alimentano i consumi e fanno ripartire l'economia, generando ulteriore occupazione.
In Cina la crisi economica degli ultimi anni (che si è sentita pure lì) è stata superata proprio grazie ad un gigantesco piano di investimenti e all'aumento del salario deciso dal governo.
Solo che lì governa un partito comunista. Da noi no: governano le banche!

Sorge una domanda: chi deve fare gli investimenti?
In teoria dovrebbero essere gli imprenditori privati a farli, dato che viviamo un una società capitalistica (e che tanto esaslta i privati).
Ma scordiamocelo!
Gli imprenditori (tranne poche eccezioni) investono soltanto quando hanno ottime prospettive di realizzare profitti a breve termine. Altrimenti se ne guardano bene. E in modo particolare quelli italiani, i quali brillano per mentalità "bottegaia" e una pressocchè totale assenza di lungimiranza.
A questo si aggiunge il fatto che oggi le banche tendono a chiudere sempre più i rubinetti finanziari agli imprenditori.
Quindi, tocca allo Stato investire. Così è stato negli anni '30 (vedi Keynes).

Potrebbe sembrare assurdo che gli Stati debbano investire, quando abbiamo il problema del debito pubblico da risolvere. Ma non lo è affatto.
Ora, a parte il fatto che il debito pubblico non è necessariamente un problema (non lo è stato per tanti anni), c'è da dire che se l'economia dovesse ripartire grazie agli investimenti, il problema del debito pubblico si può quantomeno contenere.
Maggiori investimenti significano, infatti (come già detto) più lavoro, più consumi e quindi alla fine si traducono in maggiori introiti per lo Stato. Sia sotto forma di maggiori entrate fiscali, sia come acquisto di titoli di Stato.
E fin qui siamo alla visione keynesiana.



Il discorso marxista è un po' diverso e più profondo e analitico.
Per Marx, la disoccupazione (che chiama "esercito industriale di riserva") è connaturata al capitalismo. Il capitalismo produce spontaneamente disoccupazione e se ne serve per mantenere bassi i salari (grazie al classico ricatto: o accettate basse paghe e/o ritmi di lavoro pesanti, oppure vi licenzio; tanto è pieno di disoccupati che sono pronti a prendere il vostro posto).
Soltanto con il superamento del capitalismo e, quindi, della produzione per il profitto, si potrà distribuire il lavoro a più persone possibile ("lavorare meno, lavorare tutti") e ad eliminare definitivamente la piaga della disoccupazione.

Il problema è che oggi in Europa comandano le banche (e soprattutto la BCE). E queste rifiutano categoricamente una soluzione di tipo keynesiana. Figuriamoci quella socialista-anticapitalista.
E quindi o ci rassegnamo allo strapotere dittatoriale bancario -Monti ci è stato imposto da queste- accettando la disoccupazione (nonchè la precarietà e il supersfruttamento di chi ha la "fortuna" di lavorare), oppure ci organizziamo per cambiare le cose.
E per cambiare le cose, non ci sono scorciatoie: occorre LOTTARE. E organizzarci.

Non serve correre dietro l'uomo forte, o il grande leader carismatico e neppure agli "urlatori" di professione. Specie se non è chiaro dove vogliono arrivare.
Bisogna lottare, ma in modo organizzato, intelligente e con coscienza.
Per questo serve -sò di essere tremendamente controcorrente- un PARTITO.
Sì: un partito!
Un partito con un programma chiaro e coerente.

giovedì 19 aprile 2012

D'ora in poi il Welfare State sarà anticostituzionale

Tanto tuonò, che piovve! Il pareggio di bilancio nei conti statali è passato, modificando l'articolo 81 della nostra Costituzione. La quale è stata, grazie a ciò, completamente stravolta.
Quella che è stata presentata come una misura assolutamente necessaria, e che apparentemente sembra anche esserlo, porterà ad una tremenda limitazione dei margini di manovra delle politiche economiche dei singoli paesi -che poi è ciò che vuole l'Unione Europea- e, in modo particolare, delle politiche sociali.
La modifica costituzionale è stata approvata dal parlamento con voto quasi unanime. Il Partito Democratico ha votato a favore.

