venerdì 28 marzo 2014

Italia: inefficienze, corruzione, illegalità. Da che dipende?

Molti di voi si saranno chiesti -io tantissime volte- come mai in Italia, e specialmente nel Centro-Sud, i servizi, la gestione politica, e un po' tutto quanto, funzioni spesso così male. Le inefficienze, i disservizi, le carenze, il pressappochismo, i tempi a volte lunghissimi, i lavori interrotti, ecc. ecc. Tutto ciò colpisce chiunque abbia una certa conoscenza dei paesi europei, dove tutto sembra funzionare meglio che da noi e dove maggiore è l'organizzazione e la puntualità.
A ciò si aggiunge che nel nostro paese l'illegalità è diffusissima, a partire dall'evasione fiscale, poi l'abusivismo, il lavoro nero, e il controllo spesso latita.
E poi abbiamo le grandi organizzazioni mafiose, fenomeno che non ha eguali, quantomeno in Europa e nel mondo occidentale.
Perchè tutto ciò?

La prima risposta che di solito si sente è quella per cui il problema risiederebbe nella "casta" politica italiana, particolarmente ladra e corrotta. Ma questa risposta non fa che spostare la domanda: perchè nel Bel Paese abbiamo tale ceto politico e da altre parti no? (in realtà, il ceto politico, lungi dal "plasmare" la società, ne è semmai molto più plasmato).

Un'altra risposta chiama in causa le caratteristiche mediterranee (o levantine) che avrebbero gli italiani e soprattutto i romani e i meridionali.
Ma anche questo discorso non regge: basta farsi un giro a Madrid o a Barcellona, e perfino a Lisbona, per notare strutture e servizi di una modernità e di un'efficienza, che Roma non si sogna neanche lontanamente. E non regge anche per un altro motivo: pure nella stessa Italia e anche nel Sud ci sono diverse eccezioni alla regola del malfunzionamento e della corruzione. Esistono ambiti dove le cose si riescono a far funzionare egregiamente, anche se purtroppo si tratta di situazioni limitate.
E allora da che dipende tutta questa inefficienza, quest'illegalità, questo pressapochismo e lentezza che abbiamo nel nostro paese?

Per abbozzare una risposta occorre, secondo me, andare a vedere quali paesi hanno tali caratteristiche, e a volte anche peggiori di noi.
Ebbene, corruzione, inefficienza, illegalità, sono fenomeni tipici dei paesi ex colonizzati, e che, nonostante la loro attuale indipendenza formale, mantengono, però in grande maggioranza una fortissima subalternità –di fatto- nei confronti della loro ex madrepatria (o di chi l'ha sostituita, di solito gli USA). Una subalternità soprattutto economica, ma in ultima analisi anche politica e spesso pure culturale.

Il "meccanismo" del paese colonizzato è -in soldoni- questo: io madrepatria mantengo il paese xy in condizione subalterna, dato che mi interessano le risorse del luogo, e/o intendo conquistarne il mercato (per vendere i prodotti del mio paese) e, inoltre, mi conviene sfruttare la manodopera locale a bassissimo costo.
Per ottenere tale risultato, non è necessario che il paese colonizzato sviluppi una sua efficienza, nè tantomeno una classe dirigente capace e progredita. Al contrario: i dirigenti locali devono esprimere subalternità, affidabilità, per non dire servilismo, e quindi devono essere un ceto "debole", nonché facilmente corruttibile.
Inoltre, per me (madrepatria) è assolutamente vitale che in tale paese non si sviluppi un'economia forte, nè infrastrutture o servizi efficienti (tranne, ovviamente, quelli che mi permettono di sfruttare le sue risorse).
E perfino la stessa illegalità diffusa gioca sempre a mio favore.

Dunque, ceto politico corrotto, e quindi debole, servizi e infrastrutture scarse e poco efficienti, illegalità diffusa e un'economia locale debole sono le caratteristiche tipiche dei paesi colonizzati o semi-colonizzati, o comunque subalterni.
Cosa centra in tutto ciò l'Italia, paese indipendente e "forte" (al punto da far parte del G8)?
Centra.

Il Bel Paese ha intanto una caratteristica che la rende unica (almeno in Europa): quella di comprendere al suo interno una zona con caratteristiche tipiche di un paese imperialista (Centro-Nord, e soprattutto il triangolo industriale Torino-Milano-Genova) e altre zone arretrate e paragonabili ai paesi subalterni (Centro-Sud).
In effetti, l'unificazione italiana nell'800 è stata, a ben vedere, una vera e propria colonizzazione del Centro-Sud da parte del Piemonte. Mentre nel Centro-Nord e soprattutto nel Nord-Ovest è emersa una classe dirigente industriale e politica liberale, nel Mezzogiorno i ceti dominanti erano agrari e poi sempre più politico-clientelari.

