lunedì 20 luglio 2015

Syriza: comunque sia, grande prova contro la dittatura della Troika

Come c’era da aspettarsi, l’accordo Grecia-Europa seguito al referendum ha suscitato una valanga di commenti.
A prescindere dal giudizio che si possa dare circa l’operato finale di Alexis Tsipras –e più avanti esporrò il mio- è deprimente sentire (o leggere, ad esempio su facebook) così tanti commenti superficiali, schematici e soprattutto sganciati da qualsiasi riferimento ad un contesto, da qualsiasi considerazione circa i rapporti di forza concreti e privi spesso di una minima capacità di valutazione complessiva dei soggetti e degli attori in campo (ad esempio, concetti come “traditore” non aiutano a capire nulla): l’impressione a volte è quella di avere a che fare con i tipici commenti degli spettatori televisivi di una partita di calcio.

Prima dunque, di valutare la scelta finale di Tsipras, preferisco partire da alcune premesse.
La prima è che intanto Syriza, partito inequivocabilmente di sinistra, è riuscita, negli anni scorsi, a rappresentare il malcontento popolare e in genere i ceti popolari e i lavoratori. In Italia siamo lontanissimi da un simile risultato.
Forte di questa capacità, ha vinto le elezioni politiche, nonostante avesse contro persino un partito come il KKE, con un suo discreto radicamento tra i lavoratori.

Perlomeno fino al referendum, il governo di Syriza è rimasto fedele e coerente al mandato elettorale –unico caso in tutta Europa!- portando avanti misure che andavano decisamente controcorrente rispetto ai dominanti diktat liberisti.
Lo stesso ricorso al referendum è stato una sfida del tutto inedita, nel panorama politico europeo, nei confronti dello strapotere della Troika: un nano che sfida un gigante!

Contemporaneamente non vanno dimenticate le condizioni della Grecia -la miseria cresciuta negli anni scorsi, un’economia a terra- ma soprattutto il ricatto economico costituito dalla chiusura delle banche e dei bancomat (sarei proprio curioso di vedere come reagirebbero la maggioranza degli italiani che oggi gridano che bisogna uscire dall’euro, di fronte alla chiusura inoltrata dei bancomat).

Infine, l’ultima –ma non per importanza- premessa è quella di carattere internazionale, o meglio, di carattere intercontinentale, e riguarda i rapporti con altri attori, che hanno di sicuro giocato un ruolo importante nella vicenda, anche se vengono poco menzionati. Ossia, gli USA, in primis, poi la Russia e la Cina.
Infatti dalle mie (sicuramente limitate) informazioni, mi risulta che non solo gli americani, ma anche le altre due potenze non fossero d’accordo a che Atene uscisse dall’euro. E ovviamente parliamo di paesi che contano e pesano.

Finite le premesse, provo a dire una mia opinione.
Secondo me Syriza avrebbe dovuto fin da subito lavorare per preparare il cosiddetto “piano B”, ossia l’eventuale uscita dall’euro.
Intanto per un motivo banale: se il tuo nemico (perché tale va considerato) ha due alternative e tu ne hai una, vince lui.
E poi perché non solo le politiche di austerity, ma lo stesso euro –per come è strutturato- ha come conseguenza l’attacco al salario (diretto e indiretto, ossia il welfare-state) dei lavoratori e dei ceti popolari.

Infatti, a mio avviso occorrerebbe che non solo la Grecia, ma anche l’Italia incominciasse a pensare seriamente di uscire dall’euro.
Ma purtroppo la cosa non è così semplice: l’uscita dall’euro –demagogia a parte- è un percorso complicato e delicato, sia economicamente che politicamente, e deve essere ben preparato e seguito da diverse misure adeguate, altrimenti potrebbe portare per davvero alla catastrofe. Ma può e deve essere fatto, prima o poi.

L’errore di Tsipras, dunque, è stato quello di non ipotizzare tale possibilità.
Sempre che tale “errore” non sia stato condizionato –come già detto- da dinamiche geopolitiche e economiche intercontinentali.

Comunque sia, tanto di cappello e grande stima per un partito come Syriza, che rimane l’unico partito europeo che finora ha provato concretamente a fare politiche in contrasto con il dogma liberista. Almeno ci ha provato…

martedì 7 luglio 2015

Grande vittoria del popolo greco e miserie italiane.

Non credo che serva spendere troppe parole sullo strepitoso risultato del referendum del 5 luglio in Grecia, grazie al quale il popolo ellenico, a netta maggioranza, ha rigettato le politiche di austerity –ossia, di impoverimento sociale- imposte in modo ricattatorio dalla Troika (FMI, BCE, UE).
E’ la prima volta che un governo e un popolo in Europa osa sfidare lo strapotere del capitale finanziario euro-atlantico.