Da un punto di vista storico, ci sarebbe da dire che il pareggio di bilancio venne perseguito nell'800, poco dopo l'Unità d'Italia, dai governi della Destra Liberale.
E portò, tra le altre cose, alla famigerata tassa sul macinato, che tanta miseria portò e causò numerose vittime nelle rivolte popolari in tutta la penisola.
A questo siamo tornati!
Bisognava prevederlo: tutta la retorica di questi ultimi vent'anni -dopo il Crollo del Muro di Berlino- sulla fine delle ideologie, sul marxismo che sarebbe ormai superato, sul fatto che la sinistra doveva innovarsi e stare al passo coi tempi, invece di "barricarsi ideologicamente", sul fatto che occorreva "superare il '900" hanno portato e non potevano che portare a questo risultato:
oggi il PD è sulle stesse posizioni della Destra Storica ottocentesca!!!

Dal punto di vista politico, il pareggio di bilancio in costituzione è una misura che si sta attuando in diversi paesi europei (Germania, Spagna, Francia...) e che limiterà fortemente l'autonomia dei singoli paesi, come già detto. Le politiche economiche, soprattutto dei "paesi deboli" -come l'Italia, per intenderci- saranno dettate direttamente dalla Banca Centrale Europea. Così funziona e funzionerà la nostra "democrazia" (che per giunta pretendiamo poi pure di "esportare all'estero"!).

E ora veniamo alle conseguenze economico-sociali.
Il vincolo del pareggio di bilancio sarà una potente arma di ricatto per impedire qualunque tipo di spesa (tranne quelle faraoniche per "salvare le banche", naturalmente).
A cominciare dalle spese per investimenti economici statali per favorire la ripresa. Ed è da ricordare, ad esempio, che la tremenda crisi economica degli anni 30 fu superata in tutto il mondo grazie proprio all'intervento degli stati nell'economia (oltre che alla II Guerra Mondiale, il che fa riflettere). Ossia, le famose politiche keynesiane.
Che, a partire da oggi diventano -di fatto- anticostituzionali.
Poi, le spese per la ricerca, che di certo non si sobbarcheranno i privati. In Italia, poi, meno che mai.
E poi, tutte le spese per la Sanità, per l'istruzione pubblica (ma per quella privata i soldi si trovano sempre), per qualunque servizio sociale, per le pensioni, ecc.

Ora Monti parla bene, dice che siamo riusciti ad evitare il peggio, che le riforme favoriranno la ripresa economica, ecc.
Peccato che i dati dicano esattamente il contrario: la disoccupazione aumenta, le imprese chiudono i battenti a migliaia, i consumi calano ulteriormente.
E non si tratta di fenomeni passeggeri: ricordo che la Grecia è già alla 4° misura "lacrime e sangue" e in teoria doveva bastare la prima a risollevare i suoi conti pubblici.
Ma come fanno i conti pubblici a pareggiare, se il PIL diminuisce in continuazione? E diminuisce proprio a causa di tutti i tagli "per pareggiare il bilancio"?
E' un cane che si morde la coda (e la coda siamo noi, i lavoratori/disoccupati/pensionati).

In Italia (Grecia, Spagna, ecc.) si sta ripetendo grosso modo ciò che è successo in tanti altri paesi (l'Argentina è il caso più famoso) negli anni '90. Le politiche economiche di Berlusconi-Monti assomigliano tanto a quelle di Menem. Che portarono l'Argentina -un paese una volta relativamente benestante- al collasso dei primi '2000.
Loro si sono ripresi grazie alle lotte che il popolo ha condotto e che sono sfociate alla fine in governi (Kirchner, Fernandez) che sono usciti fuori dall'ottica liberista, nonchè dalla suddittanza agli USA.
Per noi sarà più difficile fare ciò: il PD è pienamente interno all'ottica liberista ed è improbabile che cambierà rotta.
Non mi fido neanche molto degli "urlatori" di professione. Ossia, parolai alla Beppe Grillo (che cambia idea da un giorno all'altro e che comunque non esprime una visione un minimo coerente e seria).
Non parliamo, poi, della Lega, che ora urla anche lei, ma che con Berlusconi ha avallato le peggiori porcherie.
Forse si salva un po' l'Italia dei Valori (ma non sempre).

