martedì 25 giugno 2013

Mamma, li turchi!

Non è facile provare a tracciare un quadro preciso degli avvenimenti recenti in Turchia, per chi, come me, in quel paese non ci ha mai messo piede, neanche da turista (ma mi riprometto prima o poi di andarci).
Ma da una serie di informazioni che mi sono giunte attraverso canali diversi di quelli abituali (TV, quotidiani, ecc.), alcune -parziali- considerazioni provo comunque a buttarle giù.

Intanto, la prima cosa da dire è che la rivolta del popolo turco non parte certo soltanto da una protesta di tipo ambientalista (ossia, la difesa dei 600 alberi del parco di Gezi).
Certo, tagliare 600 alberi in una metropoli già congestionata e cementificata come mi risulta essere Istanbul, per costruirci un centro commerciale (e una moschea) non è proprio un'ottima idea.
Ma c'è un problema anche di tipo storico-simbolico: Gezi Park e l'adiacente Piazza Taksim sono luoghi importanti legati al laicismo turco (è un po' come se a Roma buttassero giù la statua di Giordano Bruno per erigere un monumento ad un inquisitore).
Ed ecco qui che la rivolta inizia ad assumere dei contorni diversi.

Anche vedere la ribellione come una semplicistica contrapposizione tra laicismo e potere islamico è di sicuro quantomeno superficiale (l'elite laica tradizionale, legata al potere economico e soprattutto ai militari non è certo scesa in piazza).
L'intensità della lotta (e della sua repressione), la durata di questa e la sua diffusione in molte altre città della Turchia, lascia pensare che nel paese i problemi vanno ben oltre la difesa di Gezi Park.

Per quanto mi è dato di sapere, Erdogan (Capo del Governo del AKP, partito islamico moderato) è stato nel decennio scorso artefice di politiche liberiste e di "risanamento del debito pubblico", per ottemperare al diktat del FMI, a cui aveva richiesto e ottenuto un prestito.
Ciò ha comportato -come dovrebbe essere ormai ben noto anche in Europa- tagli ai servizi, privatizzazioni, abbassamento dei salari, delle pensioni, ecc.
Ossia, le stesse politiche di austerità che si stanno sempre più per attuare anche dalle nostre parti.

Inevitabilmente ciò ha causato un peggioramento delle condizioni di vita di gran parte della popolazione turca, nonostante l'economia di quel paese in questo decennio abbia conosciuto -nel complesso- una crescita sostenuta.
Tale situazione ha generato già negli anni scorsi delle lotte in vari settori del paese. E ciò a dispetto del fatto che i limiti imposti alla sindacalizzazione e ai partiti di sinistra (comunista in primis) siano stati fortissimi e i relativi militanti sono stati fatti spesso oggetto di repressione, arresti e torture (che, non si sa perchè, ma quando sono dei paesi "amici" a praticarle, da noi si chiude facilmente un occhio).

E in effetti la repressione del movimento di protesta turco è stata tremenda: una decina di morti, migliaia di arresti e centinaia di feriti.
Una repressione ancora più brutale per il fatto che è stata rivolta contro una protesta popolare poco organizzata e soprattutto disarmata.
E anche qui la reazione dei governi occidentali (così "sensibili ai diritti umani") è stata molto blanda: nessuno parla di Erdogan come di un dittatore sanguinario, nè della Turchia come di un regime da abbattere.

Un po' l'opposto di ciò che invece avviene nei confronti dellla Siria, dove i cosidetti "ribelli" fin da subito si sono organizzati in un esercito, sono ben armati (da chi?) e molti dei relativi militanti nemmeno sono siriani. I "ribelli" per giunta hanno usato armi chimiche (e non il governo, come ha dimostrato il Commissario ONU, Carla Del Ponte). Però la Siria -per l'Occidente- sarebbe un regime brutale e Assad un dittatore da abbattere (guarda caso, la Siria negli anni scorsi non si è mai piegata alle politiche degli USA-Israele in Medio Oriente, ma si tratta di un "dettaglio").

