sabato 1 marzo 2014

Ucraina, ma quale rivoluzione...è guerra!

Già anni fa, nel 2004, in Ucraina c’era stata la cosiddetta “rivoluzione arancione”, che portò al potere Victor Juscenko, filo-occidentale.
Che tale “rivoluzione” non fosse stata proprio del tutto spontanea (ma foraggiata dall’Occidente) divenne evidente alle elezioni successive, nel 2006, quando Juscenko venne sconfitto e vinse Yanukovich.
Ma da allora molte cose sono cambiate. Non tanto in Ucraina, quanto a livello mondiale.

Se nei primi anni 2000 gli Stati Uniti esercitavano ancora una forte egemonia politico-economico-militare sul resto del mondo, oggi tale egemonia sta per essere via via sempre più ridimensionata.
L’affermazione dei paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), e in modo particolare della Cina, la crescente emancipazione dell’America Latina dagli USA, il fallimento del tentativo americano di controllare completamente il Medio Oriente, stanno mutando i rapporti di forza a livello mondiale a sfavore degli Stati Uniti.
A questo si aggiunge la forte crisi economica, che sta devastando l’Europa e creando seri problemi anche oltreoceano (ma ciò accade perché la si sta gestendo nel peggiore dei modi possibili: inasprendo le politiche liberiste).

Ma l’Occidente (USA in testa, come al solito), incapace di affrontare i problemi relativi alla crisi economica e di egemonia, in modo pacifico, razionale e accorto, non trova di meglio che alimentare e rinfocolare le tensioni, spingendo sempre più insistentemente verso un conflitto bellico.

Falliti gli interventi militari diretti in Afghanistan e in Iraq, ora l’Occidente ci prova con un’altra tattica: quella di provocare “rivoluzioni” (costruite ad arte) nei paesi ostili. Tali “rivoluzioni” vengono sovvenzionate, armate, legittimate e sostenute in tutti i modi dagli USA e/o da paesi come la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e altri.
In Libia è andata bene (per l’Occidente, non certo per i libici), ma in Siria no.
E siccome sono stati proprio i russi ad impedire all’ONU l’intervento militare in Siria, lungamente caldeggiato dall’Occidente (e da Israele), dov’è che scoppia la successiva “rivoluzione”?
In Ucraina, a due passi da Mosca!

Poco importa all’Occidente se la rivolta ucraina è stata condotta da elementi di estrema destra (tra cui i filo-nazisti di Svodoba; ma gli USA e gli europei non si sono mai fatti scrupoli ad utilizzare pure terroristi legati all’estremismo islamico, sia in Libia che in Siria, e anche altrove). L’importante era far cadere il governo filo-russo.
Il motivo principale –e neanche troppo nascosto- è quello di allargare la NATO all’Ucraina (o anche solo a parte di essa), per poter installare missili nucleari americani a poche centinaia di chilometri da Mosca.

E le questioni nazionaliste-linguistiche?
In realtà hanno un ruolo di fatto secondario nella vicenda. Le differenze tra la parte orientale dell’Ucraina (filo-russa) e quella occidentale, non russofila, sono state utilizzate strumentalmente per gli scopi di cui sopra.
Tali differenze, infatti, hanno convissuto per lunghi decenni in modo pacifico, come d’altronde accadeva nella Jugoslavia di Tito; poi, anche lì sono arrivati gli occidentali e, secondo il classico metodo del “divide et impera”, hanno fomentato divisioni, ostilità e guerre, per sottomettere e controllare economicamente e politicamente quelle regioni. Lo stesso sta facendo l’Occidente in Ucraina.

Ma la Russia non sta a guardare.
E non è un paese isolato, come lo erano la Serbia di Milosevich o la Libia di Gheddafi. E –non dimentichiamolo- è pure una potenza nucleare.
Il rischio che possa scoppiare una guerra di enormi proporzioni è notevole.
Anche perché da noi in Occidente, come accadeva ai tempi del fascismo che precedettero la II Guerra Mondiale, nessuno protesta: il movimento pacifista sembra completamente eclissato.
Proprio ora, che USA e Occidente spingono sempre di più verso una guerra dalle proporzioni e dagli esiti imprevedibili.

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