Dunque, sotto molti aspetti, il Sud è stato una semi-colonia del Nord. Caratteristica, questa, che è rimasta sostanzialmente immutata nel corso del '900 e fino ai giorni nostri.
E qui ci viene incontro l'analisi che fece Antonio Gramsci, nelle Tesi di Lione: "La grande industria del Nord adempie verso di esse [le popolazioni lavoratrici del Mezzogiorno] la funzione delle metropoli capitalistiche: i grandi proprietari di terre e la stessa media borghesia meridionale si pongono invece nella situazione delle categorie che nelle colonie si alleano alla metropoli per mantenere soggetta la massa del popolo che lavora." (Marx chiamerebbe questi ceti la "borghesia compradora").

L'Italia, inoltre, è, dal dopoguerra, in uno stato di subalternità politico-militare nei confronti degli Stati Uniti. Decine di basi militari della NATO (in ultima analisi americane) non possono non condizionare la politica italiana, anche grazie a strutture segrete, come è stata la "Stay Behind" (Gladio).
Certo, in questo caso siamo in buona compagnia, dato che un po' tutta l'Europa -chi più chi meno- condivide tale condizione.

Economicamente lo Stivale ha avuto un ruolo significativo nei decenni scorsi, tanto da far parte del G8. Ma tale ruolo ora è in netto declino e siamo sempre più subalterni soprattutto alla Germania. Ciò è dovuto da una parte ai limiti intrinseci della nostra struttura produttiva e dall'altra parte al modo come è stata concepita l'Unione Europea, ossia, con criteri ultra-liberistici e che mirano a salvaguardare in pratica solo gli stratosferici interessi delle banche e del capitale finanziario, a discapito delle popolazioni.
Anche qui, è evidente, siamo in buona compagnia (Grecia, Spagna, Portogallo, ecc.).
Tra l'altro non è vero ciò che sostiene Confindustria, ossia, che i nostri problemi economici deriverebbero dall'elevato costo del lavoro o dall'eccessiva tutela della forza-lavoro (sono in forte crisi -e spesso chiudono- pure le aziende che adoperano prevalentemente lavoratori precari, sottopagati e senza diritti). E' il "nanismo industriale", ossia, la proliferazione delle piccole-medie imprese, che stiamo pagando, di fronte ad una concorrenza straniera molto più agguerrita (soprattutto in termini di investimenti, che in Italia scarseggiano).

Infine l'Italia ha una posizione di subalternità nei confronti di quello che si può considerare a tutti gli effetti una potenza straniera, ossia, il Vaticano.
In nessun paese la Chiesa Cattolica esercita un potere ed un'influenza così massiccia e capillare come da noi. E anche a livello economico, le risorse che ci risucchia la Chiesa sono veramente enormi (già solo per il fatto che le sue attività commerciali non vengono tassate).
La Chiesa, inoltre, disponendo di scuole, ospedali e un'infinità di strutture (a pagamento) ha tutto l'interesse a che gli stessi servizi pubblici funzionino male. E questo spiega in parte, secondo me, molte delle carenze e dei disservizi che ci sono in Italia, e in modo particolare a Roma.

 

L'amministrazione di un paese come l'Italia, dunque, con almeno tre "madrepatrie" a cui rendere conto, e per giunta "colonizzata" anche al suo stesso interno (Nord-Sud) è talmente complessa e delicata, che ha finito giocoforza per svilupparsi una borghesia di tipo "compradora" (corrotta, clientelistica, poco propensa alla legalità, ecc.), assieme ad una borghesia capitalistico-industriale e oggi sempre più finanziaria. Questa seconda borghesia è sostanzialmente concentrata al Centro-Nord del paese.

Inutile dire che tutta la retorica sul „ceto politico“ corrotto non porta a niente. E nemmeno quella sui partiti: il neo-colonialismo si regge tranquillamente sulle dittature, come s’è visto in molti paesi del mondo.
I tagli alle spese politiche ci saranno -a prescindere dalle sparate di Beppe Grillo- su questo possiamo stare tranquilli. Ma ciò non cambierà di una virgola le numerose carenze e inefficienze che imperversano nel nostro paese.
Le cose potrebbero in teoria migliorare se da noi emergesse una borghesia imprenditoriale seria, intraprendente e lungimirante. Ma al momento non se ne vede nemmeno l’ombra.
E allora rimane solo la lotta dei ceti popolari, che, dopo decenni di sostanziale latitanza, dovrà necessariamente riemergere.

sabato 1 marzo 2014

Ucraina, ma quale rivoluzione...è guerra!