Tornando alla Turchia, probabilmente l'esito immediato della lotta non sarà positivo, nel senso che gli alberi saranno quasi certamente abbattuti per far posto al famigerato centro commerciale.
Ma la cosa veramente importante è che il popolo turco ha dimostrato innanzitutto a sè stesso e poi anche agli altri popoli che lottare si può, che lottare in molti casi è giusto, soprattutto se si tratta di una lotta condivisa da gran parte del popolo.
Ed è importante il fatto che al movimento di questi giorni si siano uniti anche numerosi lavoratori di varie città della Turchia.
Se tutto ciò sarà servito a sedimentare organizzazione e coscienza, allora sarà il vero successo di questa lotta.
Da cui molti altri popoli avrano da imparare. A cominciare da quello italiano.

lunedì 17 giugno 2013

la ripresa....per i fondelli!

Poco tempo fa qualcuno fece girare su facebook un "post" carino e soprattutto interessante. C'erano dei ritagli di titoli di articoli presi da vari giornali di diversi anni successivi, nei quali (titoli) qualche esponente politico o "esperto economista" ogni volta prometteva o assicurava che l'anno successivo ci sarebbe stata la ripresa economica.
E così, nell'articolo del 2009 si diceva che nel 2010 ci sarebbe stata la ripresa. Nel 2010: "la ripresa sarà nel 2011". L'anno successivo la ripresa era data per certa nel 2012, e via così.
Oggi -più prudentemente e forse anche per evitare che la gente si senta troppo presa per i fondelli- si tende a spostare la data della (presunta) ripresa economica non più per l'anno successivo, bensì fra 3-4 anni o più.
D'altronde, i recentissimi dati dell'Istat sulla crisi che non accenna a diminuire, parlano da soli.

Persino il "Time", la prestigiosa rivista americana, non sospettabile di simpatie a sinistra, parla ora, a proposito della crisi economica, di "vendetta di Marx".
Il marxismo, dato per morto e sepolto (anche a sinistra) dopo il Crollo del Muro di Berlino, si riscopre ora in tutta la sua tremenda attualità.
Infatti, i meccanismi di fondo del funzionamento del capitalismo -nonchè i suoi limiti intrinseci, che causano le crisi economiche- sono rimasti sostanzialmente immutati dai tempi in cui li studiò Marx.
La caduta dei profitti, le piccole-medie imprese che chiudono in massa, stritolate dalle grandi (più che dalle tasse, come sovente si vuole far credere), l'aumento della disoccupazione e della precarietà, ecc., ossia, tutti fenomeni che oggi abbiamo davanti ai nostri occhi, erano stati già ampiamente trattati e spiegati dal filosofo tedesco nell'800.

A questi meccanismi vanno aggiunti -ahimè- gli effetti delle "ricette" economiche che l'Europa (e soprattutto la BCE) ci impongono e che aggravano ancor più la crisi, con effetti devastanti, come accade in alcuni paesi (Grecia, Spagna, Italia, Portogallo). E questo nel tentativo, da parte della Germania, di scaricare sui paesi deboli gli effetti della crisi più generale.
Le politiche liberiste, basate sulla riduzione del debito pubblico, sull'austerità, sono utili esclusivamente al mondo finanziario-speculativo-bancario, soprattutto quello tedesco. Le pesante conseguenze le stiamo pagando sulla nostra pelle.
E, oltre ai paesi mediterranei già citati, la crisi sta per toccare sempre più la Francia e altri paesi anche dell'est europeo e i primi sintomi di essa si incominciano a vedere persfino nel "bunker" Germania.

E gli USA e la GB?
Anche loro non sono da meno.
Certo, li aiuta un po' il fatto che mantengono la sovranità sulla loro valuta (cosa che noi abbiamo perso con l'euro), ma anche loro non stanno messi per niente bene.
Gli Stati Uniti, in modo particolare, hanno goduto finora di un enorme vamtaggio sugli altri Stati, ossia, il fatto che la loro moneta, il dollaro, fosse moneta mondiale.

