sabato 23 maggio 2015

Palmira: quando gli interessi geopolitici prevalgono sulla cultura


Credo che tutti abbiano quantomeno sentito parlare di Palmira.
Città antichissima, che si trova nell’attuale Siria e le cui rovine sono state dichiarate dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.

Ma, per chi fosse a digiuno di storia e archeologia, un accenno non guasta.
Palmira è una città antichissima, che si trova in un’oasi del deserto siriano, ed è stata particolarmente fiorente e ricca sotto l’Impero Romano. Noto è il regno (effimero) della regina Zenobia, in cui Palmira s’era separata dall’impero, e aveva grandi ambizioni di conquiste, ma venne poi riconquistata dai romani.

Oggi rimangono le rovine di quella città antica. La quale, essendo stata abbandonata nel medioevo, oggi rimane semi-intatta, quasi una sorta di Pompei siriana.

Se non ché, oggi la furia devastatrice dell’Isis (lo “Stato Islamico”), minaccia di distruggere queste rovine. Se lo facesse, sarebbe una perdita inestimabile per il patrimonio storico-artistico mondiale, paragonabile forse alla perdita del Colosseo.
A difendere il sito oggi è soltanto l’esercito regolare siriano (quello fedele al Presidente Assad, per intenderci).

Al momento in cui scrivo non è chiaro se la città di Palmira sia stata del tutto conquistata dai mercenari cosiddetti “islamici”, o se l’esercito siriano mantiene, almeno in parte il controllo della città.
Dalle notizie che arrivano, sembra che alcune colonne antiche siano già state distrutte dall’Isis.
Intanto, però, l’esercito siriano ha provveduto a traslocare molte statue e materiali importanti del sito archeologico in zone sicure.

Dunque, gli stessi soggetti che l’Occidente (USA ed Europa) negli anni scorsi ha chiamato “combattenti per la libertà”, ed ha finanziato e armato (assieme agli alleati dell’Occidente, Arabia Saudita e Turchia), per tentare di rovesciare il regime siriano, colpevole di non assecondare gli interessi degli USA e di Israele.
Gli stessi soggetti -dicevo- ora, dopo aver fatto parlare di sé decapitando prigionieri a più non posso, ora sembra vogliano distruggere interi siti archeologici, come Palmira. Noncuranti nemmeno del fatto che sia stata –ricordiamolo- dichiarata Patrimonio dell’Umanità.

Sia chiara una cosa: se i miliziani dell’Isis dovessero distruggere tale patrimonio, la RESPONSABILITA’ PRINCIPALE RICADREBBE SUGLI STATI UNITI, SU ISRAELE E SUI PAESI EUROPEI, oltre che sull’Arabia Saudita e sulla Turchia (comunque alleati dei primi).

L’Isis è a tutti gli effetti una creatura della CIA.
Ma non solo: gli Stati Uniti potrebbero benissimo liquidare l’Isis in breve tempo (non hanno nemmeno carri armati, girano con le Toyota). E avrebbero potuto farlo nei mesi scorsi, senza grossi problemi. Ma non lo stanno facendo.
Evidentemente nei loro calcoli geopolitici, la perdita di importantissimi siti archeologici (oltre che di milioni di persone) sono prezzi da pagare pur di mantenere il controllo su una zona strategica come il Medio Oriente.

martedì 12 maggio 2015

quando il potere si finge "popolare" (ma non lo è)

Nel lungo corso della storia le classi dominanti e il potere politico (le due cose non sempre coincidono) hanno sempre cercato di distinguersi dalla gente comune, dal popolo.
L’hanno fatto con le loro residenze, con le loro tombe, nel loro modo di vestirsi, di mangiare, di parlare, nelle loro abitudini, ecc.
E così abbiamo le piramidi faraoniche, i palazzi imperiali, i castelli, le regge alla Versailles, le sontuose ville, il lusso, lo sfarzo, ecc.
Pure il potere religioso non è stato esente da questo comportamento, costruendo grandi templi, moschee, basiliche e cattedrali, le quali avevano un’importante funzione in termini di psicologia politica: quella di far sentire la gente comune “piccola”, umile e debole nei confronti di Dio, e –più concretamente- nei confronti delle gerarchie clericali.
Addirittura si è arrivati a dire che l’aristocrazia avesse “sangue blu”, come a dire che i nobili erano diversi dal popolo anche fisiologicamente.

Questa tendenza a distinguersi dal popolo è iniziata gradualmente ad entrare in crisi tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900.
La lotta di classe, sempre più forte ed organizzata, la nascita delle democrazie di massa e lo sviluppo dei partiti socialisti, popolari e comunisti ha, a poco a poco, convinto il potere a mutare atteggiamento. O almeno alcuni settori del potere, quelli più esposti apertamente all’opinione pubblica.