Restano le forze autenticamente di sinistra.
La Federazione della Sinistra e SEL (sperando che Vendola la smetta di snobbare partiti come Rifondazione e PdCI e si decida invece a collaborare assieme).
E poi le forze sindacali e sociali.

Prepariamoci alla lotta, tempi duri stanno per arrivare!

lunedì 2 aprile 2012

piccolo era bello. Ora è disoccupazione e miseria!

Se c'è una cosa positiva nella crisi economica di questi ultimi anni -al di là del tremendo dramma generale- sta nel fatto che questa sta, a poco a poco, incominciando a chiarire tante cose e tanti equivoci. E, in modo particolare, la recessione sta smascherando una serie di falsi miti e di luoghi comuni, i quali -soprattutto in Italia- hanno imperversato da diversi decenni a questa parte.
Mi riferisco al mito del "mettersi in proprio" e soprattutto a quello del "piccolo è bello".
Oggi sono proprio le piccole imprese e il piccolo commercio a risentire maggiormente della crisi economica.
I dati della CGIA (associazione artigiani piccole medie imprese) di Mestre parlano chiaro: nel 2011 sono oltre 11 mila le ditte che hanno chiuso i battenti!

Intanto un dato curioso: l'enorme diffusione delle piccole-medie imprese (spesso monocommittenti e dunque autonome solo in apparenza), di aziende artigianali, di negozi a conduzione familiare, nonchè la pletora di liberi professionisti (avvocati in modo particolare) è una peculiarità del Bel Paese. In nessun altro paese quantomeno dell'Europa Occidentale esiste una percentuale così elevata di questi cosiddetti ceti medi.
Come mai?

Probabilmente è il risultato di diversi fattori combinati, tra i quali quelli che mi sembrano maggiormente determinanti sono due: la relativa arretratezza dello sviluppo industriale-capitalisico in Italia unita a fattori politici particolari in un paese-frontiera, come lo siamo stati nel dopoguerra e durante tutta la Guerra Fredda.
Le politiche dei decenni scorsi della Democrazia Cristiana (e poi del PSI e degli altri partiti centristi) sono state spinte fondamentalmente da un grosso timore: quello del sorpasso del PCI e il rischio che questo andasse al governo.
La stessa Democrazia Cristiana è sempre stata composta -di fatto- da partitini differenti e spesso molto distanti fra di loro, ma tenuti assieme proprio dal fattore anti-PCI. Partiro, quest'ultimo, che otteneva consensi e adesioni tra la massa dei lavoratri soprattutto delle grandi imprese e dei ceti popolari in genere.
Per ovviare a ciò, la DC (e poi PSI e gli altri) ha favorito in tanti modi la diffusione -appunto- di tutti questi ceti piccolo-imprenditori (negozianti, professionisti, ecc.), in maggioranza legati politicamente ad essa.
Uno di questi modi è la proverbiale tolleranza italica all'evasione fiscale.
Un altro modo è stato lo spezzettamento di grandi imprese per motivi sempre fiscali, ma anche per dividere e indebolire la classe operaia italiana.
Il mito del "piccolo è bello" nasce qui.

Dopo l'89, con la fine della Guerra Fredda e venuto meno il PCI (non a caso subito dopo è implosa anche la DC), sono arrivati i governi di Centro-sinistra e soprattutto Berlusconi. Degno rappresentante della classe imprenditoriale italiana -fra le più incapaci al mondo- invece di investire -anche da Presidente del Consiglio- sulla ricerca e l'innovazione, ha continuato a "campare" sul consenso di questi "ceti medi", mantenendo intatte (anzi, aumentando) evasione fiscale, condoni vari, ecc.



