mercoledì 7 dicembre 2016

Aleppo e la nostra informazione-clown


I nostri mass-media non si smentiscono mai.
Negli ultimi giorni la "notizia" più importante riguardante Aleppo -per la nostra "informazione", in coro- è stata la morte sotto i bombardamenti di un clown (notizia che peratro non è chiaro quanto sia attendibile, dato che questo clown sembra che operasse nella parte di Aleppo controllata dai terroristi jihadisti).

Ora, per carità, nessuno nega l'importanza -in un contesto di guerra- del sostegno psicologico per i bambini che può offrire anche un clown.
Il problema è un altro.
Una notizia del genere può essere emotivamente toccante, ma non ci dà alcuna informazione su che cosa stia realmente accadendo nella città siriana. Anzi, questo genere di "notizie" sembra fatto proprio apposta per sfruttare ed eccitare al massimo la nostra sensibilità ed emotività. E però per non darci un minimo di strumenti per comprendere tali eventi, quali sono le responsabilità, quali le dinamiche, quali gli interessi geo-strategici dietro tutto ciò.

I nostri mass-media ci dicono soltanto chi sono i "cattivi", quelli che siamo tenuti a disprezzare, ossia, in questo caso, Assad, l'esercito siriano e i russi.
Non viene, ad esempio, specificato che alcune delle strutture ospedaliere bombardate da questi ultimi erano nel frattempo state trasformate in roccaforti dei jihadisti. Nemmeno si dice che i civili vengono usati dai terroristi tagliagole come scudi umani (come viene invece fatto altrove, tipo a Mosul, dove l'esercito irakeno agisce però, guarda caso, in sintonia con gli USA).

E comunque i nostri mass-media, o perlomeno quelli più importanti e "autorevoli", tacciono sul fatto che nelle ultime settimane i terroristi ("moderati", secondo gli americani) hanno sparato sulla popolazione civile che cercava di scappare dalle zone controllate da loro, uccidendone a centinaia. Tacciono sui bombardamenti dei jihadisti "moderati" nelle zone di Aleppo sotto il controllo governativo e tacciono sull'ospedale da campo per i civili allestito dai russi, anch'esso bombardato dai terroristi e in cui sono morte due infermiere russe.
E tacciono su tantissime altre notizie scomode.

Naturalmente tacciono pure su ciò che sta accadendo in un paese non troppo distante dalla Siria, ossia, nello Yemen, dove la popolazione civile da due anni è sottoposta a numerosi bombardamenti da parte dell'Arabia Saudita, paese tra l'altro teocratico, oscurantista, ultra-repressivo, nonché principale finanziatore del terrorismo "islamico". Ma amico dell'Occidente (Italia compresa), che gli vende armi.

Ma -ed è forse la cosa più grave- c'è una grande notizia sulla quale sembra essere caduto il silenzio-stampa (solo nelle ultime ore la notizia sembra iniziare ad uscire fuori). Ossia, da oltre una settimana l'esercito siriano ha sferrato una potente offensiva per la riconquista e liberazione definitiva della parte di Aleppo in mano ai terroristi.
Tale azione sta avendo un ottimo successo e nel momento in cui scrivo circa l'80% del territorio fino a poco fa in mano agli jihadisti (di varie nazionalità e quasi nessuno siriano) è stato riconquistato e, salvo imprevisti, nei prossimi giorni la liberazione dovrebbe essere totale.
La (ri)conquista di Aleppo dovrebbe segnare tra l'altro una svolta anche psicologica di questo conflitto, che si spera abbia fine al più presto con la definitiva sconfitta del Daesh (ISIS), di Al Qaeda e degli altri gruppi terroristi fondamentalisti.

Ma non è importante -per i nostri mass-media- che noi veniamo a conoscenza di tutto ciò. L'importante è farci intenerire e sdegnare per le sofferenze (quelle vere e quelle inventate) della popolazione civile e dei bambini di Aleppo est. Già di quelli di Aleppo ovest possiamo anche fregarcene altamente (nessuno ne ha mai parlato).

A volte ho l'impressione che anche noi siamo un po' come i bambini di Aleppo e ci nutriamo della nostra "informazione-clown", che ci dà conforto e ci illumina su quanto sono cattivi Assad, i siriani e i russi. Il tutto mentre veniamo bombardati da notizie pre-confezionate, strumentali e menzognere.

giovedì 1 dicembre 2016

Fidel Castro, l'esempio continuerà a vivere


La morte di Fidel Castro ha suscitato, com'era inevitabile, una vasta eco e una fortissima emozione un po' in tutto il mondo.
E' difficile negare, infatti, la statura gigantesca di un simile personaggio, e ciò a prescindere dall'orientamento politico delle persone e dal conseguente giudizio che si possa dare su di lui.
Le reazioni dei soggetti politici nonché dei mass-media sono state eterogenee: dagli entusiasti sostenitori ai più critici, passando per numerose sfumature (del tipo "sì, voleva essere un rivoluzionario, ma poi ha finito per diventare un dittatore", o simili).
In Italia, come nel resto dei paesi euro-atlantici, sono nettamente prevalsi i giudizi critici, anche se per lo più si tratta di critiche sottili, visto il prestigio di cui giustamente gode l'ex leader cubano. Cosa tutto sommato normale e logica, dato che stiamo parlando di paesi capitalistici e -soprattutto dopo l'89- dominati da logiche liberiste, e quindi anti-comuniste per definizione.

La più grande critica rivolta a Castro è anche quella più ovvia, banale e scontata, ossia, che egli è stato un dittatore e che ha governato Cuba in modo dispotico, repressivo e negando la libertà ai suoi cittadini.
A riprova di ciò si tirano in ballo le decine di migliaia di cubani, i quali, in questi decenni, sono scappati dall'isola, per approdare negli Stati Uniti.
Per il resto, le critiche vertono sulle condizioni di povertà e sulle carenze sia di prodotti, sia tecnologiche che ci sono sull'isola caraibica.


Sul sistema politico cubano -che da noi viene superficialmente liquidato come "dittatura"- va innanzitutto detto che tutti gli incarichi istituzionali sono soggetti ad elezioni ogni due anni e mezzo (e possono essere nel frattempo revocati). I candidati sono, di norma, cittadini non iscritti al Partito Comunista.
Qualcuno ora storcerà il naso, per il fatto che lì esiste solo quel partito. Su questo andrebbero spese due parole.
Intanto andrebbe indagato quanto il "pluripartitismo" dei paesi occidentali sia davvero più democratico, considerando che in numerosi paesi -USA in primis- sulle politiche di fondo (liberismo, guerra) i partiti dell'alternanza sono, di fatto, indistinguibili tra di loro, e che per vincere una campagna elettorale e andare a governare occorrono moltissimi soldi, e dunque chi vince o è straricco di suo, oppure è costretto ad essere finanziato (e quindi manovrato) dalle grandi lobbies.
Che poi in un paese come Cuba ci sia un certo controllo -ma molto meno di quanto si vuole far credere in Occidente- è anche logico, se consideriamo che Cuba, da quando c'è stata la rivoluzione, è un paese sotto assedio, ed è stato oggetto di numerosi attacchi e sabotaggi di vario tipo. Non si contano, ad esempio, i tentativi della CIA di far fuori lo stesso Fidel Castro. Tutti falliti (ci sarebbe tra l'altro da chiedersi come mai gli USA hanno, invece, sempre mantenuto ottimi rapporti con tutte le altre dittature sudamericane, anche quelle più feroci e sanguinarie).
Se nell'isola ci fossero più partiti, sarebbe un gioco da ragazzi, per i ricchissimi USA, finanziare a suon di miliardi uno di questi, ovviamente quello più anti-castrista e magari pure infiltrato di elementi della CIA (ciò è effettivamente accaduto in Nicaragua e da altre parti), e far sì che questo partito prevalga. Il neo-colonialismo oggi funziona così.