Vantaggio, però, che stanno a poco a poco perdendo: i più grandi dei paesi emergenti (i paesi del BRICS, Cina in testa) stanno creando le condizioni per poter in prospettiva sempre più sganciarsi dal dollaro, come moneta di transazione. Anzi, già hanno incominciato a farlo e lo faranno, via via, sempre più.
Ciò darà col tempo un colpo durissimo all'economia USA (con tale Stato che è di gran lunga il più indebitato al mondo), già oggi in crisi anch'essa.
Non è un caso che gli americani tendono a reagire laddove posseggono una forza incontrastata, ossia, sul piano militare, accelerando sempre più un conflitto, che potrebbe diventare mondiale, con effetti assolutamente imprevedibili. Gli attacchi mass-mediatici alla Siria (e gli aiuti e i finanziamenti ai cosidetti "ribelli") portano proprio in questa direzione.

Ma....e la famosa ripresa?
Per il momento si vede solo un'inquietante ripresa della corsa agli armamenti!

martedì 28 maggio 2013

elezioni comunali: astensionismo e dittatura di fatto

Com'era fin troppo facile da prevedere, le ultime elezioni comunali hanno visto un enorme incremento dell'astensionismo.
L'astensionismo -osservazione forse banale- rappresenta nella grandissima maggioranza dei casi una sfiducia nei confronti della politica. Non solo e non tanto nei partiti (come si vuole far credere), quanto dei "politici" tout-court. Ovverossia, del fatto che questi possano rappresentare effettivamente i nostri interessi e diritti.

Un dato anche significativo è il calo dei voti al Movimento 5 Stelle. Calo che si è andato a riversare -suppongo- anche questo nell'astensionismo, cosa questa che dimostra che il voto al M5S delle ultime politiche dello scorso febbraio era in buona parte un astensionismo mascherato.

Certo, l'astensionismo rappresenta in gran parte dei casi il modo più semplice e comodo di esprimere malcontento, quando non "ribellismo". Talmente comodo da essere assolutamente sterile: negli USA da sempre vota all'incirca la metà degli aventi diritto; cionondimeno chi vnce le elezioni (con il 25% dell'elettorato effettivo) si sente più che legittimato a governare e persino a scatenare guerre sanguinose nei più remoti angoli del mondo.

Diciamo che l'aumento dell'astensionismo, a ben vedere, registra una situazione determinatasi già da tempo: il potere in Italia è ormai saldamente nelle mani dei grandi potentati economici (banche, multinazionali, USA, Vaticano...ossia, il ceto sociale chiamato anche BORGHESIA). E quindi chiunque vince le elezioni -in questa fase storica- dovrà in qualche modo piegarsi a tali interessi.
Di fatto, la nostra società assomiglia molto più ad una dittatura, che a una democrazia.
Marx parlava, giustamente, di "dittatura della borghesia".

Per chi proviene dai ceti popolari, pensare che oggi il voto possa servire per eleggere qualcuno che poi andrà concretamente a portare avanti i nostri interessi, magari scontrandosi con i poteri forti, è pura utopia. A livello nazionale non se ne parla proprio, e nemmeno a quello regionale. Forse a livello comunale, ma non certo per i comuni delle grandi metropoli. Al massimo si potrà verificare che qualcuno -se ben sostenuto a prescindere dalle elezioni- potrà realizzare alcune politiche decenti.
I poteri forti (la borghesia) oggi come oggi sono troppo potenti perchè qualche eletto possa contrastarli seriamente.

L'unica cosa che si può -e si deve- fare è quella di costruire un 'opposizione forte e seria (non parolaia alla Grillo, per intenderci).
E tale opposizione deve essere costruita innanzitutto a livello sociale, prima ancora che politico.
I settori popolari devono riprendere a LOTTARE e ad organizzarsi. La resistenza -perchè di questo si tratta- alle politiche liberiste, che stanno impoverendo milioni di persone, va portata avanti a partire dalle lotte concrete.
Su questa base, poi, si andranno a promuovere quelle forze politiche che riescono a rappresentare al meglio questi settori e queste lotte.

