mercoledì 18 giugno 2014

Berlinguer, al di là del mito

 
La prima domanda che viene in mente quando si pensa ad Enrico Berlinguer è: perché la sua figura è diventata oggi un mito per tanta gente di sinistra (e non solo)?

Vedo essenzialmente 3 motivi:
il primo è che durante la sua segreteria il PCI riuscì ad ottenere il record storico dei voti, alle elezioni politiche del 1976 (ma non il record degli iscritti, risalente al periodo togliattiano).
Il secondo motivo è che dopo di lui i comunisti e la sinistra hanno avuto come dirigenti figure assai mediocri. E’ chiaro che al confronto di personaggi quali Natta, Occhetto, D’Alema, Veltroni, Cossutta, Bertinotti, Vendola, ecc. Berlinguer appare veramente come un gigante (ma il discorso cambia se lo si paragona a Gramsci, Togliatti o a Longo, personaggi di statura, secondo me, maggiore).
Il terzo motivo è quello relativo alla questione morale, ossia, alla sua denuncia della deriva morale dei partiti, sempre più tendenti verso macchine di potere corrotte. Una denuncia importante e tempistica (oltre 10 anni prima di “Mani Pulite”), che Berlinguer avrebbe dovuto, però, ricollegarla in modo chiaro alle dinamiche del capitalismo e a come questo s’è sviluppato in Italia.

 
Fin qui il mito.
Una valutazione di Enrico Berlinguer più “concreta” richiede ben altre considerazioni (che, certo, in un articolo breve come questo non possono che essere trattate in modo schematico e semplicistico).

Intanto ci sarebbe da dire che una figura come Berlinguer deve essere necessariamente considerata sotto diversi aspetti: sotto l’aspetto morale, politico e ideologico.
Per l’aspetto morale va detto che sulla rettitudine di Berlinguer non ci piove. Un personaggio di un’onestà, una correttezza, una serietà oggi quasi inimmaginabili (Beppe Grillo, il grande “fustigatore di costumi” dei tempi nostri non possiede neanche un millesimo della serietà che aveva il segretario del PCI; ma lo stesso discorso vale anche per Renzi).

Indubbiamente Enrico Berlinguer è stato anche una grandissima mente politica. Una persona dotata di notevole intuito e anche non poco coraggiosa.
Intuì in anticipo la crisi a cui stavano andando incontro l’URSS e i paesi del Patto di Varsavia. Riuscì ad essere fortemente innovativo e a tentare strade nuove -magari non sempre azzeccatissime- in modo coraggioso e senza cullarsi nell’esistente.

Sulle enormi qualità di Berlinguer si potrebbe ancora parlare a lungo.
Ma una valutazione che tenga conto di tutti gli aspetti non può non tenere presente anche i limiti e gli errori commessi dal comunista sardo.

Il più forte limite di Berlinguer era –a mio avviso- di tipo teorico-ideologico (un aspetto, quest’ultimo, in genere sottovalutato, ma molto più “concreto” di quanto comunemente si immagini).
L’allora segretario del PCI aveva –per quanto si possa cogliere- una visione troppo incentrata sugli aspetti strettamente politici, mettendo in secondo piano le dinamiche sociali e di classe.

Ciò emerge intanto dal TIPO di critica che egli esercitò nei confronti dell’Unione Sovietica. Intendiamoci: di motivi per criticare l'URSS ce n'erano a bizzeffe, solo che invece di tentare di mettere in luce –da buon marxista- le contraddizioni socio-economiche di quel paese, si limitò a denunciarne il carattere autoritario e antidemocratico.
Ma ancora di più si nota nella sua concezione del Compromesso Storico, visto essenzialmente come un accordo politico. Berlinguer probabilmente riteneva che una volta ottenuto il consenso dell’allora segretario della Democrazia Cristiana (Aldo Moro) e del Presidente degli Stati Uniti (Jimmy Carter) il grosso era fatto. Purtroppo i fatti successivi (uccisione di Aldo Moro, Preambolo della DC) hanno brutalmente dimostrato che non era così. E che il vero potere –in una società capitalistica- è lungi dall’identificarsi col potere politico formale (come non si stancava di ripetere Marx).

