giovedì 20 febbraio 2014

Che cosa ci possiamo aspettare da Renzi?

Messo in crisi il Governo Letta, gli è subentrato quello capeggiato da Matteo Renzi.
Qualcuno ha parlato addirittura di colpo di Stato. Potrebbe sembrare una “sparata” e di sicuro è un’esagerazione. Ma non ci siamo nemmeno troppo lontani, considerando intanto il fatto che Renzi è stato eletto soltanto come segretario del Partito Democratico e non certo come Presidente del Consiglio e per giunta non è neanche un parlamentare.
Ma, a parte questi metodi molto poco democratici che si stanno affermando in Italia (più o meno la stessa dinamica è accaduta con la nascita del Governo Monti), qui il problema è capire che cosa cambierà ora che Letta è stato sostituito da Renzi.

Premesso che non ho mai nutrito grossa simpatia per uno come il Sindaco di Firenze, il quale è sempre stato considerato un esponente della destra PD (come se il PD non fosse già di per sé abbondantemente a destra, almeno in termini di politiche economiche). Per giunta passa per essere vicino a Berlusconi.
Le sue prese di posizione di qualche anno fa per l’abolizione della Festa del Lavoro, il 1 maggio, di sicuro hanno peggiorato il mio giudizio su di lui.
Ma, come sempre, nella realtà le cose non sono così semplici e schematiche.

In Italia ormai s’è affermata una visione della politica molto personalistica (siamo forse l’unico paese europeo che ha assorbito quasi completamente la cultura e i metodi politici statunitensi, da bravi “sudditi”).
Tale visione ci porta a dare erroneamente una enorme importanza al personaggio che va ad occupare posizioni di potere.
Ma se negli stessi USA il presidente è strettamente legato alle potentissime lobbies economico-militari-finanziarie, in Italia le cose non sono molto diverse.

Ora, consideriamo il fatto che sia Enrico Letta che Matteo Renzi hanno dietro di sé le grandi lobbies industriali-finanziarie: Letta è membro della Trilateral Commission (una sorta di massoneria ultra-liberista egemonizzata dagli USA) e ha partecipato a riunioni del Gruppo Bilderberg (altra massoneria, più segreta della prima), mentre Renzi ha origini democristiane e suo padre, Tiziano Renzi, grande imprenditore e possidente, pare abbia fatto parte della massoneria.
Stando così le cose il problema è capire per quale motivo c’è stato questo cambio al vertice e se ciò possa riflettere o meno uno scontro di potere.

Ossia, ciò che sta accadendo potrebbe essere dovuto, semplificando, a due fattori. Il primo, è che i due personaggi riflettano sostanzialmente gli stessi settori economico-sociali (i cosiddetti “poteri forti”), i quali, delusi dalle prudenze e “lentezze” di Letta nel portare avanti le politiche di austerità, richieste dall’Europa delle banche, si sarebbero rivolti a Renzi, il quale appare essere molto più deciso e “dinamico”.
Non è però nemmeno da escludere che ci sia uno scontro di potere tra settori diversi di capitale finanziario, o tra grande borghesia finanziaria internazionalizzata da una parte e medio-alta borghesia italiana poco finanziarizzata ed internazionalizzata. Renzi potrebbe anche rappresentare una possibile mediazione tra queste due forze.
Non sono in grado di fare questo tipo di analisi, che richiederebbe ben altre conoscenze. Ma tengo a sottolineare che sono queste le questioni che una sinistra SERIA dovrebbe porsi.

Un’altra questione, ovviamente legata ai discorsi di cui sopra, e che però ci riguarda direttamente, è quella di cercare di capire quali misure di politica economica il Governo Renzi intenda attuare.
Non ci sono dubbi, infatti, che il (non ancora ex) sindaco di Firenze intende “picchiare forte”. Ma “picchiare” chi?

I ceti popolari sono già stati abbondantemente “picchiati” nei decenni scorsi e oggi in Italia abbiamo il costo del lavoro fra i più bassi di tutta Europa e elevatissimi livelli di precarietà e non poca disoccupazione. Inoltre, il grado di conflittualità dei lavoratori è bassissimo, per non parlare della ormai totale assenza di rappresentanza parlamentare dei ceti popolari.

Certo, i ceti popolari si possono “bastonare” ancora di più e non credo che Renzi (e chi lo sostiene) si faccia grossi scrupoli a farlo.
Ma non è neanche detto che l’attacco questa volta non possa essere rivolto ai cosiddetti “ceti medi”, che in Italia rappresentano uno strato sociale molto sovradimensionato (rispetto a tutti gli altri grandi paesi europei). E che rendono l’economia italiana particolarmente debole e scarsamente competitiva con l’estero.
Il “nanismo industriale” del Bel Paese, infatti, è un evidente ostacolo nello sviluppo tecnologico e della ricerca, dato che ha sempre prosperato sul basso costo del lavoro (nonché sulla sua estrema precarietà), e sull’evasione fiscale.