Già anni fa, nel 2004, in Ucraina c’era stata la cosiddetta “rivoluzione arancione”, che portò al potere Victor Juscenko, filo-occidentale.
Che tale “rivoluzione” non fosse stata proprio del tutto spontanea (ma foraggiata dall’Occidente) divenne evidente alle elezioni successive, nel 2006, quando Juscenko venne sconfitto e vinse Yanukovich.
Ma da allora molte cose sono cambiate. Non tanto in Ucraina, quanto a livello mondiale.

Se nei primi anni 2000 gli Stati Uniti esercitavano ancora una forte egemonia politico-economico-militare sul resto del mondo, oggi tale egemonia sta per essere via via sempre più ridimensionata.
L’affermazione dei paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), e in modo particolare della Cina, la crescente emancipazione dell’America Latina dagli USA, il fallimento del tentativo americano di controllare completamente il Medio Oriente, stanno mutando i rapporti di forza a livello mondiale a sfavore degli Stati Uniti.
A questo si aggiunge la forte crisi economica, che sta devastando l’Europa e creando seri problemi anche oltreoceano (ma ciò accade perché la si sta gestendo nel peggiore dei modi possibili: inasprendo le politiche liberiste).

Ma l’Occidente (USA in testa, come al solito), incapace di affrontare i problemi relativi alla crisi economica e di egemonia, in modo pacifico, razionale e accorto, non trova di meglio che alimentare e rinfocolare le tensioni, spingendo sempre più insistentemente verso un conflitto bellico.

Falliti gli interventi militari diretti in Afghanistan e in Iraq, ora l’Occidente ci prova con un’altra tattica: quella di provocare “rivoluzioni” (costruite ad arte) nei paesi ostili. Tali “rivoluzioni” vengono sovvenzionate, armate, legittimate e sostenute in tutti i modi dagli USA e/o da paesi come la Gran Bretagna, la Francia, l’Italia e altri.
In Libia è andata bene (per l’Occidente, non certo per i libici), ma in Siria no.
E siccome sono stati proprio i russi ad impedire all’ONU l’intervento militare in Siria, lungamente caldeggiato dall’Occidente (e da Israele), dov’è che scoppia la successiva “rivoluzione”?
In Ucraina, a due passi da Mosca!

Poco importa all’Occidente se la rivolta ucraina è stata condotta da elementi di estrema destra (tra cui i filo-nazisti di Svodoba; ma gli USA e gli europei non si sono mai fatti scrupoli ad utilizzare pure terroristi legati all’estremismo islamico, sia in Libia che in Siria, e anche altrove). L’importante era far cadere il governo filo-russo.
Il motivo principale –e neanche troppo nascosto- è quello di allargare la NATO all’Ucraina (o anche solo a parte di essa), per poter installare missili nucleari americani a poche centinaia di chilometri da Mosca.

E le questioni nazionaliste-linguistiche?
In realtà hanno un ruolo di fatto secondario nella vicenda. Le differenze tra la parte orientale dell’Ucraina (filo-russa) e quella occidentale, non russofila, sono state utilizzate strumentalmente per gli scopi di cui sopra.
Tali differenze, infatti, hanno convissuto per lunghi decenni in modo pacifico, come d’altronde accadeva nella Jugoslavia di Tito; poi, anche lì sono arrivati gli occidentali e, secondo il classico metodo del “divide et impera”, hanno fomentato divisioni, ostilità e guerre, per sottomettere e controllare economicamente e politicamente quelle regioni. Lo stesso sta facendo l’Occidente in Ucraina.

Ma la Russia non sta a guardare.
E non è un paese isolato, come lo erano la Serbia di Milosevich o la Libia di Gheddafi. E –non dimentichiamolo- è pure una potenza nucleare.
Il rischio che possa scoppiare una guerra di enormi proporzioni è notevole.
Anche perché da noi in Occidente, come accadeva ai tempi del fascismo che precedettero la II Guerra Mondiale, nessuno protesta: il movimento pacifista sembra completamente eclissato.
Proprio ora, che USA e Occidente spingono sempre di più verso una guerra dalle proporzioni e dagli esiti imprevedibili.