Connessa al tentativo di realizzare il Compromesso Storico è la nota decisione di accettare “l’ombrello della NATO”. Decisione secondo me discutibile: la NATO era ed è tutt’altro che un “ombrello”, bensì una macchina da guerra. E infatti, il PCI ha accettato la NATO, ma la NATO per tutta risposta ha continuato a non accettare il PCI.

Ma la domanda più grande che mi pongo è un’altra: premesso che l’accettazione della NATO da parte di Berlinguer era subordinata alla realizzazione del Compromesso storico, per quale motivo, una volta divenuto fin troppo esplicito il rifiuto di questo da parte della DC (e degli USA), il PCI non ha pensato di rivedere tale accettazione? Forse la decisione di accettare la NATO non era di natura tattica ma strategica?
Certo, tali questioni sono da vedere nel quadro delle relazioni internazionali, in cui il PCI aveva rotto con i paesi del patto di Varsavia (URSS in testa) e in cui si rivelò un fallimento l’effimera esperienza dell’Eurocomunismo, per cui il partito rischiava di ritrovarsi isolato.
Ma allora esistevano anche i paesi non allineati. Possibile che l’unico orizzonte fosse solo l’Occidente e i relativi partiti socialdemocratici?

Un’altra questione riguarda il rapporto tra il PCI e i movimenti giovanili del 68 e dintorni. Enrico Berlinguer, a differenza di Longo (il quale, però ebbe problemi di salute e non poté seguire bene gli eventi) rimase sempre restìo ad instaurare buoni rapporti col movimento del ’68. Perché?
Un rapporto proficuo con quei movimenti avrebbe da una parte arricchito il PCI e dall’altra avrebbe evitato, almeno in parte, il prodursi di certe fratture e le relative derive estremistiche, emerse soprattutto nella seconda metà degli anni settanta.

A giustificazione dell'operato di Berlinguer c’è tuttavia da considerare che la situazione politica italiana soffriva in quegli anni di un vero e proprio blocco: la Guerra Fredda e la condizione di sovranità limitata in cui versava –di fatto- il Bel Paese, impedivano al PCI di andare al governo, anche se avesse preso la maggioranza dei voti (gli americani erano già pronti a fare un colpo di Stato nell’eventualità).
Berlinguer fece un tentativo, molto coraggioso –egli rischiò anche la pelle- di sbloccare tale situazione. E non potendo fare troppe forzature, tentò una strada “morbida” e conciliante.
Ma non gli riuscì: il capitalismo e la borghesia sono per loro natura rapaci e poco disposti a conciliare.

martedì 10 giugno 2014

l'enorme differenza tra essere informati, e avere una coscienza politica

Partiamo da un presupposto del tutto irrealistico: supponiamo, per assurdo, che tutte le informazioni che ci giungono dai mass-media o dalle varie forze politiche siano attendibili ed imparziali.

Quindi, diamo per buono che tutti i paesi che gli Stati Uniti intendono attaccare (spingendoci a farlo anche noi) siano, guarda caso, tutti governati da feroci dittatori (o, come si dice, dei “novelli Hitler”). Diamo per buono che in Italia tutto funzionerebbe ottimamente, se non ci fossero gli unici problemi del paese, ossia, il debito pubblico, gli immigrati, l’eccessivo statalismo, il costo del lavoro troppo alto e poco flessibile, l’INPS sempre in rosso… E diamo per buono che tutti gli esponenti della forza politica XY siano bravi e onesti, mentre tutti gli altri siano inevitabilmente ladri, corrotti, quando non mafiosi.
Diamo, ancora, per buono che il Papa, il clero cattolico e tutti i militanti delle relative associazioni siano tutte persone squisite, sempre sorridenti, generose, umili, piene di amore verso il prossimo (banchieri dello IOR e preti pedofili compresi, naturalmente) e che si prodigano tutti i santi (è il caso di dirlo) giorni per aiutare i poveri e i bisognosi, mentre chi crede in altre confessioni lo sia molto di meno, e in modo particolare i musulmani, i quali, viceversa, sono brutti, prepotenti, rozzi, antipatici, violenti, mezzi terroristi, invasati di odio e la cui unica ossessione è quella di costringere noi occidentali a convertirci all’islam, o in alternativa ad ucciderci senza pietà.
E diamo per buono che….no, vabbè, può bastare.