Sui cubani che fuggono dal loro paese c'è un fatto curioso. Non mi risulta che nemmeno uno di loro sia mai scappato dall'isola per approdare in paesi "liberi" o "democratici" quali ad esempio il Messico, o il Guatemala, o Haiti (quest'ultima si trova anche assai più vicina a Cuba che non la Florida). Magari per andare a vivere in una squallida baraccopoli locale, tra miseria e criminalità. Ma d'altronde se uno cerca soltanto "la libertà", ed è coerente, dovrebbe accettare anche questo.
Viceversa, i cubani fuggitivi vanno tutti nella ricca Florida. Ossia, negli USA, dove, a differenza degli altri latinos, sono ben accolti e aiutati economicamente, per ovvi motivi politici.
Questi cubani (tra cui non pochi criminali e mafiosi) si comportano esattamente come fanno tutti gli altri popoli latino-americani (e africani e asiatici), ossia, fuggono attratti dal denaro e dal benessere occidentale. La libertà è l'ultimissima cosa che cercano.

Sul discorso della povertà e delle carenze tecnologiche, c'è da ricordare -e da sottolineare- che Cuba risente quantomeno di due potenti fattori.
Il primo riguarda un po' tutti i paesi latino-americani (e non solo), ossia l'essere stato per secoli un paese colonizzato e sfruttato, prima dagli spagnoli e poi dagli statunitensi.
Il secondo, e forse ben più grave, è il brutale e assurdo blocco economico che gli yankees hanno loro imposto unilateralmente e che dura da oltre 50 anni . Tale embargo purtroppo, ha nuociuto tantissimo allo sviluppo di Cuba sotto tanti aspetti (tecnologico, scientifico, medico, ecc). La stessa iconografia di Cuba, dove si vedono ancora in giro le automobili degli anni '50, è emblematica di tale assurda misura.

Ciò che dovrebbe veramente sorprendere di un paese come Cuba non è la relativa povertà del luogo, ma, viceversa, il fatto che in condizioni così tremendamente difficili, siano riusciti ad ottenere numerose conquiste, sociali, economiche, scientifiche e mediche.
Stiamo parlando dell'unico paese dell'America Latina dove non esistono baraccopoli, quindi dove tutti i cittadini hanno una casa, dove tutti i bambini vanno a scuola (invece di girare per le strade, dove imperversano bande di criminali, droga e prostituzione), dove l'assistenza sanitaria è garantita a tutti ed è pure di ottimo livello (Cuba esporta medici in varie parti del mondo, specie là dove ci sono state calamità naturali). E dove la fame non esiste.

La grandezza di un personaggio come Fidel Castro si vede da tutte queste cose.
Nel periodo 89-91, in cui venne meno il socialismo reale, nonché la principale fonte di scambi economici e di aiuti per Cuba (ossia, l'URSS), tutti pensavano che anche il socialismo cubano avrebbe finito presto per cedere alla vittoria del capitalismo. In tantissimi l'hanno sperato.
Contro ogni previsione, invece, e nonostante innumerevoli difficoltà, la Rivoluzione Cubana ha resistito.
Una scelta non solo in forte controtendenza, ma anche estremamente coraggiosa. Grazie alla quale Cuba non è ritornata ad essere il bordello degli USA (com'era prima del 1959, anno del successo della rivoluzione) e il popolo cubano ha mantenuto una dignità e una coscienza, purtroppo sconosciute a tanti altri popoli (italiano compreso).

Fidel Castro è stato un gigante. Un vero e proprio esempio per milioni e milioni, forse miliardi di persone oggi umiliate, povere e sottomesse.
Una dimostrazione che anche in condizioni difficili lottare contro il potere, contro il capitalismo, contro una superpotenza prepotente come gli USA è possibile.

Ecco perché da noi in occidente si cerca, anche molto sottilmente, di screditarlo.

venerdì 11 novembre 2016

Il prevedibile successo di Trump


Il trionfo di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti non mi sorprende più di tanto.
Per la verità davo per più probabile la vittoria della Clinton, più che altro perché era palesemente sostenuta dai cosiddetti “poteri forti”, ossia, dalla grande finanza, dalle grandi lobbies americane.
Tuttavia il successo di Trump giunge tutt’altro che inaspettato. Anzi, a ben vedere era prevedibilissimo.

Tale successo rappresenta un fenomeno pienamente in linea con una tendenza che possiamo ben notare anche in Europa, ossia, la crescita continua –negli ultimi decenni e soprattutto negli ultimi anni- delle forze politiche di estrema destra, populiste e xenofobe. Ciò sta accadendo in paesi come la Francia, la Gran Bretagna, l’Austria, l’Ungheria e perfino nei paesi nordici. E le prime avvisaglie ci sono pure in Germania.
Le uniche eccezioni sembrano essere la Spagna, la Grecia e il Portogallo, forse, non a caso, paesi che hanno avuto delle dittature di destra anche in anni relativamente recenti.

In Italia tale tendenza ha assunto forme particolari, ma si era già presentata negli anni ’90, con l’affermazione di una forza come Alleanza Nazionale e soprattutto della Lega Nord.
Negli anni più recenti –complice anche l’esperienza governativa deludente di queste due formazioni- tale tendenza ha assunto soprattutto la forma qualunquista del M5S.

Ma come mai accade tutto ciò?
Stiamo iniziando, secondo me, a raccogliere i frutti della grande ondata di restaurazione capitalistica di stampo liberista, iniziata già negli anni ’80, con Reagan e la Thatcher ed “esplosa” negli anni novanta, dopo il crollo del Muro di Berlino e del Patto di Varsavia.
Tale restaurazione, come sappiamo, ha comportato privatizzazioni e un graduale, ma sistematico smantellamento dei servizi sociali e soprattutto del salario e dei diritti dei lavoratori.

Oggi il lavoro precario e sottopagato nei paesi europei sta diventando sempre più la norma.
A ciò s’è aggiunta, in questi decenni, un’ondata immigratoria biblica e senza precedenti, almeno per quanto riguarda le dimensioni. Fenomeno che purtroppo viene utilizzato dagli imprenditori per abbassare ulteriormente il costo del lavoro generale.
Non mi soffermo troppo sull’argomento immigrazione, anche se andrebbe tenuto bene a mente che le responsabilità principali di tale fenomeno ricadono proprio sui paesi ricchi e benestanti, non solo e non tanto per le guerre che provocano nei paesi poveri –il dato più visibile- ma anche e soprattutto per il massiccio sfruttamento economico a cui sottopongono questi paesi, impedendo così il loro sviluppo economico, politico, culturale, tecnologico, medico, ecc.

Ma se le società occidentali hanno tutto sommato retto, finché l’economia continuava ad andare discretamente bene, ora le cose sono molto cambiate.
La crisi economica esplosa a partire dal 2007-08 sta mandando in rovina buona parte delle attività economiche europee e americane. Imprese che chiudono, negozi che falliscono e soprattutto aumento massiccio della disoccupazione, alimentata anche dalle delocalizzazioni.
E il problema maggiore sta nel fatto che le risposte istituzionali alla crisi si muovono tutte nella cornice delle politiche liberiste, ossia precisamente quelle misure che hanno prodotto tale crisi (dato che hanno in sostanza ripristinato un capitalismo di tipo classico).

E dunque il malcontento di vasti settori cresce. E non si tratta soltanto di un malcontento proletario, bensì anche di settori piccolo-medio borghesi.
Ed è una sofferenza che prima o poi doveva esprimersi e si sta infatti esprimendo.
Ma perché si esprime proprio in queste forme?
Semplice: perché oggi come oggi in Europa e negli USA praticamente non ne esistono delle altre.