Si tratta di un percorso lungo, stretto e difficile e che darà i suoi frutti col tempo, ma non ci sono alternative.
Il semplice affidarsi all'"uomo forte" o a quello carismatico o all'"uomo della provvidenza" non porta a niente, se non forse a peggiorare la situazione.
Nè conviene, alla lunga, votare sempre per il "meno peggio". Ma mi pare che quest'ultima cosa sempre più italiani la stanno capendo.

lunedì 13 maggio 2013

come ti distruggo la sinistra italiana (parte terza e ultima)

Rifondazione Comunista
La nascita di Rifondazione Comunista -nel contesto dell'ondata suscitata dalla caduta del Muro di Berlino e mentre l'ex PCI si scioglieva per diventare, in grandissima parte, PdS- è stata di sicuro un fatto provvidenziale. Si era creato uno spazio in cui numerosi comunisti e persone di sinistra hanno potuto continuare a far politica, senza adeguarsi alla deriva liberista che stava prendendo il PdS.

Purtroppo il PRC ha avuto, costituzionalmente, dei limiti di fondo, che hanno portato il partito con gli anni a subire parecchie scissioni consistenti e ad indebolirsi.
Rifondazione Comunista sembra essere stata concepita fin dall'inizio -a differenza del PCI- come un semplice contenitore di quella che oggi viene chiamata la "sinistra radicale": il lavoro di analisi rigorosa, di elaborazione di una strategia, di radicamento tra i lavoratori e nei settori popolari, di formazione dei militanti, di costruzione di un'organizzazione capillare ed efficiente, insomma, tutto ciò che aveva consentito al PCI di essere diventato quello che era, veniva trascurato, quando non negato -o addirittura a volte disprezzato in alcuni aspetti- dentro Rifondazione (con ciò nulla togliendo a tutte quelle realtà locali che in questi anni si sono spese anche molto generosamente nella militanza; ma qui si parla del partito complessivo, del modo come è stato concepito e dei suoi orientamenti di fondo).

Proprio i recenti avvenimenti esteri (fine dell'URSS) e i cambiamenti della società e del mondo del lavoro di quegli anni avrebbero dovuto creare -se il PRC fosse stato un partito comunista valido- un dibattito e un'esigenza di analisi approfondita, per adeguare l'intervento politico. Viceversa, nel PRC l'analisi è stata praticamente assente, o limitata a pochissime persone (per analisi si intende lo studio delle dinamiche sociali profonde, e non -come di solito si fa- la semplice analisi politica, spesso molto superficiale). E ciò a dispetto del nome "rifondazione", nome che è rimasto un pio desiderio.
Il risultato è stato che le diverse anime (partitini, correnti, ecc.) che componevano il PRC hanno finito semplicemente per convivere, senza un vero confronto e soprattutto senza una sintesi. Le scissioni ne sono state una conseguenza.

Anche il Partito dei Comunisti Italiani (nato da una delle scissioni del PRC, nel 1998) nonostante il suo più netto e ostentato riferimento al PCI, non ha mai saputo creare le premesse per il rilancio di un nuovo partito comunista radicato nella società, non residuale e non subalterno alla "sinistra" moderata, limitandosi sostanzialmente a vivacchiare di rendita.


Il cosidetto "berlusconismo" e la lotta ideologica anticomunista
Spesso, a sinistra, si è parlato, nel descrivere un certo tipo di subcultura e di (mal)governo, di "berlusconismo". Termine alquanto curioso, quanto poco utile a capire certe dinamiche. Si sono attribuiti i vari successi che ha avuto Forza Italia (e le coalizioni di centro-destra) soprattutto al fatto che il Cavaliere avesse in mano le televisioni (o addirittura al presunto "rincoglionimento" di tanti italiani, che l'hanno votato).
In realtà, tali successi sono derivati essenzialmente dal fatto che Berlusconi ha saputo creare un blocco sociale tra i ceti piccolo-medio borghesi e una grossa fetta della grande borghesia.
Ma, a ben vedere, anche dal fatto che il partito egemone della "sinistra", ossia il PdS-DS (poi PD) si è limitato ad evocare e ad usare l'antiberlusconismo soltanto quanto gli serviva per drenare i voti di sinistra, ma non ha mai lavorato concretamente per indebolire Berlusconi, quando ha potuto farlo.