Nella società moderna siamo letteralmente bombardati da centinaia, se non migliaia, di notizie: dall’ultimo flirt dell’attrice x, alla colazione del principe y, al neonato figlio del calciatore z, all’attentato terroristico nel Bahrein.
In teoria dovremmo avere tutti, a causa di ciò, un elevatissimo livello di consapevolezza sulla nostra società, sul mondo in cui viviamo, il che dovrebbe tradursi in una buona coscienza politica diffusa (palesata dal crescente astensionismo elettorale).

Ironia a parte, per ottenere un livello di coscienza politica adeguata il problema non è la quantità delle informazioni, ma IL MODO COME VENGONO ORDINATE ED INTERPRETATE.

Il primissimo passaggio per interpretare le notizie è quello, intanto, di ordinarle per importanza. Potrebbe sembrare una banale questione di buon senso, ma molto spesso non è così. Anzi, a volte serve un elevato livello di professionalità e di esperienza in un campo per distinguere un’informazione significativa, da un’altra che appare tale, ma non lo è.
Un secondo passaggio importante è quello di capire qual è la fonte delle notizie (sarebbe anche da verificarne l’attendibilità, ma ovviamente non è un lavoro alla portata di tutti; ma già tenere ben presente la fonte, può essere intanto un passaggio utile).

Dopodiché si passa alla decifrazione vera e propria. Ottenere migliaia e migliaia di notizie, se poi non sappiamo come interpretarle, serve a ben poco, o potrebbe essere addirittura fuorviante.
Mi viene in mente un esempio un po’ estremo (ma tutt’altro che infrequente!): due persone che abitano nella stessa casa, o nella stessa camera (mettiamo marito e moglie), i quali, dopo anni ed anni di frequentazione quotidiana –dalla quale hanno potuto trarne miriadi di informazioni sull’altra persona- scoprono alla fine di non conoscersi affatto e di essersi fatti un’opinione assai distorta dell’altra persona.
Ecco un esempio lampante di come a volte il bombardamento di notizie possa servire a ben poco, se poi non si sa come interpretarle. E se ciò può accadere e accade tra due conviventi, figuriamoci tra i cittadini e i personaggi politici (o i partiti)!

Le dinamiche sociali –e, di conseguenza quelle politiche- presentano un tale livello di complessità e di articolazione, che è estremamente difficile farsi un’opinione adeguata su una determinata politica, sulla base di semplici informazioni (anche supponendo che queste siano attendibili).
Una comprensione un minimo adeguata –e, quindi, un principio di coscienza politica- può darsi soltanto sulla base di una VISIONE COMPLESSIVA della società, quella che comunemente chiamiamo “ideologia”.
La vera e propria coscienza politica si ha nel momento in cui una persona diventa consapevole di far parte di un determinato settore sociale e di quali interessi questo settore esprime. A livello più generale, è la consapevolezza di far parte di una determinata classe sociale.

Non è certo col “bombardamento” di notizie sulla disonestà dei politici, che si crea una coscienza politica. Con tale metodo l’unico risultato è provocare indignazione, rancore, ma anche pregiudizi, e infine sfiducia. Oppure, la disponibilità da parte di numerose persone a seguire ciecamente qualunque leader carismatico che APPAIA più onesto o comunque migliore degli altri (che poi lo sia veramente è tutto da dimostrare).
Quando Marx, Lenin e Gramsci hanno elaborato le loro concezioni teoriche miravano proprio a realizzare una coscienza politica e di classe ai lavoratori, ai ceti popolari. Anche loro avrebbero potuto rivelare numerose notizie circa i politici disonesti, ma si sono ben guardati da simili banalità “grilline”: il loro obbiettivo era molto più nobile.

Un’ultima osservazione: stiamo molto attenti alle miriadi di “notizie” che circolano sul web, spesso con filmati dubbi. Molte di esse sono bufale e purtroppo il comportamento diffuso in tante persone è quello di condividere in modo meccanico tali “scoop”, senza domandarsi quanto ci possa essere di vero.