venerdì 21 settembre 2012

Calamità naturali: io speriamo che me la cavo


Finora tutte le volte che in un qualunque angolo d'Italia si verificava qualche disastro dovuto a cause naturali, la notizia veniva ampiamente riportata dai più importanti mezzi di informazione, cioè, i telegiornali e i grandi quotidiani.
Anzi, a volte si esagerava pure nel riportarla, e spesso c'era la tendenza ad un'eccessiva drammatizzazione del fenomeno (verrebbe da dire quasi spettacolarizzazione, come se certi drammi fossero uno "spettacolo"). Drammatizzazione che poi non serviva a fare luce sulle responsabilità umane indirette, ossia, quelle di chi avrebbe dovuto svolgere un lavoro di prevenzione e di intervento in anticipo, laddove possibile e prevedibile, naturalmente.
Comunque sia, terremoti, alluvioni, incendi, grandinate, allagamenti, siccità, frane apparivano puntualmente sui nostri schermi (o giornali) quando questi accadevano in qualunque remoto angolo del Bel Paese.
Ma oggi sembra che qualcosa stia cambiando.

Nei giorni scorsi, le Isole Eolie (poco a nord della Sicilia, per chi non lo sapesse) sono state investite da violenti nubifragi, i quali hanno causato danni ingentissimi. Nessun morto, forse -e meno male- ma comunque danni tali, che la notizia avrebbe dovuto apparire prontamente sui mass-media.
Invece tale evento ha dovuto faticare parecchio prima di essere stato preso in considerazione dalla grande informazione mediatica (e comunque sottotono) e forse c'è arrivato anche grazie ad un intenso tam-tam che c'era stato su internet.

Senza arrivare a dire -come ha fatto qualcuno- che ci sia stata una vera e propria censura della notizia in questione, c'è da rilevare che le è stato dato un risalto decisamente debole e anche un po' tardivo. Perchè?

La cosa è da inserire probabilmente in un mutato clima politico-sociale rispetto agli anni e decenni scorsi. Il decreto n. 59 dello scorso maggio prevede che d'ora in poi lo Stato non risarcirà più in caso di calamità naturali. Saranno gli Enti Locali -se non gli stessi cittadini- a dover intervenire, per qualsiasi intervento di ricostruzione, di tasca propria.
Provvedimento che approfondisce ed aggrava una tendenza già da lungo tempo in atto in diversi ambiti. Ossia, lo smantellamento dello Stato Sociale e, con esso, del concetto per cui le istituzioni hanno il compito di intervenire a tutela delle condizioni di vita dei cittadini, garantendo un minimo di benessere e di servizi fondamentali.
Ufficialmente, perchè bisogna risanare il debito pubblico (ma i soldi si trovano sempre, e in grande abbondanza, quando si tratta di "aiutare" le banche, di finanziare le scuole private, di costruire le varie "cattedrali nel deserto", di acuistare i cacciabombardieri, ecc.).

E' vero che in passato molti Enti Locali (nonchè le varie lobbies, anche mafiose, che ruotano intorno a questi) hanno non di rado approfittato delle calamità naturali, per ricavare -amplificando l'entità dei danni- più soldi possibile dallo Stato. Ma, come al solito, prevale la logica di buttare via il bambino con l'acqua sporca, per cui invece di effettuare controlli a dovere, si preferisce semplicemente tagliare i fondi e far risparmiare soldi allo Stato sulla pelle dei cittadini più deboli o degli Enti Locali privi di sufficienti risorse per ovviare agli ingenti danni.

Una volta che è passata la scelta di non far intervenire più lo Stato in soccorso dei cittadini danneggiati dai cataclismi, il passaggio successivo è quello mass-mediatico. Ossia, chi controlla i grandi mezzi di informazione farà probabilmente in modo di nascondere, per quanto possibile, tali generi di notizie, per limitare il più possibile le polemiche relative al mancato intervento statale.