Ossia, in questi decenni il processo di annientamento delle forze di sinistra o comuniste che effettivamente rappresentavano gli interessi dei ceti popolari, dei lavoratori, è andato avanti così a fondo, che queste forze sono ormai quasi scomparse, deboli, e non di rado confuse con la “sinistra” vincente, ossia quella che rappresenta il grande capitale finanziario, le multinazionali, le banche e i settori guerrafondai della NATO.
Negli Stati Uniti ciò era accaduto già da tempo, mentre in Italia è roba degli ultimi 30 anni. In altri paesi europei forse tale processo non è andato così a fondo, ma comunque le sinistre che difendono i ceti popolari sono deboli un po’ dappertutto.
Tira e tira, prima o poi la corda si spezza. E se non può spezzarsi a sinistra, si deve per forza spezzare a destra.

Il discorso per la verità sarebbe più profondo. E’ un dato di fatto, ad esempio, che nei paesi occidentali la forma, i modi di espressione del malumore sociale vengono oggi -a causa, appunto, di tale fenomeno- lasciati in mano ai settori borghesi critici (ossia, a quella parte della borghesia che viene danneggiata dalla cosiddetta “globalizzazione”, o, ad esempio, dall’euro). Con i ceti popolari che gli vanno appresso (anche se, a dire il vero, il malumore popolare si esprime forse ancor più nell'astensionismo).
Il caso di Trump, imprenditore miliardario, è emblematico.
Ciò lascia pensare che i ceti proletari in questa fase non hanno la capacità di essere protagonisti di un ciclo di lotte -come è stato nei decenni del dopoguerra- e si affidano a settori borghesi “critici” e tendenzialmente di destra, per sperare nella loro emancipazione.
Ovviamente solo sperare, perché non saranno dei miliardari a risolvere i problemi dei ceti popolari (discorso da tenere a mente anche in Italia).

Sono tempi bui e difficilissimi, certo.
La fase di decadenza –a livello mondiale- del mondo occidentale sta evidentemente spostando verso altri continenti le dinamiche di sviluppo e di progresso.

Tuttavia, anche in una fase come questa occorre non stare fermi e passivi, ma rilanciare un'attività e una cultura di sinistra SERIA, ossia, quella che si occupa principalmente di difendere i ceti proletari, i lavoratori e tutti gli strati più disagiati della popolazione.

lunedì 3 ottobre 2016

Aleppo, emergenza umanitaria e mass-media


Da quando è iniziata la recente offensiva russo-siriana per riprendere Aleppo est, ossia, quella parte della città da anni in mano alle bande estremiste islamiche, siamo stati anche noi in qualche modo "bombardati" di notizie e di immagini relative alle sofferenze che tale attacco creerebbe alla popolazione civile e ai bambini.
Sono immagini e racconti strazianti indubbiamente. La guerra e' una cosa veramente orribile, come è noto.
Tutta questa improvvisa sensibilità dei nostri mass-media verso il dramma che si vive la popolazione civile sarebbe lodevole e quasi commovente, se non fosse, però, anche così ipocrita , fuorviante e soprattutto strumentale.

Intanto perché, per limitarci solo agli ultimi 20 anni, gli USA e la NATO hanno bombardato decine e decine di città (l'elenco è sterminato, da Belgrado a Baghdad, a Kabul, Fallujah, Mossul, Tripoli, Sirte, Bassora e parecchie altre ancora), senza che i TG e i quotidiani nostrani si siano mai preoccupati di indagare le ripercussioni di tali azioni sulla popolazione civile.
Lo fanno solo ora, che ad attaccare sono i siriani e i russi.

Non solo: da oltre un anno lo Yemen, e soprattutto la sua capitale Sana'a, sono sottoposti a continui bombardamenti da parte dell'aviazione saudita.
Ma quanti di voi sono al corrente non dico delle condizioni della popolazione civile locale, ma del fatto stesso che nello Yemen sia in corso una guerra, o meglio, un'aggressione da parte dell'Arabia Saudita (a cui l'Italia peraltro vende numerose armi)?

E ancora: la popolazione civile di Aleppo è sottoposta a bombardamenti, sparatorie e a violenze e sofferenze di ogni tipo, già da almeno 4 anni. Ossia, da quando i terroristi fondamentalisti di Al Nusra (Al Qaeda) hanno occupato i quartieri orientali della città, seminando odio, distruzioni, intolleranza. Il tutto con la benedizione -e soprattutto i finanziamenti e le armi- dell'Occidente (USA e Francia in primis) e dei suoi alleati (Arabia Saudita, Turchia, Qatar), i quali non hanno esitato a qualificare questi tagliagole come "combattenti per la libertà".
E infatti, sembra che la maggior parte della popolazione civile di Aleppo est stia, invece, accogliendo l'esercito siriano come dei liberatori. Sebbene i nostri TG e quotidiani tacciano tutto ciò.

Tra l'altro, dal momento che ad essere sotto accusa, da parte dei nostri mass-media, è il governo siriano (e ovviamente anche la Russia), andrebbe ricordato che cos'era Aleppo prima dell'inizio del conflitto: una città molto tranquilla, economicamente prospera, dove le diverse confessioni religiose (in Siria c'è una nutrita componente cristiana) convivevano pacificamente.
Il tutto in un paese autoritario, certo, ma assai meno della maggior parte dei paesi del Medio Oriente, e che stava per effettuare aperture in senso democratico.
E poi parliamo di un "regime" fortemente laico, uno dei pochi rimasti tali nel mondo arabo, soprattutto dopo che negli anni scorsi la NATO ha fatto fuori Saddam Hussein e Gheddafi.

Ma ritorniamo alla "notizia" sulle sofferenze della popolazione civile.
Contrariamente a quanto qualcuno potrebbe credere, l'informazione che calca la mano sui drammi umani relativi alla guerra (con tanto di immagini raccapriccianti), lungi dal dimostrare "sensibilità" nei loro confronti, risponde, invece, ad una precisa tecnica comunicativa. Quella -oggi così di moda- di suscitare forti reazioni emotive nell'utente.
L'indignazione e la rabbia suscitate da queste reazioni emotive vengono poi abilmente -a volte anche molto sottilmente- dirottate verso nemici di comodo, i "cattivi" di turno.

Non è un caso, infatti, che l'indignazione per le sofferenze della popoloazione civile di Aleppo est esca fuori proprio adesso. Ossia, proprio ora che la Siria -con il determinante supporto della Russia- sta legittimamente riprendendosi i quartieri della città, strappati a suo tempo dai tagliagole fondamentalisti.

E mandando, così, a monte i piani di USA e di Israele di destabilizzazione della Siria (e del Medio Oriente in genere), sul quale stanno lavorando da anni, utilizzando le varie sigle terroriste e fondamentaliste (Daesh, ossia Isis, Al Nusra e altre ancora).

lunedì 12 settembre 2016

Giunta Raggi, le difficoltà hanno diverse cause


Oggi potrebbe sembrare fin troppo facile "sparare sulla croce rossa", attaccando la neo-sindaca di Roma, Virginia Raggi e la sua giunta "raffazzonata". Ma a me, più che gettare benzina sul fuoco, interessa fare -e invitare a fare- dei ragionamenti di fondo.

I pentastellati da una parte hanno ragione quando affermano che è in atto una campagna mediatica di giornali e TG contro di loro (anche e soprattutto in vista del referendum costituzionale).
Peccato che moltissimi sostenitori di Grillo scoprano soltanto ora la faziosità dei mass-media e la strumentalità delle loro campagne diffamatorie. Mi auguro, comunque, che essi facciano tesoro di questa "scoperta" e se ne ricordino anche in futuro, quando ad essere prese di mira saranno pure le altre forze politiche, italiane o anche paesi esteri (vedi ad es. Libia, Iraq, Russia, ecc.).

Ritorniamo ai problemi della Giunta Raggi.
Mesi fa, prima delle elezioni comunali romane, avevo previsto 2 o 3 possibili scenari, nel caso che avesse vinto il M5S. La realtà, devo dire, mi ha sorpreso e ha prodotto un quarto scenario, da me non previsto (e credo da pochi).
Ossia, che la crisi e il rimpasto della giunta sarebbero arrivati a soli tre mesi dall'insediamento di questa, e già sulle nomine degli incarichi istituzionali e di responsabilità.
Non entro nel merito delle vicende relative a Ranieri, Minenna, Muraro, Marra, ecc., di tutto ciò si è già abbondantemente parlato, e non sono interessato all'aspetto cronachistico, bensì semmai alle questioni di fondo, che di solito passano inosservate ai più.