Ma Karl Marx non aveva studiato il capitalismo a vanvera e le dinamiche che egli aveva già allora notato e predetto, ora si stanno drammaticamente verificando.
In particolare, il fatto che le piccole e medie imprese, soprattutto durante le crisi economiche, sono destinate a scomparire e a lasciare il posto ad aziende di dimensioni (e di capitale) via via sempre più grandi e avanzate tecnologicamente.
Questo è ciò che puntualmente (o forse un po' in ritardo, ma poco cambia) sta accadendo: il mondo imprenditoriale italiano, anche quello delle grandi imprese (FIAT in testa) è incapace di competere con le multinazionali straniere e sta sempre più cedendo il passo.
I primi a risentirne sono ovviamente le piccole imprese artigianali, il piccolo commercio e in generale la piccola-media borghesia.
Anche perchè Mario Monti, essendo legato al mondo bancario internazionale, oltre a colpire i lavoratori e i pensionati, non sembra propenso a voler risparmiare neanche questi ceti medi.

A poco serve abbassare ulteriormente il costo del lavoro (in Italia già fra i più bassi) ad esempio abolendo l'articolo 18.
Per rilanciare l'economia italiana (seriamente) servirebbero un piano economico-industriale, investimenti, specie nella ricerca, un rilancio della formazione. Cioè, l'esatto opposto di ciò che è stato fatto negli ultimi anni, prima da Berlusconi e ora da Monti!


giovedì 15 marzo 2012

Roberto Saviano, un eroe...costruito mass-mediaticamente

Nessuno mette in dubbio l'intelligenza e le notevoli capacità di uno scrittore come Roberto Saviano. Non è certo questo in discussione. Egli sa scrivere molto bene. Sa fare e ha fatto un ottimo lavoro di denuncia, narrando ambienti e dinamiche poco conosciute al grande pubblico.
Resterebbe, certo, da capire da dove abbia tratto molte delle informazioni che appaiono, ad esempio, sul libro Gomorra. Ma su questo sorvoliamo.
Il punto, almeno per me, è un altro.

Partiamo da quello che il grande pubblico, ossia, la gran massa degli italiani, "sa" su come è emerso alla ribalta questo giovane napoletano.
La storia di Roberto Saviano è (in teoria) nota: illustre sconosciuto, egli ha scritto un libro di denuncia sulla Camorra, di facile lettura e talmente denso di informazioni, che nel giro di pochi mesi ha ottenuto un successo strepitoso, diventando un best seller.
E lui, Saviano, un potenziale bersaglio della camorra che l'avrebbe minacciato di morte (uso il condizionale non perchè non ci credo, bensì perchè potrebbe in teoria anche non essere vero -rientrerebbe nella costruzione mediatica del personaggio- anche se personalmente credo che le minacce le abbia effettivamente ricevute).

In questa storia c'è qualcosa che, francamente, non mi è quadrato fin dall'inizio. Ossia, il fatto che in Italia oggi sia possibile emergere a certi livelli e diventare famosissimi, semplicemente per aver scrritto un buon libro. Molto ottimi (e scomodi) scrittori vengono ignorati.
Questa storiella, in effetti, fa venire in mente il mito americano del "self-made man" (l'uomo che si fa da solo). Un mito al quale ormai anche gli stessi americani credono sempre meno.
E' mai possibile in Italia diventare "qualcuno" (ai livelli di Saviano) senza essere in qualche modo lanciati da qualche pezzo grosso?
E questo "pezzo grosso" in effetti esiste, ed è nientemeno che "La Repubblica"!