Staremo a vedere come si evolveranno i fatti (ma dobbiamo comunque tenere presente che non si trattava di un referendum pro o contro l’euro) e a cosa porteranno le inevitabili trattative.
Ed è ancora prematuro anche fare una valutazione, ad esempio, sulle strane ed improvvise dimissioni del Ministro Varoufakis.
Ma quello che è importante cogliere, io credo, è che grazie al Governo Tsipras e ai risultati del referendum, sono mutati i rapporti di forza: ora l’UE non potrà più imporre i suoi programmi come prima, ma è costretta a negoziare. Sempre che voglia farlo.
Ma, nel caso contrario, dovrà assumersi la responsabilità politica di cacciare la Grecia dall’Europa.

 

Ora veniamo in Italia.
Quando si parla di "miserie italiane", la prima cosa che viene in mente è il Governo Renzi e il Partito Democratico.
Non mi dilungo su questi, la cui critica è per me scontata. Ho sempre criticato il PD, fin dal momento della sua nascita (ossia, quando c'era Veltroni) e non ho certo meno motivi per farlo ora. Renzi e il PD li considero dei burattini al servizio delle banche e multinazionali (e delle politiche guerrafondaie USA).

Ma due paroline vanno spese anche sul malcostume -tipicamente italiano- di "salire sul carro del vincitore". La grande vittoria e il coraggio del Governo Tsipras e di Syriza, fanno sì che parecchi personaggi -in chiara ricerca di pubblicità- vadano ad Atene a festeggiare la vittoria.
Civati, Fassina, Grillo e Vendola, dopo aver fatto per anni una politica quantomeno ambigua –e comunque NON in sintonia con Syriza- ora vanno tutti ad Atene, sperando di riscuotere pubblicità –grazie alla complicità dei vergognosi media italiani, che fanno il loro gioco- e qualche voto in più.

Pippo Civati e Stefano Fassina fino a pochi mesi fa hanno contribuito, votandole, alle peggiori leggi e misure liberiste e di austerity, in linea con la Troika (Jobs Act e Riforma Fornero, tanto per dirne due) e sono stati dirigenti per 7 anni di un partito, il PD, che è quanto di più filo-BCE e filo-atlantico non si possa immaginare.

Beppe Grillo e il M5S, anche se agli occhi di molti italiani sprovveduti possono apparire vicini a Syriza, dato che anche loro sembrano contestare il potere e l’arroganza dell’Europa delle banche, sono in realtà molto, molto distanti da questa.
A parte il fatto che il M5S è per l’uscita dall’euro, mentre Syriza non lo è (anche se ovviamente deve valutare pure questa possibilità), Syriza è un partito (partito!!) espressamente di sinistra (la “A” di SyrizA sta per Aristera= sinistra). Inoltre è contrario alla xenofobia e ha un programma e una collocazione ben definiti.
Viceversa, il M5S parla a 360°, dice tutto e il contrario di tutto, parla di “onestà” (che in politica non vuol dire assolutamente nulla, potendo essere interpretabile in tanti modi diversi) e fa tanti bellissimi discorsi, ma poi non è chiaro il suo programma e soprattutto la sua collocazione politica. Sta di fatto che in Europa ha scelto di stare con le destre conservatrici e xenofobe.

Niki Vendola: il suo “errore” (e mi tengo moderato nei giudizi) più grave è stato quello di aver voluto far aderire SEL al PSE. Lo stesso slogan “con Tsipras, ma non contro Schulz” –slogan che rifletteva un chiaro scontro interno- appare oggi in tutta la sua ridicolaggine.
Meno male che molti compagni di SEL non hanno accettato l’entrata nel PSE, dimostrandosi assai più saggi del loro segretario.

L’unico personaggio veramente degno di stare ad Atene e di festeggiare la vittoria dei “NO” al referendum, è Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista.
Il PRC in questi anni ha sempre espresso, in modo coerente e senza tentennamenti, una politica molto simile a quella di Syriza. Inoltre è stato il partito che ha promosso alle ultime elezioni europee la Lista Tsipras, che in Europa sta nello stesso gruppo con Syriza (GUE/GNL).

Anche per questo motivo i telegiornali e i quotidiani italiani hanno snobbato il PRC e Ferrero quasi del tutto.
Infatti, la miseria italiana, prima ancora che essere dei politici, è di tutto il sistema economico e mass-mediatico. Il quale non ha alcun interesse a cambiare le cose, ma solo a far pubblicità ai ciarlatani, ai voltagabbana e ai personaggi ambigui.

mercoledì 1 luglio 2015

Grecia: lotta di classe. Per loro e anche per noi.

Come dovrebbe essere noto, in Grecia il Governo Tsipras ha indetto per il 5 luglio prossimo un referendum per far esprimere il popolo greco sulle misure che la Banca Centrale Europea vuole imporre al paese, per ripagare il debito.