Sui limiti del M5S ho già trattato altro volte sul mio blog, per cui mi limito a qualche breve accenno molto sintetico.
Se il punto forza del "movimento" sta di sicuro nelle sue capacità comunicative -indubbiamente eccezionali- per il resto tale forza politica lascia parecchio a desiderare e sembra essere un classico fenomeno di opinione, quasi una moda.
In modo particolare, la mancanza -anzi, il rifiuto- di una visione complessiva e coerente della società e della politica, se permette al M5S di acquisire consensi di massa di ogni tipo e colore politico, genera, tuttavia, alla lunga un'enorme confusione, aggravata dalle modalità selettive dei loro candidati elettorali. Non è un caso che un'elevata percentuale di eletti pentastellati finiscano poi per "litigare" con Grillo, e non di rado vengano cacciati via.
Anche perché un conto è la politica "urlata" (di solito, poi, diretta contro personaggi secondari, anche se noti al grande pubblico) e un altro è quella istituzionale, fatta di mediazioni fra interessi, fatta di "poteri forti", di pressioni -perfino di minacce- e dove si devono gestire centinaia di milioni, se non miliardi (per cui, l'auto-ridursi lo stipendio, sebbene appaia una misura da apprezzare, incide in realtà sui bilanci in modo del tutto trascurabile).
Tra l'altro, termini come "onestà", che pure fanno presa su un elettorato politicamente ingenuo, finiscono per occultare la realtà di un un paese capitalistico e membro della NATO, come l'Italia, dove la politica è, di fatto, completamente subordinata agli interessi di soggetti potentissimi -italiani e stranieri- quali le multinazionali, le banche, la BCE, gli USA. Quei pochi che hanno provato, in passato, ad opporsi, hanno fatto una brutta fine (Enrico Mattei, Aldo Moro, ecc.).

Di nuovo, ritornando sulla Giunta Raggi, secondo me occorre fare una riflessione su almeno tre questioni.

La prima riguarda il Comune di Roma.
La carica di sindaco capitolino è diventata in questi ultimi anni una vera e propria "patata bollente" (Marino ne sa qualcosa). Vuoi perchè lo Stato ha fortemente decurtato i finanziamenti agli Enti Locali, vuoi per la questione del debito (composto in gran parte dagli interessi sul debito precedente, ma, si sa, il lucro delle banche è "sacro", mentre Roma e i suoi abitanti contano molto meno), vuoi per gli enormi problemi accumulati che si porta dietro questa città, i quali, certo, in questo clima da "spending review" non solo diventano del tutto irrisolvibili, ma si rivela un'impresa ardua anche solo provare a metterci una toppa. Per non parlare di "Mafiacapitale".
Insomma, diventare oggi sindaco di Roma significa, con una probabilità quasi certa, bruciarsi.

La seconda questione riguarda il sempre più continuo e massiccio intervento -negli assetti politici- della magistratura, nonché dei mass-media e delle loro campagne diffamatorie. Quando poi il lavoro della magistratura si associa a quello dei giornali e dei TG -il che non avviene sempre, ma avviene- ecco che un personaggio o un governo o una giunta, eletti dai cittadini, finiscono per decadere (o vengono fortemente condizionati/ricattati).
Da notare che quando si parla di magistratura, si parla di esseri umani corruttibili (e spesso corrotti o comunque condizionati), e che in passato in Italia hanno mandato assolti terroristi stragisti, hanno depistato le indagini (o le hanno ignorate), ecc. Insomma, detto fra noi, Falcone e Borsellino sono stati più un'eccezione che non la regola.

C'è poi una terza questione, quella relativa al consenso di massa che ha oggi il M5S. Un consenso derivante da malumori, sofferenze, delusioni, spaesamento, rabbia, ma anche speranza e volontà di cambiamento.
Il consenso ai pentastellati è per la verità assai eterogeneo a livello sociale. Ci sono settori di piccola, media e perfino di grande borghesia che appoggiano Grillo, a causa dei grossi problemi derivanti da una parte dalla crisi economica e, dall'altra, dalle politiche dell'Unione Europea -e soprattutto dell'area-Euro- che sta portando a fallimenti e chiusure di aziende, negozi e altre attività. Ma questi settori mi interessano fino ad un certo punto.

Molto più significativo, a mio avviso, è il massiccio consenso popolare di cui gode attualmente il M5S. E che soprattutto a Roma risulta molto evidente (i voti alla Raggi provengono soprattutto dai quartieri periferici e popolari).
Sulle sofferenze dei ceti proletari c'è poco da scoprire. La crisi economica e le politiche liberiste stanno letteralmente massacrando in modo particolare i lavoratori. Il lavoro è sempre più precario e sottopagato, le pensioni stanno per diventare un miraggio per le giovani generazioni, i servizi sociali sono sempre più scarsi e soggetti a tagli, accendere un mutuo sta diventando un'utopia, e così via.

Una grossa fetta di questo malcontento si è rivolta, negli scorsi anni, al "movimento" di Grillo (e Casaleggio), convinta di trovarsi davanti finalmente una forza politica veramente nuova e diversa dalle altre e che avrebbe mandato a casa ladri e corrotti.
Solo che ci stiamo sempre più accorgendo che le cose non sono così semplici, E, proprio per questo, i pentastellati riescono a dare il meglio di sé soltanto quando sono all'opposizione e devono criticare gli altri. Quando sono loro a governare, il discorso cambia aspetto.
D'altronde un grosso errore che commettono è quello di additare come responsabili dei problemi dell'Italia soprattutto i soliti politici "ladri e disonesti".
E questo è falso.
Ruberie e corruzioni esistevano anche durante gli anni '60, in pieno boom economico, nonché nei decenni successivi, quando pure c'era un relativo benessere diffuso anche tra i ceti popolari.
Non solo, l'Italia soffre (ed è indebitata) anche a causa di una piaga enorme, cioè la gigantesca evasione fiscale dei ricchi, sulla quale, curiosamente, il M5S è sempre stato silente.

In realtà la causa principale dei problemi economico-sociali dell'Italia, debito pubblico compreso, risiede nelle politiche liberiste, attuate massicciamente nei decenni scorsi (e, in ultima analisi, nel capitalismo).
Dunque, tutto il malcontento popolare -che sfoci nel M5S o nell'astesionismo o in altre forze politiche, poco cambia- è ampiamente comprensibile e legittimo.
Ma affinchè esso possa tradursi anche in un'azione politica efficace, deve prima prendere coscienza che il problema sta soprattutto nelle politiche liberiste che ci impone l'Europa (e la Confindustria).
E anche, per la verità, nelle politiche guerrafondaie della NATO, per le quali l'Italia spende quotidianamente cifre veramente astronomiche (anche se nessuno ne parla).

Se il PD sostiene nettamente tali politiche (liberiste e guerrafondaie), tuttavia nè la Lega di Salvini, nè il M5S, nonostante i loro proclami "rivoluzionari", esprimono in realtà, su queste, una posizione chiara e definita, e preferiscono non sbilanciarsi.

Chissà, forse le loro componenti borghesi non accetterebbero una loro contrarietà.

giovedì 30 giugno 2016

Brexit, non è solo populismo e xenofobia.

L’esito del referendum tenutosi in Gran Bretagna e la vittoria del cosiddetto “brexit” è stato un evento di portata storica, che apre una fase nuova.
Il forte impatto di quest’evento ha prodotto –a caldo- una sfilza di reazioni e commenti, la maggior parte dei quali di una superficialità quasi scandalosa (se teniamo presente che provengono anche da persone considerate esperte, se non “illuminate”). Al punto che tentare di dare una lettura dell’evento un po’ più approfondita -cosa già di per sé ardua- e soprattutto socializzarla al pubblico, appare quasi un’impresa.