E fin qui, niente di male, direi.
Finchè Roberto Saviano si limita ad indagare e a fare denunce sul fenomeno camorristico e mafioso in generale, ben venga!
Il problema nasce -almeno per me- quando Saviano incomincia a discutere di politica. E, soprattutto, quando lo fa, forte di questa sua aureola di "eroe", di "coscienza onesta", di "paladino della legalità", di giovane coraggioso, che ha osato sfidare la camorra, e quindi di persona difficile da criticare (se critichi Saviano, allora sembra quasi che vuoi difendere la Camorra!).

E lo scrittore napoletano ha espresso dei giudizi politici molto discutibili e in parte anche disonesti, se non proprio falsi!
Roberto Saviano nasce da madre ebrea ed è naturale e giusto che voglia difendere quel popolo e quella religione. E fa benissimo a farlo.
Ma TUTTA UN'ALTRA COSA è la sua presa di posizione nei confronti di uno stato, come quello sionista di Israele, del quale ha tessuto grandissime lodi, "dimenticando" che tale stato da decenni perseguita, e sanguinosamente, il popolo palestinese (come a suo tempo furono prseguitati gli stessi ebrei), cacciandolo via da quella che da secoli era la sua terra (e dove, per inciso, ebrei e musulmani convivevano abbastanza pacificamente, prima della nascita dello stato di Israele).
Tra l'altro, l'ultimo ed ennesimo massacro di palestinesi -anche bambini- a Gaza ad opera degli aerei israeliani (almeno 25 vittime) è di pochi giorni fa.
Inoltre, Saviano ha gettato veleno su tutto il mondo islamico, tirando fuori i classici pregiudizi e stereotipi occidentali su tali popoli, che non servono ad altro, se non ad alimenttare l'odio etnico-religioso.

Un altro giudizio politico che recentemente ha espresso Saviano è quello su Antonio Gramsci. Di cui conosce evidentemente molto poco. Ed è un giudizio da considerare quantomeno disonesto.
Saviano, distinguendo due sinistre (in modo fortemente schematico, ma lasciamo perdere), colloca Gramsci in quella di tipo estremistica e massimalistica, accusandolo di aver fomentato odio e istigato i militanti a considerare gli avversari politici, dei nemici.
Saviano "dimentica" (per l'ennesima volta) che Gramsci agì in un periodo in cui regnava lo squadrismo fascista, fortemente appoggiato dagli agrari, dagli industriali e soprattutto dallo stato sabauda e che gli squadristi agivano protetti dalle forze dell'ordine.

Antonio Gramsci, autore fra i più letti e studiati nel mondo (tranne in Italia, dove è conosciuto di nome, ma semi-sconosciuto nelle sue geniali elaborazioni), evidentemente dà ancora fastidio. Un cervello vero, uno che ha subito il duro carcere ed il confino. Non certo uno che stava spesso in televisione, come Saviano (e, certo, non soltanto perchè la TV allora non esisteva).

Roberto Saviano che parla di politica rientra perfettamente nel recente costume "americano" che da anni dilaga in Italia, ossia, di personaggi provenienti -almeno apparentemente- da sfere non politiche (magistrati, comici, imprenditori, conduttori, ecc.) che entrano in politica, portando -sempre apparentemente- un tocco di novità e di -molto presunta- onestà.
Con Berlusconi abbiamo già visto come è finita.

Roberto Saviano continui ad occuparsi di Camorra, che farebbe meglio!

martedì 6 marzo 2012

viva il trasporto pubblico! Ma la TAV è costosa, inutile e dannosa

Incomincio col dire che sono ampiamente favorevole allo sviluppo del trasporto pubblico e al ridimensionamento di quello privato. Non serve un gran cervello per capire gli enormi vantaggi che deriverebbero da un potenziamento dei mezzi pubblici, sia a livello locale, sia a livello nazionale.