Nei prossimi mesi ne sapremo qualcosa di più.
Una cosa è certa: se anche ci dovessero aspettare tempi durissimi, ciò non è dovuto al fatto che ora c’è Renzi. Renzi non è altro che il perfetto risultato finale di tutto il percorso che ha portato negli scorsi decenni dal PCI al PdS, ai DS e al PD.

domenica 9 febbraio 2014

ma il problema sono davvero i partiti?

Che in Italia ci sia stato un forte aumento del malcontento popolare negli ultimi anni è cosa nota.
La crisi economica, e soprattutto il modo come la si sta gestendo, sta portando numerosi danni economici, morali e politici nel nostro paese.
Imprese, laboratori e negozi che chiudono, licenziamenti, precarizzazione del lavoro, tagli ai servizi, alla scuola, alle pensioni. Molte famiglie –come si dice- non arrivano a fine mese e c’è stato un incremento dei suicidi, dovuti a tali problemi.

Il malcontento sociale, quindi, è più che legittimo. Ma tale malessere, affinché sia anche utile, oltre che legittimo, deve sapersi indirizzare bene.
Ossia, i ceti popolari, nel loro esprimere la loro rabbia, il loro malessere, la loro protesta, devono individuare chi sono i veri responsabili di queste condizioni. Altrimenti rischiano di farsi facilmente strumentalizzare da chi intende combattere alcuni settori, ma solo per perseguire fini propri, non di rado opposti a quelli convenienti ai ceti popolari.

Ho già ricordato più volte come è lo stesso capitalismo a generare le crisi economiche, per i suoi meccanismi intrinseci (vedere Marx) e come il forte intervento degli Stati nell’economia (Welfare State, partecipazioni nell’industria, ecc.) ne avesse attenuato tali dinamiche durante i decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
Viceversa, le politiche liberiste degli ultimi 30 anni, modificando tale quadro, hanno fatto sì, che i meccanismi del capitalismo (crisi, ahimè, comprese) ritornassero prepotentemente.
Quindi, le responsabilità politiche principali della situazione negativa attuale, sono da attribuire, almeno per quanto riguarda l’Italia, ai GOVERNI. A quello attuale (di Letta), come a quelli precedenti (Monti, Berlusconi, Prodi…), fautori, appunto, delle politiche liberiste degli ultimi 20 anni.

Tutta la retorica, che in Italia imperversa da almeno 20 anni, sui generici “politici” e sui partiti, ladri e corrotti, e che sarebbero tutti la causa principale dei problemi attuali, dal momento che “si sono mangiati tutto”, è una retorica tanto pervasiva, quanto fourviante.
Non è un caso che chi a suo tempo ha cavalcato tale retorica (Berlusconi, che amava definirsi un “imprenditore” e non un politico; Bossi, con i suoi discorsi su “Roma ladrona”), non ha portato alcuna “pulizia” nella politica, ma, anzi…

Veniamo ai partiti.
Checché se ne dica, i partiti esercitano un ruolo importantissimo in quasi tutti i paesi del mondo, anche là dove i casi di corruzione politica si contano sulle dita di una mano. Questi mancano solamente dove vigono dittature, o monarchie assolute, come in Arabia Saudita o nel Vaticano.

In realtà, i partiti –o almeno quelli comunisti o seriamente di sinistra- sono nati a suo tempo proprio come strumento per promuovere la democrazia (là dove non c’era o scarseggiava) e per favorire la partecipazione alla politica dei ceti popolari (là dove, almeno formalmente, la democrazia già c’era).
Paradossalmente, il partito classico è stato –e in molti casi è ancora- un ottimo strumento proprio per contenere la corruzione che ha sempre albergato negli ambiti del potere (politico e non), dato che attraverso di esso i ceti popolari riescono ad esercitare un minimo di controllo sulle istituzioni.

Per decenni il Partito Comunista Italiano è stato proprio un partito con queste caratteristiche. Anche per questo alla fine è stato fatto fuori (dava troppo fastidio).
I partiti di oggi in Italia (con pochissime eccezioni) ormai non hanno più nulla a che vedere con questo tipo di partito, essendo diventati sostanzialmente dei comitati elettorali.
Ma criticare, per questo, i partiti tout-court significa buttare il bambino con l’acqua sporca!

Anche perché quale sarebbe l’alternativa?
Nell’ultimo secolo e mezzo, solo le dittature, le monarchie assolute e il notabilato dell’Italia dell’ottocento (e che oggi, in nome del “superamento del ’900” sta tornando in auge).
Poi, qualcuno può anche fantasticare di “democrazia on-line”, ma prenderlo sul serio può essere pericoloso: esistono migliaia di modi per controllare, falsificare, distorcere, condizionare i dati su internet.