Va precisato che non si tratta di decidere l'uscita di Atene dall'euro, come qualcuno pensa. Syriza (il principale partito al governo) non ha mai detto di voler uscire dall'euro. Anzi, contrariamente a ciò che si vuol far credere, è intenzionata a ripagare il suo debito. Solo che il governo ellenico intende decidere sovranamente (ne avrebbe tutto il diritto) in che modo ripagarlo, ossia, dove recuperare le risorse per farlo.
E -per la prima volta- intende far pagare chi non l'ha mai fatto sinora, e cioè i ricchi e i grandi evasori fiscali (armatori in primis). Questi sono rimasti sostanzialmente intoccati dalle ben 5 manovre “lacrime e sangue” che ha subito la Grecia negli scorsi anni e che hanno ridotto vasti strati della popolazione a livelli di miseria che da decenni non si vedevano in un paese europeo.

Ebbene: è stato precisamente questo programma che all'Europa delle banche non è andato giù.
Il che dimostra come alla BCE non interessa tanto che la Grecia saldi il suo debito, quanto imporre a tutti i popoli (la Grecia funge da cavia) le politiche liberiste e di austerity, fatte di bassi salari, ricattabilità e debolezza dei lavoratori, pensioni da fame e privatizzazione della sanità e dei servizi sociali.

Va chiarito anche un altro equivoco: la Grecia NON si trova in queste condizioni perché in passato il suo Stato avrebbe fatto spese eccessive, o –come si dice- perché avrebbe truccato i cuoi conti pubblici (cosa che non doveva essere poi difficile da scoprire a suo tempo; e pare che anche altri paesi -tra i quali Francia e Germania- l’abbiano fatto).
Le spese statali della “virtuosa” Germania sono –in percentuale sul PIL- assai maggiori di quelle dell’Italia, a sua volta superiori di quelle elleniche.

Certo, la Grecia ha, di suo, un’economia storicamente debole.
Ma l’Europa unita non era stata a suo tempo presentata proprio come un’opportunità anche e soprattutto per i paesi deboli? Una vera unità europea non dovrebbe favorire investimenti (controllati, certo; nessuno parla qui di sovvenzioni a pioggia) diretti proprio alle zone più arretrate per far sviluppare un po’ tutte le economie, e realizzare, così una VERA integrazione?
Tra l’altro una politica di investimenti in Grecia (e non solo) darebbe un notevole contribuito a sviluppare un’economia tale, che ora Atene non avrebbe alcun problema a ripagare il debito.

 

Ma il problema è che l’Unione Europea è rigorosamente liberista, ossia, strettamente dipendente dalle leggi del capitalismo. Per cui, gli Stati non devono investire.
Lo dovrebbero fare i privati, ossia, i capitalisti, ma dato che a questi, specie in tempi di crisi economica, gli investimenti spesso non convengono -e quindi non si fanno- essi cercano di realizzare i loro bei profitti rivolgendosi alle speculazioni finanziarie. Le quali si alimentano –guarda caso!- proprio sui debiti sovrani.

Dunque, alla BCE (organismo non eletto dai cittadini, ma quello che di gran lunga ha il maggior potere nell’area-euro) interessa solo far fare profitti alle banche, sfruttando il debito pubblico e riducendo vasti strati di popolazione senza lavoro, senza pensioni, senza servizi e in miseria.
Il popolo ellenico è da considerarsi, sotto quest’aspetto, semplicemente come apripista: poi toccherà agli spagnoli, ai portoghesi, agli italiani e altri ancora.

Il debito pubblico o sovrano, tra l’altro, non è un fenomeno così anomalo e negativo come ci vogliono far credere. In realtà il debito pubblico ha sempre accompagnato lo sviluppo dell’economia capitalistica. Non a caso, lo stesso Karl Marx ne parla più volte nei suoi libri sull’economia.

Tornando alla Grecia, staremo a vedere ciò che uscirà dal referendum del 5 luglio prossimo. Vedremo se si troverà comunque alla fine un accordo, oppure se Atene uscirà dall’euro.
Ma la cosa importante da capire è che la battaglia che stanno portando avanti i greci ha un fortissimo valore anche per noi: se il popolo greco vincerà sui ricatti europei, anche per noi italiani in futuro sarà meno dura; se loro perdono, aspettiamoci presto misure “lacrime e sangue” anche da noi.

Ma forse c’è anche un’altra speranza: i BRICS (acronimo per Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Sembra infatti che soprattutto la Russia e la Cina siano intenzionate ad intervenire, finanziando la Grecia e facendo investimenti (cosa che avrebbe dovuto fare un’Europa veramente unitaria).
Verificheremo se e come accadrà e con quali esiti. L’importante è che il mondo sta cambiando e la tirannia del FMI-BCE-Commissione Europea (la “troika”) stia sempre più perdendo il suo monopolio, oltre che credibilità.

E, determinante sarà intanto la vittoria del “NO” al referendum greco del 5 luglio.