Viceversa, il PdS-DS-PD si è totalmente inserito -e molto attivamente, nonostante le origini dei suoi dirigenti- nella lotta ideologica anticomunista post '89.
Lotta ideologica che, distorcendo la storia, si è basata sulla caricatura dei soli aspetti negativi dei paesi a socialismo reale ("dimenticandone" i numerosi lati positivi e progressisti) e presentando "il comunismo" come opzione politica fallimentare, se non detestabile, arrivando addirittura a paragonare tali società a quelle nazi-fasciste, in nome di un mai ben definito "totalitarismo".
Tali discorsi non hanno nulla a che fare con un'analisi storico-sociale seria (tanto è vero che i "nostalgici" del socialismo reale nell'Europa dell'Est sono numerosi e in crescita). Si tratta di una vera e propria lotta ideologica, finalizzata a sradicare nella coscienza dei ceti popolari l'idea che sia possibile una società migliore e più giusta di quella dominata dalle banche e dalle multinazionali (e in Italia anche dal Vaticano), insomma, dal capitalismo.

La lotta ideologica è molto importante e quella anti-comunista in Italia ha talmente fatto breccia, che noi oggi ci troviamo in una situazione in cui milioni di giovani (e meno giovani) disoccupati e di lavoratori e pensionati che non arrivano alla fine del mese, i quali avrebbero tutte le ragioni di aderire ad un discorso di superamento del capitalismo, viceversa se ne tengono assai a distanza, e, nella loro confusione ideologica, si lasciano più facilmente incantare dalle sirene degli urlatori ambigui, tipo Grillo.

Sempre sul fronte ideologico va ricordato che un ruolo importante nello spostamento della coscienza del "popolo di sinistra" verso posizioni liberiste l'ha svolto sicuramente il quotidiano "La Repubblica", il quale ha dato a suo tempo anche un apporto decisivo affinchè venisse sciolto il PCI.


Conclusioni
E' paradossale che proprio ora che c'è la crisi e che stanno venendo -drammaticamente- al pettine i nodi del capitalismo e le conseguenze delle politiche liberiste degli ultimi decenni, in Italia non esiste praticamente più una forza in grado quantomeno di contestare seriamente tali politiche (il M5S pratica una contestazione molto piccolo borghese, ossia, critica alcuni aspetti del capitalismo, ma non il capitalismo tout-court; anzi, sembra auspicare un ritorno alla piccola imprenditoria, ormai ampiamente superata dall'evoluzione de capitalismo stesso).
Quindi, manca una forza coerentemente di sinistra.
E siamo forse l'unico paese europeo in queste condizioni. Dalle stelle alle stalle, è il caso di dirlo!
Il compito, la sfida più grossa oggi in Italia è proprio questa: ricostruire una forza di sinistra (e una comunista, le due cose possono e devono viaggiare in modo parallelo). Una sinistra che non sia nè subalterna ai poteri forti, come lo sono il PD e tutto ciò che gli ruota intorno, nè tantomeno settaria e marginale.
L'unica "rivoluzione" possibile in Italia, oggi come oggi, è questa.

domenica 5 maggio 2013

Governo Letta-Alfano. Ossia, BCE, USA e Vaticano dettano legge.

Alla fine, dopo mesi di "travaglio", è nato il nuovo governo. Il Governo LETTA-ALFANO.

Un governo PD-PdL (alla faccia del "voto utile" contro Berlusconi).
Non mi dilungo troppo sull'analisi di questo nuovo governo, che vedremo presto all'opera.
Dico solo che le premesse non fanno assolutamente ben sperare per i lavoratori, i disoccupati, i pensionati, insomma, per i ceti popolari.

A cominciare da Enrico Letta.
Il quale proviene dalla Margherita e il suo curriculum politico sprizza liberismo da tutti i pori.
Ma il dato più significativo è la sua frequentazione della massoneria mondiale, ossia, il Club Bilderberg (dicui hanno fatto parte anche Monti, Prodi, Draghi e Tremonti) e la Trilateral Commission.
Stiamo parlando di organismi ultra-elitari massoni che tentano di governare il mondo, anche attraverso guerre, colpi di stato, dittature, organizzazioni terroristiche e quant'altro.
La sua fedeltà agli organismi economici, tipo la BCE, che stanno portando alla rovina sempre più Stati europei (Grecia, Spagna, Portogallo, ma anche Italia) è indiscutibile.