Staremo a vedere nei prossimi mesi e anni se effettivamente accadrà così. Però, certo, l'episodio delle Isole Eolie francamente lascia un po' perplessi.

lunedì 17 settembre 2012

Proteste nel mondo islamico. Non è solo religione

Ambasciate e consolati assaltati, bandiere bruciate, catene ristoratrici devastate, ambasciatori uccisi (quello USA in Libia). E poi scontri, sparatorie, morti e feriti.
Tutto il mondo islamico è in tensione, ovunque ci sono manifestazioni di protesta. Dal Pakistan al Sudan, dall'Iran alla Tunisia, dallo Yemen alla Libia, dal Libano al Marocco, dall'Afghanistan all'Egitto.
Il tutto sembra essere partito da un film ritenuto offensivo per la religione islamica. Sembra.

Le cose, come sempre, sono un po' più complesse: forse mai come in questo caso si tende a confondere la scintilla con la polveriera. L'offesa provocata dall'uscita del film può essere chiaramente paragonata ad una scintilla. Ma l'odio, la rabbia e la violenza che si sono scatenati in questi giorni in quei paesi hanno motivazioni che vanno ben al di là delle questioni strettamente religiose.
Altrimenti non si spiegherebbe come mai ad essere presi di mira non sono i luoghi di culto di altre religioni (presenti in abbondanza in numerosi paesi a prevalenza islamica), bensì le ambasciate e i consolati. E, neanche a dirlo, soprattutto quelle americane. E ovunque, ad essere bruciate sono le bandiere degli USA e di Israele, non certo quella del Vaticano.
E quali sono queste motivazioni?

Di motivi ce ne sono diversi, ma ciò che su tutti sembra prevalere è l'ostilità contro le politiche dell'Occidente (USA, soprattutto, ma anche Israele ed Europa) degli ultimi anni, che si vanno a sommare a quelle della vecchia Europa colonizzatrice.
Politiche di guerra e di dominio. Diretto ed indiretto.
In quello diretto rientrano la guerra in Afghanistan, quella in Iraq e quella in Libia, nonchè il forte scalpitamento degli occidentali per invadere la Siria (e il loro appoggio ai "ribelli") e per attaccare l'Iran. E mi pare che non è poco.

Il dominio indiretto è più complesso e meno visibile, ma non per questo meno incisivo e dannoso (per loro) e meno fautore di odio e rancore da parte di quei popoli nei confronti degli Stati Uniti soprattutto.
Si tratta di tutti quei paesi retti da regimi autoritari (anche se alcuni appaiono formalmente "democratici") e i cui capi di Stato e i ceti dirigenti perseguono gli interessi euro-americani (oltre che quelli loro) a tutto danno delle popolazioni locali.
Spesso sono paesi produttori di petrolio, che vanno ad arricchire le grandi compagnie petrolifere occidentali e il ceto dominante locale, che ostenta uno sfarzo faraonico, mentre il popolo vive in gran parte in miseria.
Nel dominio indiretto rientrano pure le "rivoluzioni" chiaramente fomentate, armate e finanziate dall'Occidente e dai vari emirati oscurantisti amici di questo, come quella libica e quella siriana.
Ancora più grave è quanto è accaduto di recente in Sudan, dove la parte più ricca di petrolio, quella meridionale, si è scissa dal resto del paese, formando uno staterello, col chiaro appoggio -anche lì- degli USA, nella cui orbita gravita ora il Sud Sudan. E a tutto danno del resto del paese.
Non è un caso che uno dei luoghi dove ci sono stati incidenti gravi in questi giorni è Khartum, la capitale del Sudan.

Quando si verificano queste ondate di manifestazioni di protesta particolarmente forti e violente stiamo attenti a non cadere nella facile tentazione di dare un giudizio superficiale (e dettato dai forti pregiudizi che abbiamo nei confronti dei popoli islamici) e di bollare tali episodi come "fanatismo religioso".
Infatti, al di là della causa scatenante, ci sono quasi sempre motivazioni assai più profonde.

mercoledì 5 settembre 2012

Toh, la disoccupazione aumenta. Ma va?

A volte è veramente incredibile come certe notizie vengono riportate, quasi fossero eventi inaspettati, quasi fossero calamità naturali, sulle quali nessuno può farci niente, tantomeno prevederli.
E' il caso della notizia arrivata qualche giorno fa e che riporta i dati dell'Istat sull'aumento della disoccupazione in Italia negli ultimi anni.