Oggi la tendenza dei leaders è quella di apparire sempre più come persone “del popolo”.
L’Italia vanta ormai una certa tradizione in questo campo, avendo espresso un pioniere di tale tendenza, ossia Benito Mussolini.
Il “duce”, nelle sue uscite pubbliche, si sforzava di presentarsi in modo molto differente dal classico borghese intellettuale e “perbene”, ostentando un’immagine infarcita di atteggiamenti un po’ militareschi e un po’ popolari rozzi, fino ad arrivare al noto “me ne frego!” (poi, certo, aveva scelto come sua residenza l’aristocraticissima Villa Torlonia…quando si dice la coerenza!).

Per rimanere in Italia, lo “scimmiottamento” di atteggiamenti “popolari” è riesploso –non a caso- dopo il famoso ’89, con l’avvento della Seconda Repubblica.
Invano si cercherebbero espedienti simili in quei grandi dirigenti politici –Berlinguer, Pertini, Togliatti, Longo, Nenni (ma anche De Gasperi, Moro, Andreotti), ecc.- i quali rappresentavano veramente i lavoratori e i ceti popolari. Ma questi erano a capo di partiti radicati nel popolo e non avevano bisogno di scimmiottarlo.

Tornando alla II Repubblica, l’esempio più significativo tra i leaders politici che imitano comportamenti “popolari” è stato sicuramente quello di Silvio Berlusconi. Le sue quotidiane battute, i gesti (anche volgari), perfino le sue gaffes, facevano parte di una tecnica comunicativa ben studiata, tale da farlo apparire come un uomo “del popolo”, e quindi una persona spontanea e distante dalla “casta” dei politici di professione (considerati tout-court “falsi”). E quindi un uomo concreto e vicino agli interessi del popolo.

Un altro maestro nel campo è stato Umberto Bossi, su cui è inutile spenderci troppe parole. Stesso discorso per un comico come Beppe Grillo, tra l’altro coadiuvato –non a caso- da un grande imprenditore della comunicazione come Casaleggio.

All’estero, o quantomeno nei paesi europei, tale tendenza sembra essere assai più ridotta.
Un po’ più marcata, invece –ma non ai livelli italiani- la troviamo negli Stati Uniti. Anche negli States esiste una certa retorica a proposito dei presidenti “popolari” e infatti abbiamo avuto diversi presidenti che non provenivano dal ceto politico tradizionale (tipo Carter, che coltivava arachidi, o Reagan, attore).

Chi invece ha imparato bene la “lezione” (forse perché la sua sede è pur sempre in Italia) è la Chiesa Cattolica.
Il primo protagonista di tale tendenza è stato sicuramente Papa Wojtyla. I mass-media ce l’hanno sempre presentato come un ex operaio e come una persona molto “umana”.
A partire dal gesto –sicuramente studiato- di baciare in terra nei luoghi che egli visitava. Poi, Wojtyla lo si è visto scendere in una miniera con tanto di elmetto e fare numerosi gesti “da gente comune”, tipo andare a sciare e tant’altro.
Tutto ciò serviva a divulgare l’immagine di una persona “del popolo” e umile.

Papa Ratzinger si prestava poco a tale meccanismo (chissà se è stato sostituito anche per questo motivo).
Viceversa, Papa Bergoglio sembra proprio tagliato a tale scopo, con il suo viso da “buonaccione”.
E alcune “rinunce” (puramente esteriori) hanno fatto il resto: oggi egli appare essere una persona buona e che incarna lo spirito di una chiesa, che vorrebbe cambiare e diventare più umile.

In realtà la Chiesa Cattolica continua ad essere un impero economico di dimensioni molto più che “faraoniche”. Basti pensare che, solo in Italia, detiene a vario titolo almeno un quarto di tutte le proprietà immobiliari del paese e possiede hotels, negozi, ospedali, scuole, ristoranti e tantissimo altro, per un giro d’affari semplicemente colossale. Tutto (o quasi) esentasse. Alla faccia dell’umiltà!

Comunque sia, al di là di tutto, il fatto che il potere di oggi tenda a “mascherarsi” e ad apparire più popolare e meno aristocratico e faraonico, è, in sé, un fatto positivo, poiché testimonia del fatto che i ceti popolari hanno acquisito maggiore importanza e considerazione nell’ultimo secolo e mezzo.

Ma non basta: affinché i ceti proletari imparino a non farsi ingannare dal potere “mascherato”, occorre che facciano –in sintesi- due cose: lottare e istruirsi.
Sono l’ignoranza e la passività gli elementi che impediscono a questi settori della società di prendere coscienza della realtà e che permettono di farsi ingannare da chi fa finta di essere uno di loro (di solito per sfruttarli meglio).