venerdì 24 febbraio 2012

L'Italia farà la fine della Grecia?

Naturalmente nessuno ha la palla di vetro: prevedere che cosa accadrà da qui a soli pochi mesi è -soprattutto di questi tempi- assai arduo.
L'unica cosa sulla quale possiamo stare tranquilli (per modo di dire) è che la crisi economica è ben lungi dall'essere superata e che ci aspetteranno altre misure "lacrime e sangue". Per noi, non certo per i ricchi!
D'altronde in Grecia siamo già alla quarta manovra "lacrime e sangue". La prima -per chi si ricorda- è stata due anni fa, nel 2010. Basterebbe questo a farci capire quanto siano utili queste ricette, che non fanno che impoverire gran parte della popolazione (ma per il lucro delle banche sono utilissimi).
Intendiamoci, non è che nel frattempo non possano esserci anche delle mini-riprese economiche (magari abilmente sfruttate e ingigantite dai mass-media compiacenti). Ma si tratterà comunque di riprese effimere, che spesso preludono ad ulteriori crolli degli indici economici.
Tutto, ma proprio tutto mi porta a pensare che il grosso della crisi deve ancora arrivare. A cominciare dalle misure cosiddette "anti-crisi" che vengono adottate dai governi europei.

Ora, si dice però, che l'Italia non è la Grecia, che la nostra economia è molto più forte e solida. Consolante davvero! Rispetto ad un paese come quello ellenico, che si regge (quasi) solo sul turismo!
In realtà, in Italia esiste da decenni un tessuto produttivo anche relativamente buono. Nella siderurgia, negli ellettrodomestici, nelle automobili, nautica, aeronautica, nel tessile, nelle telecomunicazioni e perfino nella tecnologia informatica avanzata, il Bel Paese ha un ruolo importante, anche a livello internazionale.
O, meglio, l'aveva.
Tra gli anni '90 e i primi 2000 abbiamo avuto in Italia un'ondata di privatizzazioni da far paura (in Germania no, e questo spiega tante cose...). Quest'ondata ha devastato gran parte di questo tessuto produttivo (una su tutte: l'Alitalia, a suo tempo privatizzata, ora è in mano all'Air France).
Con le privatizzazioni alcuni cosidetti "imprenditori" si sono personalmente arricchiti, mandando in rovina l'azienda che lo stato gli aveva praticamente regalato.

Dunque, "grazie" alle privatizzazioni il tessuto produttivo dello Stivale si è fortemente ridimensionato. Certo, rimane assai più robusto di quello greco. Ma c'è un piccolo problema: anche il nostro debito pubblico è molto più robusto di quello ellenico!

Monti dice che l'Italia si sta rimettendo nei giusti binari per far rinascere l'economia. Detto da lui è come sentire il negoziante che decanta i suoi prodotti.
Peccato che tutti i dati dicano il contrario.

L'impoverimento di milioni di italiani (e di milioni di europei) -causato dalle manovre di Berlusconi prima e di Monti ora- rende assolutamente IMPOSSIBILE una (vera) ripresa economica!
Questa, infatti, non potrà certo basarsi sul consumo interno (come accade invece in Cina, dove il governo "ideologico" ha, viceversa, aumentato i salari, mostrando molto più buon senso dei paesi "liberi").
E non potrà nemmeno basarsi sulle esportazioni. Su quest'ultimo terreno, infatti, l'Italia ha perduto quota negli ultimi anni e continua a perderla.
D'altronde a livello internazionale, l'unico modo per essere competitivi è INVESTIRE SULLA RICERCA E INNOVAZIONE. In Italia, viceversa, negli anni scorsi sono stati fatti numerosi tagli in quest'ambito. E Monti non sembra voler cambiare rotta.
La stessa insistenza a voler cancellare l'articolo 18 la dice lunga sul fatto che anche questo governo -come quello precedente- sta puntando soltanto ad abbassare (ulteriormente) il costo del lavoro, per diventare come quei paesi del Terzo Mondo, che attirano investimenti stranieri, grazie ad una forza-lavoro a basso prezzo e senza tutele sindacali.