I dati riportano che nel Bel Paese l'indice di disoccupazione è arrivato al 10,5% nel secondo trimestre del 2012, aumentando di ben 2,7 punti percentuali, rispetto al 2011. Un aumento veramente vertiginoso. Era dal 1999 che non si aveva un dato così elevato.
E l'allarme riguarda soprattutto, neanche a dirlo, la disoccupazione giovanile. Il tasso di disoccupazione dei 15-24 enni è del 35%, con forte aumento dallo scorso anno (in cui era già molto elevato).
Ancora più elevata è la disoccupazione femminile. Quasi la metà delle giovani donne del Mezzogiorno è in cerca di lavoro (48%).

Esiste un noto detto che recita così: "vuole la botte piena e la moglie ubriaca", per indicare chi non si rende conto che in molte circostanze, se si toglie da una parte, si deve poi aggiungere dall'altra, altrimenti il risultato è una perdita.
Sembra un discorso apparentemente semplice e scontato, eppure, strano a dirsi, ma -fuor di metafora- questo aumento della disoccupazione, risultato delle politiche recenti (e meno recenti) e prevedibilissimo, coglie ufficialmente tutti impreparati.

Negli ultimi 10 anni in Italia assistiamo ad un continuo aumentare dell'età pensionabile. Dai precedenti Governi Berlusconi al Governo Monti le riforme costringono i lavoratori over 60 a dover lavorare ancora per diversi anni.
Ora, è chiaro che se io aumento l'età pensionabile -a parità di lavoro- tolgo necessariamente occupazione ad altri, e quindi ai giovani.
Questo a parità di lavoro. Purtroppo il lavoro in Italia non è pari, ma sta diminuendo con gli anni e quindi gli effetti sui giovani (e meno giovani) sono ancora più devastanti.

Ma il problema non è soltanto l'età pensionabile. Mancano gli investimenti produttivi.
O, meglio, ci sono, ma sono scarsi e comunque molte aziende italiane preferiscono spostare la produzione all'estero (delocalizzazione).
Perfino la FIAT, sta, a poco a poco, smantellando le fabbriche sul territorio italiano. E questo, si badi, dopo aver ottenuto per anni e anni miliardi di euro di aiuti dallo Stato Italiano.
A differenza della Germania o di altri paesi, l'imprenditoria italiana è particolarmente restìa ad effettuare investimenti a rischio.
E tutto ciò produce disoccupazione. E precariato.

E sì che nel nostro paese già dagli anni '90 sono state realizzate diverse riforme del lavoro, le quali in teoria dovevano servire proprio a favorire gli investimenti e, con essi, a contrastare la disoccupazione.
A partire dalla cancellazione della Scala Mobile, all'introduzione di varie forme di contratti a termine, part-time, all'introduzione del lavoro interinale, e poi con forme sempre più precarie, tipo le collaborazioni e i contratti a progetto.
Il risultato è stato l'enorme crescita del lavoro precario. Ma la disoccupazione è rimasta lì.
Anzi, aumenta.
A tutto ciò vanno aggiunte le ultime manovre economiche del Governo Monti (tipo la "spending review"). I cui futuri effetti recessivi sono stati lamentati addirittura dal Presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi.

In realtà si potrebbe fare moltissimo per combattere la disoccupazione, il precariato e rilanciare gli investimenti produttivi. A cominciare dalla nazionalizzazione di tutte quelle grosse imprese che stanno per chiudere o che sono in crisi (e per le quali spesso lo Stato Italiano ha già speso tantissimi soldi, con incentivi e aiuti vari). Lo Stato -il privato non lo farà mai- può effettuare numerosi investimenti utili (acquedotti, trasporto pubblico, ecc.) e che producono lavoro.
Ma perchè accada tutto ciò, andrebbe rimessa completamente in discussione la filosofia economica che ha mosso gli ultimi governi italiani, ossia, il neo-liberismo.

E' veramente triste il fatto che decine di migliaia di giovani italiani (e spesso di cervelli) siano e saranno sempre più costretti ad andare all'estero per trovare un lavoro e per poter sperare in una sistemazione.
Ma sembra che l'unica cosa che veramente importa ai governi sia il rispetto dei conti statali e il calo del debito pubblico. Che però, nonostante ciò, aumenta lo stesso. Assieme alla disoccupazione.