Il Ministro degli Interni è Angelino Alfano. Devo aggiungere altro?

Il Ministro degli Esteri è Emma Bonino.
Parliamo di una, la cui collocazione filo-USA è inossidabile. E ciò in un contesto in cui l'Occidente -USA in testa, naturalmente- sta premendo sempre più per allargare il fronte della guerra (Afghanistan, Iraq, Libia. Ora Siria, domani probabilmente Iran). Spero proprio di sbagliarmi, ma temo che la Terza Guerra Mondiale si stia sempre più avvicinando.

Poi, abbiamo Quagliarello...(no comment!). Addirittura alle Riforme Istituzionali.
Registriamo, inoltre, il ritorno di Miccichè, come sottosegretario alla presidenza del Consiglio.



Che dire?
Diciamo che i poteri forti in Italia (USA, Germania, Vaticano e banche) sono ben rappresentati.
Gli interessi dei ceti popolari, viceversa, sono totalmente assenti.
Anche a questo è servito il "voto utile" al PD.

Staremo a vedere, ma dico fin da subito che personalmente non mi aspetto nulla di buono.
Anche perchè la protesta popolare e l'opposizione sono in mano ad una forza come il M5S, forza tanto "rumorosa", quanto in realtà poco chiara e assai ambigua sotto molti aspetti.

lunedì 22 aprile 2013

come ti distruggo la sinistra italiana (parte 2)

La svolta della Bolognina
La decisione del segretario del PCI, Achille Occhetto, nel 1989 di cambiare il nome -e soprattutto la sostanza- al più grande partito comunista dell'Occidente rappresenta sicuramente il fatto di gran lunga più grave e nefasto per la sinistra italiana tutta: un immenso patrimonio umano, professionale, politico, teorico, culturale (ecc. ecc.), punto di riferimento per milioni di lavoratori e per i ceti popolari (e non soltanto) viene definitivamente a mancare, con tutte le pesantissime conseguenze che ciò avrà.

Nonostante la proposta dell'ultimo (in tutti i sensi) segretario del PCI nascesse in modo apparentemente improvviso e dettata dalle circostanze (pochi giorni prima ci fu la caduta del Muro di Berlino) in realtà questa era stata di sicuro preparata già da tempo. Occhetto colse al balzo la preziosissima occasione degli eventi che stavano sconvolgendo l'Europa orientale, per realizzare ciò che lui, e tanti altri assieme a lui, avevano silenziosamente in mente da anni.
La morte del PCI è stato il primo anello di una lunga catena di divisioni, di disorientamenti, di lacerazioni, e soprattutto di spostamenti verso il centro della sinistra italiana.
Da allora quest'ultima è entrata in uno stato di agonia, fino a raggiungere, negli anni più recenti lo stato semi-comatoso, nel quale si ritrova adesso.

Dalle ceneri del PCI nacque il Partito Democratico della Sinistra (PdS), il quale, come già il PSI craxiano, si trasformerà in breve tempo in un partito non più di sinistra, a dispetto del nome. Infatti, se per "sinistra" si intende quantomeno una generica difesa dei lavoratori e dei ceti popolari, è chiaro che un partito che accetta la controriforma delle pensioni di Dini (ex ministro berlusconiano), approva le numerose privatizzazioni fatte dal Governo Prodi, nonchè la precarizzazione del lavoro (legge Treu), e tutto ciò senza ottenere nulla in cambio, non vedo proprio come possa essere considerato "di sinistra".
La successiva involuzione del PdS in DS e poi, amaris in fundo, nel Partito Democratico, chiarisce definitivamente ogni residuo dubbio in proposito (per chi lo vuole capire): oggi il PD è strettamente legato alle alte sfere del potere finanziario, oltre che delle gerarchie vaticane.