Ci aspettano anni duri, prepariamoci!
Ha ragione Diliberto, quando ricorda come le misure di tipo "greco", che vennero adottate in Germania durante la crisi economica dei primi anni '30 del secolo scorso, generarono disoccupazione e miseria, spalancando le porte alla vittoria elettorale di Hitler e del nazismo!

venerdì 10 febbraio 2012

Siria, l'Occidente sta preparando l'ennesima guerra!

Premesso che a me il regime siriano -in sè- non mi piace, e per vari motivi, e non ho alcun interesse a difenderlo. E' uno stato molto poco democratico, vi governa un'oligarchia, ed è repressivo.
Ma queste sono caratteristiche che hanno più o meno tutti gli stati mediorientali e la Siria non è certo tra i peggiori. Anzi, è uno dei pochi stati arabi laici (rimasti).

La domanda che mi pongo è perchè la guerra civile sia scoppiata proprio in Siria. Ossia, in un paese dove -rispetto agli standards mediorientali- motivi di malcontento ce ne sono tutto sommato pochi.
Se andiamo a vedere altri stati arabi, difficilmente troviamo condizioni di vita e politiche migliori di quelle siriane. Viceversa, troviamo situazioni molto peggiori: stati ultra-oscurantisti (vedi Arabia Saudita e vari emirati) e ferocemente repressivi e/o paesi dove gran parte della popolazione vive in miseria (tipo l'Egitto).
Non solo: le aperture democratiche di Assad (presidente della Siria) non hanno quasi riscontri in altri paesi arabi.
Perchè proprio in Siria?

La guerra civile siriana ha molto poco a che vedere con le rivolte popolari spontanee egiziane, tunisine, yemenite e del Bahrein. Anzi, a Damasco ci sono state diverse manifestazioni popolari di massa in difesa di Assad (più o meno censurate dalla nostra "informazione").
Le "notizie" che ci arrivano dalla Siria, derivano (tutte) da non meglio precisate "fonti dell'opposizione". Alla faccia del "pluralismo".
Nelle ultime ore, inoltre, è emersa la notizia che tra gli insorti militano soldati del Qatar e addirittura britannici. A conferma di come dietro ciò che sta accadendo in quel paese è frutto di una strategia di conquista USA-NATO-Israele.

Ciò che sta accadendo in Siria non ha nulla di spontaneo, nè di popolare, ma DOVEVA accadere per forza. Perchè? Per il semplice motivo che Damasco è rimasto credo l'unico paese arabo a non accettare la supremazia USA (e occidentale, in genere). E la Siria, pur non avendo il petrolio, è tuttavia un paese chiave nel Medio Oriente: abbattere l'attuale regime siriano porterebbe un rafforzamento strategico degli USA e di Israele nella zona del mondo più ricca di petrolio.

La risoluzione dell'ONU, che chiedeva la cacciata di Assad, è però stata bocciata, grazie al veto della Cina e della Russia.
Prima di dare giudizi sull'operato di questi due paesi, vanno tenuti presenti dei fatti:
primo, tutte le guerre degli ultimi 15 anni (Kossovo, Afghanistan, Iraq, Libia) sono state portate avanti dalla NATO-USA (anche) per indebolire i suoi principali concorrenti, ossia, Mosca e Pechino. I quali finora sono stati zitti e pazienti. Ma, si sa, ogni pazienza ha un limite!
Secondo, la risoluzione 1973 ONU sulla Libia dello scorso anno è stata pesantemente infranta dalla NATO, la quale invece di limitarsi a far rispettare la "no fly zone", come avrebbe dovuto fare, ha bombardato città, acquedotti, ospedali, centrali elettriche, nonchè l'esercito libico (a terra). Cina e Russia possono fidarsi ancora?
Entrambe sanno benissimo che accettare la risoluzione ONU contro la Siria significa dare il via libera all'ennesima guerra di occupazione USA-NATO e alla loro sostanziale colonizzazione del paese arabo, naturalmente dietro falsi pretesti "umanitari" o di "esportazione della democrazia".
Dunque, Cina e Russia hanno fatto benissimo a porre il veto.