Il primo dato che emerge in modo netto dalla vicenda è che più o meno tutti i principali quotidiani e tg italiani ed europei hanno tuonato contro il brexit. E teniamo presente che questi tg e quotidiani sono fortemente legati agli ambienti del grande capitale finanziario (multinazionali, grandi banche, ecc.).
E’ evidente, quindi, che i “poteri forti” europei erano ferocemente contrari all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
E dunque, la denigrazione nei confronti di quelli che hanno votato a favore del brexit –bollati indistintamente come ignoranti, populisti, razzisti e xenofobi e persino facendo leva sulla loro (presunta) età anagrafica elevata- è una logica conseguenza. D’altronde è il loro mestiere, quello di criminalizzare chiunque si opponga agli interessi dell’elite economico-politica.
Un po’ meno normale è il fatto che gran parte della sinistra e dei comunisti abbocchino in massa a questi stereotipi giornalistici.

Intendiamoci, non si può negare che nel voto “brexit” esista anche questa componente nazionalista e xenofoba. Purtroppo c’è, ed è tutt’altro che marginale.
Ma da qui a bollare tutti i votanti del brexit come razzisti e fascisti, ce ne corre.
Anche perché è un fatto che numerosi esponenti politici e sindacali di sinistra hanno svolto la loro campagna referendaria a favore del brexit (gli stessi problemi che sono emersi all’interno del Partito Laburista sono indice di una scarsa convinzione a battersi per il “remain”, ossia, per la permanenza nella UE).

E in ogni caso, emerge, da alcune analisi geografiche del voto, come l’opzione brexit sia stata particolarmente elevata nelle zone industriali e soprattutto ex-industriali. Quindi sono prevalentemente operai e ancor di più ex operai –a prescindere ora dalle loro idee politiche- ad aver votato per l’uscita dall’UE.
Il fatto poi, che i ceti popolari spesso sofferenti, i lavoratori –soprattutto precari- i disoccupati, i pensionati poveri, insomma, gli strati più deboli della società, tendano negli ultimi decenni a seguire più facilmente forze politiche populiste e xenofobe, piuttosto che quelle progressiste, di sinistra o comuniste, è un dato che dovrebbe farci molto riflettere.
Ma questo sarebbe un discorso un po’ troppo lungo da affrontare ora qui.


Ritornando al referendum e al suo risultato, ho la forte impressione che l’insistere dei nostri mass-media sullo stereotipo del votante brexit come ignorante, razzista, ecc., serva a nascondere non solo e non tanto la componente più, diciamo così, “progressista” di questa opzione, quanto un’altra componente, di cui finora praticamente nessuno ha parlato.
Ossia, quella di una parte evidentemente significativa del capitale finanziario britannico.
Ora, è noto come il Regno Unito abbia, da secoli, fortissime relazioni economiche con numerosi paesi a livello mondiale, soprattutto con le sue ex colonie (basti pensare al Commonwealth), per cui non è difficile immaginare che per importanti settori economico-finanziari anglosassoni l’allentamento dei rapporti con l’UE non crea grossi problemi e forse, anzi, è addirittura conveniente.
Inoltre la Gran Bretagna negli ultimi tempi ha dato chiari segnali di interessamento ad approfondire le sue relazioni economiche con la Cina.
Non solo: il Presidente degli USA, Barack Obama, ha esplicitamente preso posizione contro l’uscita di Londra dall’UE e ora, da alcuni commenti, sembra che il brexit crei qualche ostacolo in più alla realizzazione del TTIP.

Qui siamo, certo, nel campo delle congetture, ma la sensazione che una parte consistente del potere economico-politico inglese abbia tacitamente appoggiato il brexit, c’è.
Potrebbe anche darsi –rimanendo sempre nel campo delle ipotesi- che la GB abbia ora interesse a sganciarsi dal suo ruolo storico di “quinta colonna” USA in Europa.

Fatto sta, che il referendum è stato indetto, e lo ha fatto lo stesso Primo Ministro britannico, David Cameron. Non si è trattato, quindi, di una consultazione richiesta ad esempio da Farage o da qualche altro settore politico, bensì una precisa scelta del governo inglese, che sapeva benissimo di correre il serio rischio che avrebbe vinto il brexit.
Per fare un paragone, nel referendum indetto -proprio un anno fa- in Grecia da parte del Governo Tsipras, l’ipotesi di uscire dalla UE non era nemmeno presa in considerazione, e tantomeno quella di uscire anche solo dall’Euro. In questione c’era solo l’accettazione o meno del programma di massacro sociale che la BCE stava imponendo agli ellenici (e alla fine la BCE ha imposto un programma ancora peggiore, in totale disprezzo del popolo greco e di come s’era pronunciato, dimostrando chiaramente che in Grecia, come negli altri paesi europei, comandano loro).


Dunque, se il governo britannico ha ritenuto di dover andare ad un simile referendum, in cui il successo del brexit era ampiamente prevedibile (anche se “qualcuno” ha maldestramente tentato, senza successo, di spostare l’ago della bilancia verso il “remain”, assassinando Jo Cox), vuol dire che la volontà di uscire dalla UE non era solo quella dei “razzisti, populisti, xenofobi”, bensì anche di altri settori, assai meno “ignoranti” e molto più coscienti dei loro interessi economici.

domenica 20 marzo 2016

Elezioni comunali romane, se tutto va bene, siamo rovinati

Mai come in queste prossime elezioni comunali, a Roma, sembra esserci una gara, fra tutte le forze politiche, per NON vincere. Il che è francamente molto inquietante.
Infatti anche da ciò, si capisce come il prossimo sindaco della capitale sarà più o meno obbligato a fare delle politiche impopolari. E naturalmente nessuno vuole metterci la faccia.
Il Comune di Roma tra l'altro ha un enorme debito pubblico (...).

Sennonché se fossimo governati da istituzioni serie, queste si preoccuperebbero di andare ad indagare come s'è creato questo debito pubblico e quali siano i veri sprechi da tagliare (magari anche iniziando a contrastare la ciclopica evasione fiscale).
Solo che le nostre istituzioni, a partire dall'Unione Europea e soprattutto dalla BCE -che si è rivelata essere la vera sovrana dei paesi dell'Unione- di serio hanno ben poco. A loro interessa solo tagliare, tagliare e ancora tagliare (servizi, lavoro, stipendi, pensioni, ecc.) e privatizzare (altri licenziamenti e aumento delle tariffe per i servizi).

Ritornando alla campagna elettorale di Roma, non è un caso che mai come questa volta spicca l'assenza di qualunque candidato che possa suscitare grossi entusiasmi tra gli elettori dell'Urbe.
Non mi dilungo sui candidati oggi in campo, ossia i vari Giachetti, Bertolaso, Marino (?), Fassina, la Meloni, Marchini, ecc., se non per far notare come nessuno di questi sembra riscuotere consensi vasti, ma solo simpatie in ambiti relativamente ristretti.

La frase detta da Paola Taverna del M5S, “a Roma c'è un complotto per farci vincere”, al di là di come la si voglia interpretare, riflette a mio avviso molto bene l'atteggiamento di tutte le principali forze politiche, le quali evidentemente non vogliono vincere, preferendo lasciare la “patata bollente” agli altri.
Il discorso vale anche per lo stesso M5S, che invece di candidare un “pezzo da novanta”, come Alessandro Di Battista, o al limite la stessa Taverna, punta invece sull'anonima Virginia Raggi. La quale rischia così di diventare -chissà se ci pensa- un capro espiatorio.

Fatte queste premesse, quali saranno i possibili futuri scenari per il Comune di Roma?
Concentrerò il mio discorso su quella che sembra oggi l'ipotesi decisamente più verosimile, ossia, la vittoria del M5S.
In questo caso vedo tre possibili scenari. Anche se il primo mi sembra assai poco probabile.