Le riforme elettorali
Un altro elemento che ha fortemente contribuito al declino e poi alla marginalizzazione della sinistra italiana sono state le riforme elettorali.
Si è iniziato con l'introduzione del sistema maggioritario (voluto, non a caso, anche dal PdS) nel 1993.

Tale sistema produce una distorsione della volontà dell'elettorato in senso centrista. Da allora numerosi elettori vengono spinti a non votare la forza politica preferita, bensì per il "meno peggio".
Il grande boom iniziale della neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi nel '94 è stato un primo effetto di tale mutamento.
In seguito sono stati introdotti altri meccanismi distorsori della volontà dell'elettorato: soglia di sbarramento e premi di maggioranza.
Tutte queste "riforme" sono finalizzate a garantire la vittoria alle forze centriste-conservatrici, a dispetto dei reali sentimenti popolari. Povera nostra Costituzione!


La questione sindacale
Un'altra cartina di tornasole che evidenzia in modo palese quanto tutto il panorama politico-economico-sindacale italiano abbia subito in questi ultimi decenni un'impressionante spostamento verso posizioni filo-padronali, è data dalle politiche sindacali.

La CGIL, in modo particolare, nel corso di questi decenni è arrivata ad accettare delle politiche di attacco ai ceti popolari, contro le quali solo pochi anni prima avrebbe fatto fuoco e fiamme.
Elenco sinteticamente i passaggi più importanti:
dalla "svolta dell'Eur", nel 1977, in cui la CGIL accettava la "politica dei sacrifici" (solo per i lavoratori), all'eliminazione della scala mobile, nel 1992; poi le "riforme" delle pensioni (Dini e Fornero), con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo (e quindi pensioni più basse) e con l'allungamento dell'età pensionabile (cosa che ha prodotto il fenomeno degli "esodati"), l'introduzione del precariato (legge Treu, prima, e poi legge 30) e il recentissimo attacco all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (povero Di Vittorio, altro che ribaltarsi nella tomba).

Ma, a differenza della CISL e della UIL, la CGIL rimane tuttavia un sindacato con robuste componenti sinceramente di sinistra, a partire dalla FIOM. Anzi, in questo contesto, le battaglie che quest'ultima sta portando avanti sono veramente encomiabili e se la CGIL vuole rimanere un sindacato che difende i lavoratori -e quindi di sinistra- dovrebbe ripartire proprio da ciò che fa la FIOM.

D'altronde a sinistra della CGIL s'è mosso poco. I vari Cobas per lunghi anni hanno faticato ad uscire da una dimensione infantilistico-estremista e spesso sono stati anche divisi tra di loro. La recente nascita dal loro seno dell'USB, però, è da seguire con interesse.
Sulla CISL e la UIL c'è poco da dire: se fino agli anni '70-'80 potevano ancora sembrare dei sindacati, oggi è veramente faticoso distinguerli dalla parte peggiore di Confindustria.

(continua)

lunedì 15 aprile 2013

come ti distruggo la sinistra italiana (parte 1)

Negli anni '60-'70 l'Italia aveva la sinistra più forte di tutta l'Europa occidentale.
Ed oltre ad essere forte, era una sinistra su posizioni, nel complesso, molto avanzate.
Il grosso era dovuto ovviamente al Partito Comunista Italiano: partito robusto, radicato, ben organizzato e ideologicamente forte e coeso. Ma soprattutto dotato di un enorme consenso popolare stabile. Consenso che andava assai al di là del voto.
Ma anche il secondo partito di sinistra, il Partito Socialista, aveva contenuti nettamente di sinistra (si parla naturalmente del PSI pre-craxiano).
E a tutto ciò vanno aggiunti il '68 e le forze della sinistra extraparlamentare.
La notevole influenza della sinistra sul mondo culturale, poi, era evidentissima.

A distanza di 40 anni sulla sinistra italiana sembrano essere passate ogni sotra di calamità naturali: terremoti, alluvioni, incendi. Di tutto!
Oggi la sinistra italiana è sicuramente tra quelle ridotte peggio nel panorama europeo e in preda ad una confusione e ad una crisi d'identità spaventosa.
Sintomo evidente di questa situazione è il fenomeno che possiamo chiamare del "voto ambulante": ossia, persone che ogni anno votano una forza politica diversa e spesso e volentieri non votano affatto.
Lo stesso luogo comune, oggi così diffuso nel Bel Paese (ma non all'estero), per cui si ritiene superata la distinzione tra "destra" e "sinistra" la dice lunga sullo stato comatoso in cui versa la sinistra italiana.

