venerdì 25 gennaio 2013

Rivoluzione Civile: una coalizione, ma alternativa davvero

Lo confesso apertamente: a me le forze politiche che fanno capo ad una persona non sono mai piaciute. Preferisco -in netta controtendenza- i partiti, e soprattutto quelli di una volta, con un orientamento ideologico-politico-programmatico chiaro e che costituiva un punto (abbastanza) fermo.
Il problema è che oggi come oggi un partito forte, organizzato, con un certo peso elettorale e politico e che abbia una linea che condivido, non esiste.
Ossia, quelli in cui mi riconosco di più (Rifondazione Comunista e PdCI) da soli non supererebbero la soglia di sbarramento, che una legge anti-democratica ci impone.

Dunque, PRC e PdCI sono costrette a coalizzarsi con altre forze e a candidare un magistrato, peraltro molto valido, come Antonio Ingroia per poter superare la soglia di sbarramento e riuscire ad entrare in Parlamento.
Questo, beninteso, non per un discorso di "poltronismo", ma perchè il minimo che si possa fare oggigiorno è (ri)portare in Parlamento, e quindi rendere visibile, la voce di milioni e milioni di disoccupati, di esodati, di lavoratori, di pensionati con basso reddito. Insomma, di tutti quei settori sociali, già deboli, che dalle politiche degli ultimi governi sono stati fortemente penalizzati.
Una voce di VERA OPPOSIZIONE.

Per la verità, non mi convincono molto i discorsi che vedono Rivoluzione Civile come una nuova forza politica, da cui partirà chissà quale riunificazione della sinistra.
Non perchè io sia contrario ad unificare la sinistra, bensì perchè un processo veramente unitario difficilmente può nascere pochi mesi prima delle elezioni. E comunque rimango dell'idea che il primo passo sia quello di riunificare intanto i comunisti, compito già assai arduo.
Parliamoci chiaro: Rivoluzione Civile -o lista Ingroia- è una coalizione.

Detto ciò, va però riconosciuto che la Lista Ingroia rappresenta -di questi tempi- un discorso molto interessante e di controtendenza. E' da sottolineare, infatti, che il programma di Rivoluzione Civile è condivisibile, ed è l'unico che si oppone seriamente, e non solo demagogicamente, all'"Agenda Monti", ossia, alle politiche di austerità imposte dalla BCE, quelle guerrafondaie della NATO e quelle oscurantiste del fin troppo invadente Vaticano.

Oltre alla legalità e alle politiche antimafia -terreno privilegiato per uno come Ingroia- il programma di Rivoluzione Civile prevede:

-uscita dal fiscal compact (norma voluta dalle elites europee e che impone ai governi tagli per decine di miliardi di euro all'anno)
-il ripristino dell'articolo 18
-abolizione dell'IMU per la prima casa e una legge patrimoniale
-il rifiuto delle guerre
-uno stato laico e i diritti civili
-uno sviluppo rispettoso dell'ambiente
-una scuola pubblica
-ricerca per rilanciare le imprese

E altro ancora.
Dunque, motivi per sostenere Rivoluzione Civile ce ne sono fin troppi.
La Lista Ingroia è l'unica che contrasta le politiche economiche sbagliatissime che l'Europa ci impone, e che passano attraverso Monti (ma anche Berlusconi e Bersani), senza scadere -come fa Grillo- nei banali, quanto fuorvianti luoghi comuni "anti-casta" o "anti-politici", che suonano tanto rivoluzionari, ma che invece non vanno a toccare i problemi di fondo.
Che -non mi stancherò di ripeterlo- non sono tanto i privilegi dei "politici" (che pure vanno comunque drasticamente diminuiti), quanto le politiche che tartassano i ceti popolari, mentre non scalfiscono i miliardari e sperperano preziose risorse per opere inutili o missioni di guerre.

giovedì 10 gennaio 2013

cancellato l'articolo 18...e la disoccupazione aumenta

Ormai è dal settembre scorso che l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (quello che prevede il reintegro nel posto di lavoro per il lavoratore licenziato senza giusta causa) è stato -di fatto- cancellato.
Ci aveva già provato Berlusconi nel 2002, ma la reazione della CGIL e di tre milioni di lavoratori scesi in piazza lo costrinse a desistere.
Oggi il Governo Monti, con la complicità sia del PD, che del PDL c'è riuscito: con la (contro) riforma Fornero il lavoratore ingiustamente licenziato riceve un indennizzo (ossia, riceve lo stipendio per 2 anni), che però non è certo la stessa cosa che mantenere il posto di lavoro.

Per anni e anni vari personaggi (imprenditori soprattutto, ma anche economisti e politici di fede liberista) hanno tuonato contro l'articolo 18, ritenendolo la causa di tanti problemi economici e della mancanza di investimenti, sia italiani, che stranieri, nonchè della disoccupazione.

Ora, quindi, ci si aspetterebbe che, cancellato, almeno nella sua essenza, l'articolo 18, frotte di investimenti sarebbero dovuti piombare sull'Italia, portando con sè nuova occupazione. In questi mesi qualche primo effetto si sarebbe già dovuto vedere.
E invece, niente!

Qualche risultato, per la verità, si vede, ma di segno opposto: la disoccupazione aumenta.
Gli ultimi dati sono veramente allarmanti: 37,1% di disoccupazione giovanile.
Certo, l'aumento della disoccupazione, così come la mancanza di investimenti e la chiusura di non poche aziende, negozi, laboratori, ecc., non è causata da tale provvedimento. Questo fenomeno è legato alla crisi economica, connaturata al modo di produzione capitalistico. Il cosidetto "libero mercato" (che tanto libero poi non è) genera crisi, disoccupazione, de-industrializzazione, ecc.
Ma in tale contesto, le misure del Governo Berlusconi prima e di quello Monti poi, hanno sicuramente aggravato gli effetti negativi di questa crisi.

La cancellazione dell'articolo 18 non ha risolto e non risolverà nessuno di questi problemi e, a dispetto di tante chiacchiere interessate, meno che mai produrrà un incremento dell'occupazione.
Creerà, semmai, un altro effetto, ed è proprio quello che desiderava la classe imprenditoriale italiana -una tra le più incapaci d'Europa- e i vari economisti ai suoi servizi: l'aumento della ricattabilità del lavoratore. E, di conseguenza, il suo sfruttamento.
E' un altro tassello che si va ad aggiungere al boom dei vari contratti precari, generato dalla legge Treu prima e dalla L. 30 poi. Col risultato che ormai la grande magioranza dei lavori -soprattutto giovanili- sono con contratti precari (i quali avrebbero dovuto in teoria anch'essi -stando a ciò che si diceva-portare ad un aumento dell'occupazione).

Che l'articolo 18 non creava problemi alla crescita economica e all'occupazione è dimostrato, tra l'altro, dal fatto che dopo che è entrato in vigore lo Statuto dei Lavoratori, nel 1970, in Italia il PIL è stato in continua crescita per tutti gli anni '70 e '80.

Speriamo che riesca ad andare in porto il referendum per il ripristino dell'articolo 18. Lo scioglimento delle camere effettuato dal Presidente Napolitano rischia di rendere inutile la raccolta di firme di questi mesi scorsi.