Ossia, la Raggi, una volta sindaco, deciderà di fare la “grillina” seria e coerente e, senza guardare in faccia a nessuno, tenterà di colpire gli interessi e il malaffare dei poteri forti romani (palazzinari, banche, Vaticano, ecc).
Naturalmente questi poteri reagiranno in modo virulento, montando campagne-stampa contro di lei e facendole numerose pressioni di vario tipo (minacce incluse, e non sarebbe la prima volta). Per cui alla fine sarà costretta ad andarsene via. O ad adeguarsi all’andazzo solito.
Nel primo caso, avrà combinato poco, ma almeno “salverà la faccia” sua e forse del M5S. Nel secondo caso, la perderà.
Ma questo scenario mi sembra assai poco probabile, anche se non del tutto da escludere.

Un altro scenario -questo molto più probabile- è che la Raggi si metterà d'accordo con i poteri forti romani (o forse lo farà Casaleggio per lei, naturalmente lontano dai riflettori) per cui non andrà a toccare i loro interessi, concentrando invece il suo attacco su altre realtà: dalle cooperative agli asili-nido, alle partecipate, a numerose associazioni o enti di pubblica utilità. I risultati saranno: tagli ai servizi (scolastici, per i diversabili, ecc.), privatizzazioni, attacchi ai lavoratori “privilegiati”, licenziamenti (Grillo l’ha già anticipato).

Di fronte, poi, alle prevedibili proteste e mobilitazioni dei lavoratori e dei diversi sindacati, non faccio fatica ad immaginare le reazioni dei pentastellati, i quali inizieranno a tuonare contro la casta dei sindacalisti e contro i lavoratori “fannulloni” e “privilegiati”.
Ma queste invettive non salveranno, secondo me, il M5S dalla figuraccia di essere quella forza politica che prima predica contro i ladri, i corrotti, le banche, i politici, ecc. e poi finisce per attaccare i lavoratori e i servizi rivolti ai ceti popolari e ai soggetti più disagiati della società.
E Roma non è Parma, Livorno o Gela. Roma ha un’enorme visibilità sul piano nazionale.

Il terzo scenario è quello in cui il neo sindaco pentastellato riterrà opportuno evitare troppi scossoni e malcontenti, e si metterà d’accordo non solo con i poteri forti, ma anche con i vari settori di cui prima, limitandosi a gestire il comune senza infierire più di tanto sulle realtà esistenti, apportando magari solo cambiamenti di portata minore, e mantenendo così un profilo “conservatore”.

In questo caso, però, sarà abbastanza prevedibile prima o poi una presa di distanza da parte dei vertici del M5S nei confronti della Raggi, se non proprio la sua espulsione.
E, anche in questo caso, la figuraccia del M5S è assicurata. Non solo sarebbe, infatti, l’ennesima figura eletta col movimento di Grillo ad essere poi messa in discussione –se non cacciata via- ma ciò accadrà pure in una città cruciale come Roma.
Senza contare, poi, il fatto che i cosiddetti “poteri forti” non sarebbero comunque soddisfatti. Loro non vogliono una giunta “conservatrice”, bensì un sindaco che taglia i servizi, che licenzia e privatizza!

In realtà, però, non c’è una netta linea di separazione tra il secondo e il terzo scenario, per cui è anche possibile, che lo scenario reale sarà un po’ una via di mezzo tra il secondo e il terzo.
L’unica cosa che quasi sicuramente accadrà è che, qualora dovesse vincere, Virginia Raggi farà quello che fanno tanti altri politicanti dei vari partiti “ladri e corrotti”. Ossia, inizierà il suo mandato mettendo le mani avanti e denunciando l’enorme debito pubblico della capitale, sul quale il M5S non avrebbe alcuna responsabilità, e che limiterebbe di fatto le sue possibilità d’azione.
Che poi era la stessa cosa che disse Gianni Alemanno quando divenne sindaco di Roma nel 2008.

Nell’ipotesi, poi, che non dovesse vincere il M5S, bensì un’altra forza politica, lo scenario con molta probabilità non sarà granché distante dal secondo.
Ossia, gli interessi del grande capitale (banche, palazzinari, multinazionali, ecc.) non saranno toccati e, anzi, i loro appetiti verranno di sicuro in una certa misura assecondati.
Per cui aspettiamoci privatizzazioni (tradotto: licenziamenti di lavoratori e aumenti dei costi dei servizi), tagli ulteriori ai servizi e cementificazione a non finire e in barba a vincoli e alle attenzioni rispetto al dissesto idrogeologico.
Roma sarà così invasa da ulteriori metri cubi di cemento, ma mancheranno i fondi per riparare le buche nelle strade.
E il trasporto pubblico rimarrà ai livelli di una città africana.

martedì 16 febbraio 2016

Illegalità in Italia, la magistratura serve e non serve

A pensarci bene, l’Italia di oggi dovrebbe essere, in teoria, un paese dove il rispetto della legalità regna sovrano. Corruzione, abusivismo, evasione fiscale, attività mafiosa, appalti illeciti, favoritismi, ecc. ecc., dovrebbero essere ai minimi storici e l’onestà dovrebbe essere la norma. Invece...
Ma perché mai dovrebbe essere così, in teoria?
Per il semplice motivo che nel nostro paese negli ultimi 24 anni c'è stato un intervento massiccio e un lavoro continuo da parte della magistratura nello scoprire tutta una lunga serie di illegalità.


Si iniziò con la famosa inchiesta “Mani Pulite”, che nei primi anni ’90 fece emergere la nota “Tangentopoli”. Da allora e fino ad oggi a scadenza quantomeno semestrale la magistratura non fa che scoprire illeciti, corruzioni e quant’altro.
Stiamo parlando di una mole di attività impressionante, se ci pensiamo bene, e che non ha avuto eguali in nessun altro paese europeo, se non addirittura mondiale.

Innumerevoli sono stati gli imprenditori, gli uomini d’affari e i politici che sono caduti nelle maglie della giustizia. Anche se poi in Italia, chissà perché, la gogna mediatica e le invettive della “gente” finiscono ogni volta per prendere di mira inevitabilmente i soli “politici” (come se gli imprenditori e la tanto decantata “società civile” non fossero assai peggio dei politici).

Ma ritorniamo al lavoro della magistratura.
Una capacità di intervento così massiccia e continua di quest’organo contro le numerose attività illecite –anche ad alti livelli- dovrebbe costituire, a pensarci bene, un notevole deterrente per tutte le persone di potere che agiscono in modo disonesto. Si dice, infatti –e giustamente- che non sono tanto le leggi a scoraggiare i ladri e i delinquenti, quanto l’applicazione effettiva di queste, ossia, la scarsa possibilità di farla franca.

Per quale motivo, invece, in Italia l’illegalità istituzionale rimane a livelli elevatissimi, nonostante tutto ciò? Perché la magistratura, a dispetto del suo lavoro mastodontico, non riesce a “moralizzare” il nostro paese?
Ovviamente qui non si potrà dare che una risposta ultra schematica e riduttiva, perché naturalmente un’analisi approfondita richiederebbe ben altri spazi.

Fermo restando che un certo tasso di illegalità istituzionale esiste in tutti mi paesi (anche in Germania, Svizzera, o simili, che ci appaiono tanto “onesti”), ed è, a mio avviso, connaturato al capitalismo, rimane il fatto che in Italia tale illegalità ha una diffusione, una capillarità e sistematicità che non ha eguali in Europa e nei paesi sviluppati.

