Non ci sono dubbi: il vero vincitore
delle elezioni politiche di questo febbraio è stato il Movimento 5
Stelle.
L'enorme successo, superiore alle
aspettative, dei "grillini" ha molte cause. Provo a dare
una mia interpretazione di questo vero e proprio "boom".
Qualcuno ha detto -giustamente- che
sono state complessivamente punite le forze che hanno sostenuto le
politiche di austerità imposteci dall'Europa (delle banche) e
portate avanti da Berlusconi prima, e, con maggior vigore, da Monti
poi.
Ossia, il PD, il PdL e soprattutto la
Lista Monti (non darei molta importanza al recupero finale del PdL; a
me sembra assai più significativo il fatto che tale partito, in
termini assoluti, ha perso quasi la metà dei voti, rispetto al
2008).
E' stato pure detto -anche qui
giustamente- che Grillo ha preso sia voti di sinistra, che voti di
destra.
Parto da queste due considerazioni per
fare un tentativo di analisi. E' evidente che il M5S è riuscito a
catalizzare il voto di una grossa fetta di quei settori sociali che
hanno subito pesantemente negli ultimi anni gli effetti della crisi
economica (connaturata al capitalismo), nonchè delle politiche di
austerità e di tagli che l'Europa ci ha imposto, e che hanno
peggiorato la situazione, senza peraltro risolvere il problema del
debito pubblico.
Tali settori sociali sono la
piccola-media borghesia, da una parte (negozi, aziende, laboratori
artigianali, studi professionisti che chiudono) e ancora di più i
lavoratori, i disoccupati, i precari, i pensionati, ossia, i ceti
proletari, dall'altra.
Secondo alcuni sondaggi, sembra che
siano stati proprio i disoccupati la categoria che ha votato
maggiormente il M5S.
Il fotre e crescente malcontento,
dovuto all'evidente peggioramento delle condizioni di vita, ha
trovato -almeno per il momento- espressione politica nei "vaffanculo"
di Beppe Grillo (oltre che nell'astensionismo).
Un malcontento sicuramente giusto e
comprensibile. Ma, secondo me, diretto male.
Perchè penso questo?
Di motivi ce ne sono parecchi, ma tento
di sintetizzarli e di sviscerarne quelli principali.
A dispetto dell'immagine che Grillo dà
di sè, ossia, di un uomo deciso, determinato e con le idee molto
chiare, il suo vero obiettivo in realtà non è affatto chiaro.
Certo, nei suoi discorsi ognuno ci può
vedere delle cose giuste e condivisibili. Egli dice tutto e il
contrario di tutto -qualche volta pure contraddicendosi- e quindi se
ci si ferma alle singole frasi è praticamente impossibile non
trovarne almeno una condivisibile.
Ma chi è in grado di dire che cosa poi
il M5S riuscirà concretamente a fare?
Nei monologhi di Grillo c'è molta
ambiguità: egli, ad esempio, fa spesso dei discorsi, nei quali
sembra criticare alcuni aspetti del capitalismo. Ma poi,
sorprendentemente, difende il modo di funzionamento di esso in altri
paesi. Dunque, sembra anti-capitalista, ma non lo è affatto. E, allo
stesso modo, non ha neanche mai messo in discussione le politiche
liberiste.
A sentire lui, pare che i problemi
dell'Italia si possano risolvere semplicemente togliendo qualche
soldo al ceto politico (e ai partiti). Ossia, in termini di bilancio
nazionale stiamo parlando di briciole.
Sull'impressionante livello di evasione
fiscale, che vede l'Italia al primo posto in Europa e tra i primi nel
mondo, Beppe Grillo non dice una parola.
E così non parla di patrimoniale, nè
di far pagare le tasse anche alla Chiesa Cattolica.
Il comico genovese, inoltre, è
contrario a ripristinare l'articolo 18, vuole tagliare le pensioni e
l'impiego pubblico. Anche su questi argomenti, dunque, è
perfettamente in linea con le grandi forze politiche (PD, PdL,
Monti).
Un altro elemento che lascia molto
perplessi nel Movimento 5 Stelle sta nel suo palese ultra-verticismo.
D'altronde esso è un'associazione con tanto di intestatari (Beppe
Grillo, il nipote e il commercialista) e le decisioni, alla fine, le
prende lui. Sotto l'evidente influenza del miliardario Gianroberto
Casaleggio, la vera mente del M5S.
Come se tutto ciò non bastasse, desta
non poca preoccupazione l'intervento dell'ambasciatore degli Stati
Uniti a Roma, David Thorne, nel quale ha esplicitamente elogiato il
M5S.
Considerando quanta influenza hanno
avuto gli USA sulla politica italiana dal dopoguerra ad oggi, la cosa
dà veramente molto da riflettere.
Rimango dell'idea che in Italia vada
costruita una forte opposizione alle politiche di austerità che ci
impone l'Europa e alle politiche liberiste in genere, che stanno
impoverendo gran parte degli italiani (e degli altri popoli europei).
Ma deve essere un'opposizione SERIA e CHIARA.