Ma il discorso è un po' più complesso. La situazione irachena e quella libica (dove la guerra civile prosegue, anche se nessuno ne parla più) dimostrano che le invasioni militari degli occidentali, lungi dal "portare la democrazia", scatenano tensioni, lotte, attentati terroristici e conflitti di vario genere, laddove i regimi precedenti riuscivano invece a mantenere la situazione relativamente tranquilla.
Ora, la Siria è al centro di tutta una serie di dinamiche interne al mondo arabo-islamico, che qualora scatenate, provocherebbero reazioni conflittuali a catena anche negli altri paesi dalle proporzioni e dagli esiti difficilmente prevedibili, alimentando il terrorismo.
C'è veramente poco da stare tranquilli (anche da noi).

E pensate che per gli USA-Israele, dopo la Siria, l'obiettivo successivo è addirittura l'Iran!!!!
Forse i Maya ci avevano veramente azzeccato...

domenica 5 febbraio 2012

Monti, il posto fisso e l'articolo 18

La recente "battuta" di Monti su quanto sarebbe monotono il lavoro fisso, ricorda vagamente un'altra infelicissima battuta, quella del fu Padoa-Schioppa sui "bamboccioni". Sono "battute" decisamente di cattivo gusto (forse non ai pessimi livelli di quelle di Berlusconi, ma ci si avvicinano).Ma dietro queste "battute" c'è sempre qualcosa di più pesante. Ossia, nel caso di Monti, l'attacco all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.

L'articolo 18, quello sul licenziamento, è stato una grande conquista umana e civile.
Senza entrare troppo nei dettagli, l'articolo 18, contrariamente a quanto molti dicono (disonestamente) NON dice che il lavoratore non può essere mai licenziato per nessun motivo.
Dice semplicemente che dietro un licenziamento deve esserci una giusta causa. Tutto lì.

In Italia molti lavoratori -e purtroppo ce ne sono- che lavorano male, che sono assenteisti, poco diligenti, ecc. (i cosidetti "fannulloni") sono troppo spesso -ahimè- tutelati. Ma non dai sindacati o dall'articolo 18, bensì evidentemente da qualche pezzo grosso.
E' la forte raccomandazione che spinge molti soggetti a curarsi poco o niente di svolgere bene il loro lavoro. Ed è quella, al limite, che andrebbe combattuta, non certo l'articolo 18.

Lo scopo fondamentale dell'articolo 18 è ben altro: ossia, quello di evitare ai lavoratori il ricatto del licenziamento. Infatti, un lavoratore licenziabile è -va da sè- fortemente ricattabile.
Ricattabile soprattutto a livello sindacale.
E' noto come tra i lavoratori con contratti a tempo determinato -e non parliamo di quelli con contratti ancora più precari- gli iscritti al sindacato diminuiscono fortemente.

Ma i ricatti non sono solo sindacali. A molte lavoratrici (non tutelate) viene di fatto proibito di avere dei figli. Pena, ovviamente, il licenziamento.
E non parliamo dei vari ricatti sessuali, per cui chi desidera mantenere il lavoro è costretta a prestazioni sessuali con il "datore di lavoro".

Ma la cancellazione dell'articolo 18, ci viene detto, serve a rilanciare l'economia italiana. NIENTE DI PIU' FALSO!!!
Sono ormai più di vent'anni che vengono erosi diritti e conquiste dei lavoratori, sempre con la scusa che ciò sarebbe necessario per rilanciare l'economia e l'occupazione (l'elenco è lunghissimo, a partire dalla cancellazione della scala mobile, all'introduzione del precariato legalizzato, ecc.).
Risutato? Mai l'economia italiana è andata così male!
Ma poi basta guardare le aziende con meno di 15 dipendenti (dichiarati), ossia, la dove l'articolo 18 non si applica. Sono quelle che vanno peggio! Ne chiude una dopo l'altra!

L'economia italiana si rilancia a suon di investimenti produttivi (qualcuno li ha visti?) e puntando sulla ricerca (altra scomparsa nel Bel Paese), e non certo tagliando (ulteriormente) il costo del lavoro. Cosa che tra l'altro deprime fortemente la domanda, già tremendamente depressa dalle altre misure di questo e del precedente governo.

Per concludere, una domanda: in Grecia non mi risulta che esiste qualcosa come l'articolo 18. Se per "rilanciare l'economia italiana" è necessario cancellarlo, perchè l'economia ellenica allora non va a gonfie vele?