Sarebbe ingenuo credere, come invece fanno in tanti, che la gestione fraudolenta della cosa pubblica nel Bel Paese derivi dalla mera e semplice disonestà individuale dei “politici”. In realtà c’è un vero e proprio sistema di potere che funziona, e da tempo immemore, in questo modo, ed è legato, secondo me, al fatto che l’Italia -e in modo particolare il Centro-Sud- ha molte delle caratteristiche di una classica colonia, anche se “soft”.
Non approfondisco tale discorso, ma in sostanza, chi oggi governa –ai vari livelli- in Italia è quasi obbligato ad agire in modo illegale, o quantomeno a tollerare che nella sua giunta, o governo, vengano commessi fior di illeciti.

Detto questo, si impone una domanda: ma allora la magistratura e il suo lavoro che ruolo hanno?
E qui sono purtroppo costretto all’ingrato compito di dover sfatare quello che per molti è di sicuro un grandissimo mito, ossia, appunto, la magistratura. La quale, di fatto, NON E’ NEUTRALE.
Tale organo riflette –al suo interno e nelle sue componenti- i contrasti e le lotte di potere, sia politiche che soprattutto economiche e di classe, oggi esistenti in Italia.
Ossia, ad esempio, la lotta tra il grande capitale finanziario (nazionale ed internazionale) e la locale borghesia medio-alta.
Forse non è un caso che “Mafia capitale” abbia scoperchiato le varie illegalità relative a diverse attività “minori”, mentre i grandi palazzinari –potere storico di Roma- ne sono usciti quasi indenni.

Non ho mai amato Berlusconi, ma bisogna dire che su una cosa aveva ragione. Ossia, quando parlava di un uso politico della magistratura.
Viceversa, il Cavaliere mentiva quando parlava di “toghe rosse”. Anzi, a me sembra che queste toghe, più che rosse, siano a stelle e strisce.
Non ci sono dubbi, infatti, che una parte significativa (se non maggioritaria) della magistratura italiana sia legata agli Stati Uniti.
E forse –anche qui- non è un caso che una delle più note vittime eccellenti di “Mani Pulite” sia stato a suo tempo Bettino Craxi. Altra figura che ho sempre criticato, ma che quantomeno ha avuto il merito e il coraggio, negli anni ’80, di tentare di smarcarsi dalla pressante cappa di dominio USA. Ed è stato punito per ciò (teniamo presente che le magistrature brasiliana ed argentina –che hanno tollerato per decenni ladrocini e corruzioni a livelli esponenziali- ora si stanno scatenando rispettivamente contro la Roussef e la Kirchner, le quali, guarda caso, hanno portato avanti politiche di distacco dagli USA).

So che molti di voi rimangono scettici di fronte a questi discorsi, che puzzano tanto di “complottismo” (termine diventato di moda a partire dall’attentato alle Torri Gemelle, evidentemente perché vogliono che crediamo soltanto alle versioni ufficiali e mass-mediatiche), ma è un dato di fatto che 24 anni di super-attività della magistratura non hanno minimamente scalfito il sistema di corruzione o mafioso che domina l’economia e la politica italiana.
Evidentemente per sconfiggere l’illegalità serve ben altro.

lunedì 1 febbraio 2016

Visita di Rouhani in Italia, ad essere coperta è stata...l'informazione

La recente visita del capo di Stato iraniano, Hassan Rouhani, a Roma si può considerare un evento storico.
Dal 1979, ossia, da 37 anni, da quando ci fu la rivoluzione che spodestò lo Scià -dittatore sanguinario che andò al potere con un colpo di Stato, appoggiato dagli Stati Uniti- i rapporti tra l’Iran degli Ayatollah e i paesi Occidentali sono stati sempre molto tesi e lo Stato mediorientale ha dovuto subire numerose sanzioni, soprattutto da parte degli USA, ma anche dell’UE.

I motivi degni di attenzione in relazione a questa visita sono diversi.
Intanto per i risvolti economici: si parla di accordi economici tra l’Italia e l’Iran per un valore di 17 miliardi di euro (cifra considerevole) e sarebbe da capire come ciò potrebbe influire in futuro sulla nostra economia.

Poi, per i mutamenti politici e geo-strategici: l’apertura di rapporti tra l’Italia (e la Francia) e l’Iran andrà di sicuro a modificare gli equilibri internazionali, soprattutto in una regione delicata come il Medio Oriente.
Infatti, l’Arabia Saudita e Israele –che finora hanno goduto di ottime e privilegiate relazioni con l’Occidente- sono furibonde per ciò.
Cosa cambierà in relazione alle guerre e al terrorismo?

Sempre in relazione ai mutamenti geo-politici, tale visita potrebbe ridare all’Italia un ruolo chiave –che aveva in passato e che poi ha perso- nelle relazioni tra l’Europa e il Medio Oriente, tenuto conto anche della sua collocazione geografica.

Poi, ancora, in relazione alla tematica dei diritti civili: non dimentichiamoci che anche l’Iran (come l’Arabia Saudita e Israele) è uno stato confessionale, che reprime anch’esso, e a volte brutalmente, diversi comportamenti da noi considerati legittimi.

 

Insomma, di argomenti importanti da affrontare in relazione alla visita del capo di Stato Rouhani ce n’erano più che a sufficienza.
E invece niente di tutto ciò!
Il 99% degli italiani (e non solo) ricorderà questa visita solo per un motivo: la questione delle statue coperte. Ossia, per un fatto del tutto marginale, se non insignificante.

Purtroppo, anche se molta gente ci scherza sopra, questo fatto è, a mio avviso, molto grave. Ossia, il fatto che i mass-media siano riusciti -e con enorme successo- a deviare l'attenzione di quasi tutta l’opinione pubblica su un episodio insignificante, dimostra l’immenso potere detenuto da parte di chi controlla il sistema mediatico. Nonché la sua enorme abilità nel manipolare la percezione di grandissima parte della popolazione.
A maggior ragione perché non vi sono dubbi sul fatto che tale iniziativa (cioè, quella di coprire le statue) è stata presa in modo del tutto arbitrario e discrezionale da parte di qualche responsabile italiano (non è dato nemmeno sapere chi) e senza che la delegazione iraniana ne fosse al corrente.

Dubito che tale scelta sia stata dovuta ad un semplice errore di leggerezza e/o di eccessivo servilismo, come s’è poi voluto farla passare. L’Iran, infatti, ha potenti nemici (come già detto, Arabia Saudita, Israele e almeno una buona parte delle lobbies statunitensi).
L'obbiettivo di tale misura -e soprattutto dello scandalo mediatico che ha suscitato- è quello di far passare il governo iraniano, e gli islamici in genere, come persone intolleranti, fanatiche, prepotenti e assurde.
Ossia, un obbiettivo perfettamente in linea con le campagne mediatiche che imperversano soprattutto in Occidente, a partire quantomeno  dall'attentato alle Torri Gemelle del 2001, e che sono riuscite a convincere la stragrande maggioranza dei popoli euro-americani che i mussulmani sono tutti -appunto- violenti, rozzi, fanatici, terroristi, intolleranti e prepotenti (un po’ come i turchi di una volta, a cui venivano attribuite le peggiori nefandezze umane).

Il senso comune della gente purtroppo recepisce queste campagne mediatiche e spaccia gli stereotipi e i pregiudizi come verità, addirittura come evidenza.
E stereotipi e pregiudizi sono parte costituente dell’ignoranza.
E l’ignoranza del popolo è, da sempre, l’arma più potente ed efficace che ha la classe dominante e sfruttatrice per sottomettere e controllare i popoli.

mercoledì 20 gennaio 2016

i problemi degli italiani e la mancata unità della sinistra

Da quando il Partito Democratico è finito in mano a Renzi e ha subito un ulteriore (l’ennesimo) spostamento verso destra, ossia, su posizioni ancora più in difesa degli interessi del grande capitale finanziario (multinazionali, banche) euro-americano, della Banca Centrale Europea e della NATO, s’è finalmente –con un po’ di ritardo, a dire il vero- innescato un meccanismo di fuoriuscita da questo partito di pezzi significativi e importanti, come Cofferati, Fassina e Civati.