La chiarezza non viene da chi urla più
forte, nè dai "vaffanculo", bensì dalla linea politica e
dall'ideologia (scusate la bestemmia) di fondo.
il primo passo per emancipare un popolo e renderlo libero non è quello di farlo votare, bensì quello di istruirlo e renderlo consapevole e cosciente
martedì 19 marzo 2013
sabato 9 marzo 2013
Hugo Chàvez: l'emancipazione del Venezuela e del Sudamerica
Non sono ancora passate -al momento in cui scrivo- 72 ore dalla morte di Hugo Chàvez, che il Presidente del Venezuela è già entrato nel mondo della leggenda.
E a ben ragione: di persone eccezionali come lui non ne nascono spesso.
Il giudizio che da noi in Occidente -anche a "sinistra"- è stato dato su di lui è quello che sarebbe (stato) un semi-dittatore e populista.
Curioso, visto che Chàvez ha vinto per ben 4 volte le elezioni presidenziali venezuelane e questo in un contesto -merito tra l'altro proprio delle sue politiche- di forte incremento della partecipazione politica popolare (mentre da noi in Europa, viceversa, l'astensionismo è in continuo aumento).
E in effetti forse uno maggiori meriti di Chàvez e della Rivoluzione Bolivariana è quello di aver dato dignità e reso pienamente cittadini milioni di poveri un tempo emarginati, che vivevano nelle baraccopoli, in condizioni di miseria morale e materiale (la povertà è scesa dal 49 al 27% della popolazione).
Per stilare un elenco esaustivo di tutte le misure che, grazie a Chàvez, hanno contribuito a far uscire gran parte della popolazione dalla povertà e che hanno emancipato un paese -come il Venezuela- dalla storica condizione di forte subordinazione agli USA, non basterebbe un articolo come questo: dalle politiche di alfabetizzazione e istruzione di tutta la popolazione (anche quella finora esclusa), all'istituzione -grazie all'aiuto di medici cubani- di presidi sanitari nelle baraccopoli, alla costruzione di case popolari, alla creazione di cooperative che danno lavoro a tanti disoccupati, l'elenco è lunghissimo e troppe cose mi dimentico.
Ciò è potuto accadere, certo, grazie ai proventi del petrolio, di cui il Venezuela è ricchissimo, ma se prima di Chàvez questo enorme patrimonio andava ad arricchire solo le multinazionali americane e l'oligarchia venezuelana (quella ora anti-chavista), adesso serve per dare benessere, istruzione e sviluppo a tutto il popolo.
Ma una delle più grandi imprese che è riuscita a Chàvez è stata quella, per niente semplice -molti prima di lui hanno pagato con la vita per questo- di essersi scrollato di dosso il potente dominio degli USA.
E di essere stato da motore affinchè altri paesi, anche più grandi e determinanti, come il Brasile e l'Argentina, ma anche la Bolivia, l'Ecuador, e altri ancora si sganciassero da tale subordinazione. Realizzando così un'impresa, che solo fino a pochi anni fa sembrava impossibile: emancipare un intero continente (gran parte di esso) dalla secolare condizione di "cortile di casa" degli Stati Uniti.
Condizione che in passato ha portato a sfruttamento, colpi di Stato e dittature sanguinarie, nonchè politiche liberiste, che hanno portato impoverimento e bloccato lo sviluppo economico (lo stesso che sta ora accadendo in molti paesi europei).
Ma sorge legittima una domanda: di che cosa è morto Chàvez?
Di tumore, come si sa.
Non perchè uno voglia vedere per forza dei "complotti" dietro ogni cosa, ma il fatto strano è che negli anni recenti sono stati colpiti dallo stesso male tutti i presidenti sudamericani che hanno praticato una politica di allontanamento dal dominio americano. E soltanto quelli.
Ignacio Lula e Wilma Roussef in Brasile, Cristina Fernandez in Argentina, Fidel Castro a Cuba, Fernando Lugo in Paraguay.
Viceversa, a nessun presidente filo-americano è toccata sorte analoga.
Pura coincidenza?
Non sappiamo se la CIA stia adottando questo sistema per combattere tutti gli esponenti politici scomodi. Ma se questo fosse vero, non tengono presente un fatto: che dietro questi leaders ci sono dei popoli.
E dei popoli che hanno sofferto sulla propria pelle che cosa significa la suddittanza agli USA e alle politiche liberiste. E che ora che hanno iniziato un percorso di emancipazione non accetteranno così facilmente di ritornare ad una condizione servile e di miseria. Sarà con loro che gli Stati Uniti dovranno vedersela.
Un'ultima cosa: l'importanza di uno come Chàvez sta nel fatto che ha dimostrato che uscire dalle politiche liberiste SI PUO'.
E' un esempio anche per noi, che stiamo iniziando ad "assaporare" sempre più le delizie delle politiche liberiste, a suon di tagli ai servizi, alla sanità e alle pensioni, aumento della disoccupazione e della precarietà, e generale impoverimento della popolazione.
Iscriviti a:
Post (Atom)