FORTE RIDUZIONE DEL TRAFFICO.
Ad esempio, se 50 persone che stanno in un autobus o tram prendessero la macchina, anche nell'ipotesi ottimistica che andassero, facciamo una media, in due su ogni vettura, parleremmo di 25 macchine in circolazione. Magari facciamo 15, dato che una parte di loro userebbe la moto. Ma 15 automobili + 20 moto intasano la strada decisamente più che un autobus o tram (e non parliamo della metropolitana).
MENO INQUINAMENTO.
Va da sè, che 25 macchine inquinano più di un autobus.
MENO INCIDENTI STRADALI.
E quindi meno morti e feriti.
PIU' AGIBILITA' PER I PEDONI.

E poi, ovviamente, meno problemi di parcheggio, meno nervosismo e altri vantaggi ancora.

Naturalmente per ottenere tutto ciò, servirebbe un trasporto pubblico sviluppato, ben organizzato ed efficiente. Ossia, l'esatto opposto di quello che abbiamo, ad esempio, in una città come Roma, dove tale servizio è in uno stato a dir poco vergognoso!

Lo stesso discorso vale a livello nazionale. Dove occorrerebbe sviluppare soprattutto il traffico su rotaia, riducendo così una parte degli innumerevoli Tir (e ovviamente anche automobili) che riempiono le strade e autostrade italiane.
Con tutte le conseguenze positive -anche qui- su congestioni, incidenti e inquinamento.
Particolarmente urgente è, poi, un intervento sul traffico pendolare, che ormai ha raggiunto livelli insostenibili. E a maggior ragione, se teniamo presente che la rete ferroviaria locale, in Italia, è stata costruita totalmente o quasi più di 60 anni fa, ossia, quando il tessuto abitativo/produttivo/commerciale era completamente diverso da quello di oggi.


Fatte queste premesse, forse a qualcuno potrebbe sembrare strano che io sia contrario alla TAV Torino-Lione. Ma ci sono dei motivi ben precisi per questa mia presa di posizione.
A scanso di equivoci, io non sono in assoluto contrario ai treni ad alta velocità. Anche se ritengo che le priorità siano decisamente altre. Come già detto, il potenziamento del traffico su rotaia locale/pendolare (cosa mi importa di fare Roma-Milano in 3 ore se poi ci impiego quasi lo stesso tempo per andare, coi mezzi pubblici, dal Trullo a Centocelle?).

La TAV Torino-Lione ha intanto dei costi esorbitanti. 15-20 miliardi, che, col tempo, aumenteranno di sicuro. Un'immensità!
Si tratta di risorse che potrebbero, esse da sole, rilanciare in parte l'economia italiana (se investite su ospedali, scuole, cultura, acquedotti, strade...) creando occupazione vera (ossia, stabile).

L'utilità, viceversa, è scarsissima.
Diversi studiosi ed esperti sostengono l'assoluta inutilità di un'opera faraonica come questa. E ciò, quando l'attuale rete stradale-ferroviaria (sempre nella Val di Susa) è ampiamente sotto-utilizzata.
Tra l'altro il traffico di merci tra l'Italia e la Francia è in diminuzione da 10 anni a questa parte. E ora con la crisi, meglio mi sento.
Inoltre i lavori per la costruzione della TAV creano forti rischi. Rischi di tipo idro-geologico (come è già avvenuto per la TAV Firenze-Bologna). E soprattutto rischi derivanti dall'amianto presente nelle montagne che si devono scavare per costruire le gallerie. Le polveri di amianto -altamente cancerogene, come è noto- si spargerebbero su tutta la valle e il vento le spingerebbe facilmente fino a Torino.
Questi, in estrema sintesi, sono i principali motivi per cui la TAV Torino-Lione non va fatta!!

Da rilevare, infine, la totale sordità del governo, nonchè del Presidente Napolitano (che si rifuta di ricvevere i sindaci contrari alla TAV). Che si continua a dimostrare il governo (e il Presidente) di una sola parte degli italiani: quella ricca e affarista/speculatrice!

Un ultimo pensiero va a Luca Abbà, il militante NO-TAV rimasto folgorato dai cavi dell'alta tensione. Un augurio di pronta guarigione e che possa al più presto ritornare a lottare contro questa e altre ingiustizie che gli italiani devono subire.