Ciò ha contribuito –assieme ad altri fattori- a spingere gran parte di ciò che è rimasto della sinistra italiana ad una riflessione e ridefinizione di sé stessa, tentando anche di superare, per quanto sia possibile, le vecchie divisioni.
Anche perché la concorrenza della Lega di Salvini e del Movimento 5 Stelle è fortissima e il rischio è che il già vastissimo bacino elettorale che queste due forze –soprattutto il M5S- hanno risucchiato alla sinistra negli ultimi anni, si allarghi ancora di più (oppure che cresca ulteriormente l’astensionismo).

Eppure, nonostante tanti buoni propositi, anche questa volta il tavolo delle trattative tra le varie forze/soggetti di sinistra s’è rotto (Sinistra Italiana da questo punto di vista si limita ad essere un fenomeno praticamente solo parlamentare/istituzionale).
Perché?
Formalmente ciò è accaduto perché Rifondazione Comunista non ha accettato la richiesta di sciogliersi come partito.
Ma in realtà tale richiesta, peraltro assurda e incomprensibile, nasconde il rifiuto a discutere sulle questioni veramente dirimenti, a cominciare dal rapporto col PD. Soprattutto la componente istituzionale di Sinistra Ecologia e Libertà non ha intenzione di rompere col PD e di rimettere in discussione la sua permanenza in numerose giunte locali assieme a tale partito.

Ma dietro tale aspetto ce n’è un altro ancora più profondo –a mio avviso- e di cui ho trattato più volte in diversi articoli sul blog: la perdita di significato che il concetto (politico) di “sinistra” ha subito in Italia negli ultimi decenni.
Ossia, che una politica di sinistra debba sostanzialmente difendere gli interessi dei ceti popolari e dei lavoratori A DISCAPITO di quelli delle grandi lobbies economiche (politiche, militari, ecc.) è chiaro in quasi tutto il mondo. Ma non nell’Italia di oggi.
Dunque, una politica che sia veramente di sinistra è incompatibile con le misure neoliberiste e di austerity a cui ci costringe l’Europa, nonché con quelle guerrafondaie ed interventiste imposte soprattutto dagli USA.

Ora, la ricostruzione di una sinistra che si possa veramente considerare tale richiede oggi in modo imprescindibile quantomeno una discussione ed un confronto su queste tematiche.
Anche perché in Italia la situazione economico-lavorativa è devastante e peggiora sempre più (checché ne dicano le dichiarazioni, ridicole quanto propagandistiche, del nostro presidente del consiglio).
E il malessere sociale e il malcontento sono in continua crescita. Ed è a tutto questo che va data una risposta, altroché “Rifondazione si deve sciogliere”.

Anzi, dirò di più: alla luce della dura sconfitta che ha subito l’estate scorsa il pur generoso tentativo del Governo Tsipras di contenere le pesanti richieste di tagli da parte della BCE e di risparmiare al popolo greco un ulteriore misura di massacro sociale (dopo quelle già pesantissime degli anni precedenti), andrebbe messa all’ordine del giorno un’altra questione, quella dell’euro.
L’introduzione di questa valuta lungi dal realizzare una maggior integrazione economica, politica e culturale tra i popoli europei, ha prodotto, viceversa, maggiori diseguaglianze, aumento degli squilibri e maggior diffidenza e lontananza tra essi. Oltre ad un generale impoverimento di un po’ tutti.

Pur rimanendo convinto che il mero ritorno alle valute nazionali –come agitato demagogicamente dalle forze politiche conservatrici- non basterebbe di certo a risolvere molti problemi, è importante tuttavia, ragionare su come un governo (progressista) possa riassumere il controllo della propria moneta, condizione indispensabile per qualsiasi politica di rilancio economico, dell’occupazione e di benessere sociale.
Tutto ciò è di fatto impossibile con una moneta controllata dalla BCE, la quale ha, come s’è visto, una potentissima leva di ricatto per imporre a tutti i paesi le sue politiche, a prescindere dai governi e dai parlamenti eletti dai popoli e perfino –Grecia docet- dai referendum.

Ritornando alla sinistra italiana, se si vuole ricostruire e unire una forza veramente di sinistra, occorre discutere di questi temi, quindi del malessere sociale, della disoccupazione, del precariato, delle pensioni, scuola, sanità, ecc. Serve capire come venire incontro alla crescente sofferenza dei ceti popolari. E per far ciò bisogna sbarazzarsi di tutto l’impianto liberista. A cominciare dal PD, che ne è il cardine.
Il resto sono chiacchiere o becero politicismo e tatticismo.

lunedì 11 gennaio 2016

scontro tra differenti etnie/culture? E allora andiamo in fondo (e affondo)

Le rievocazioni dell’attentato del gennaio scorso alla rivista satirica “Charlie Hebdo” e ciò che è accaduto a capodanno a Colonia (che sa tanto di organizzato, ma da chi e per quale motivo?) faranno uscire di nuovo fuori –non fatico ad immaginarmelo- tutta la retorica dello scontro tra culture, ossia, tra noi bravi occidentali “crisitani”, “democratici”, “tolleranti” e i cattivi islamici, “fanatici”, “violenti”, “intolleranti”.

E da più parti sento o leggo del rifiuto, da parte di molti italiani o europei, a subire una "contaminazione" da parte delle culture degli immigrati, ed in particolare delle popolazioni islamiche.
La nostra cultura, la nostra religione, le nostre usanze e tradizioni sarebbero quelle europeo-occidentali-cristiane, e lontanissime -secondo loro- da quelle degli arabi (o di chi altro) e non ne devono essere influenzate.
Bisogna conservare la nostra cultura, la nostra religione, le nostre tradizioni!

Prendo molto sul serio queste affermazioni.
E siccome le prendo sul serio, mi aspetto un comportamento adeguato e soprattutto COERENTE.

Tanto per cominciare, d’ora in poi tutti gli italiani dovranno smettere di bere caffè (la vedo dura...)!
Il caffè, infatti, ci è stato storicamente portato dagli arabi (lo stesso termine "caffè" deriva dall'arabo).
Allo stesso modo, non dovremo più mangiare arance (e agrumi in genere), albicocche, e altra frutta, che è arrivata in Europa, portata dagli arabi. Ovviamente nemmeno i datteri.
Inoltre saranno da eliminare anche diverse spezie dalla nostra alimentazione. Di kebab nemmeno a parlarne.

Naturalmente le vacanze a Marrakesh, a Gerba o a Sharm el Sheik ve le potete scordare.

Dovremo poi, se vogliamo mantenere le nostre tradizioni, eliminare l'alcool. Alcool che in passato ci ha aiutato a curarci da tante malattie ed infezioni e a salvare numerose vite umane.
Ma ce l'hanno pur sempre portato gli arabi.
Gli alcolizzati potranno continuare a bere vino e birra. Anche se a dire il vero pure queste due bevande sarebbero nate nel Medio Oriente.

Ma fin qui la cosa è ancora fattibile.
Più complicato diventerà quando bisognerà eliminare i numeri arabi e ritornare a quelli romani (sempre che Salvini e i leghisti al nord non rifiutino pure questi).
Al posto di 2784 + 6398= 9182, infatti, occorrerà scrivere MMDCCLXXXIV + MMMMMMCCCXCVIII = MMMMMMMMMCLXXXII.
Dal momento, poi, che non potremo più utilizzare l'algebra (altro portato degli arabi), numerosi calcoli ingegneristici (e quant'altro) diventeranno impossibili.
E quindi dovremo rinunciare anche alla stessa informatica.

Va bè, ritorneremo a vivere come nel Medioevo, ma almeno manteniamo le nostre tradizioni occidentali e soprattutto la nostra religione cristiana.
Il cristianesimo infatti è occident...uhm, oddio....veramente è sorto in Palestina....ossia, nel Medio Oriente....uhm...
Niente da fare: dovremo cancellare anche il Cristianesimo e tornare a venerare Giove, Saturno, Minerva, Nettuno, Venere...