Come si è arrivati a tutto ciò?

Trattare tutti i numerosi passaggi richiederebbe un intero libro, e pure bello corposo. Mi limito qui a sviscerare solo quelli più significativi e le dinamiche di lungo tempo che hanno concorso a tale risultato disastroso, che ha dell'incredibile, se solo si pensa a quella che era la situazione di partenza, negli anni '70.

Un'altra premessa è doverosa: il lungo percorso in questione non è solamente il frutto di una precisa strategia -che comunque è esistita- bensì anche di fattori oggettivi. Fattori che, per motivi di spazio, mi limiterò solo ad accennarli: la delocalizzazione (ossia, lo spostamento della produzione all'estero), l'esternalizzazione (la quale, però, non è del tutto estranea alla strategia di cui sopra), la fine del campo sovietico tra l'89 e il '91, l'enorme ondata immigratoria (fenomeno che in Italia è "esploso" soprattutto a partire dagli anni '90), e l'esistenza, da noi più che in qualsiasi altro paese europeo, di una vasta e diffusa piccola-media borghesia (piccoli imprenditori, artigiani, negozianti, liberi professionisti, ecc.), la quale tende facilmente a spostarsi su posizioni destrorse, come in effetti è accaduto in Italia, influenzando anche i settori più popolari.

Ma veniamo al dunque.


Le prime sconfitte del PCI e della sinistra
il processo di decadenza del PCI inizia a manifestarsi già alla fine degli anni '70 (tralascio qui la gestione berlingueriana del partito, dato che, anche ciò, richiederebbe troppo spazio).
Di sicuro la vicenda legata ad Aldo Moro ha influito negativamente sul PCI, facendo fallire il Compromesso Storico e costringendo il partito ad un ripiego ("alternativa democratica").

La seconda "batosta" sulla sinistra non s'è fatta attendere: la "marcia dei 40 mila" dell'ottobre 1980, che ribaltò i rapporti di forza tra padronato e sindacati ed inaugurò una nuova stagione sindacale, basata sulla subordinazione, via via crescente, dei secondi al primo (con rari quanto effimeri episodi di "rialzamento di testa", come nel 2002, quando la CGIL di Cofferati si oppose -allora- all'abolizione dell'articolo 18, con una mobilitazione impressionante).
La sconfitta dell '80, segnando un indebolimento del movimento operaio, non poteva che ripercuotersi, col tempo, negativamente sulla sinistra politica, come si vedrà.


Il PSI craxiano
Con la gestione craxiana del Partito Socialista si crea un paradosso. Ossia, un partito formalmente "di sinistra" si trasforma in qualcosa di opposto, almeno in termini di politiche economiche. Il PSI degli anni '80, infatti, invece di difendere i ceti popolari e i lavoratori, sarà la punta di lancia per l'attacco al movimento operaio, con il pretesto di "modernizzare" l'Italia. Un "modernismo" tutto all'insegna del risorgente capitalismo liberista.
Il PSI non solo attaccherà i lavoratori (si pensi, ad esempio, al taglio della scala mobile), ma sposterà verso destra il più grande sindacato, la CGIL, grazie alla componente "socialista" interna, e addirittura condizionerà lo stesso PCI, tramite la corrente migliorista (di Napolitano), vera e propria "quinta colonna" del PSI dentro il PCI.



Ricapitolando, negli anni '80 la sinistra italiana da una parte perde un pezzo, ossia, il PSI, passato armi e bagagli dalla parte della borghesia; dall'altra parte si indebolisce -soprattutto ideologicamente- il PCI, e in modo più accelerato dopo la morte, nel 1984, di Enrico Berlinguer; dall'altra parte ancora perde vigore il movimento operaio, a partire dalla CGIL.
Ma ben altre nubi si addensano all'orizzonte.