lunedì 22 aprile 2013

come ti distruggo la sinistra italiana (parte 2)

La svolta della Bolognina
La decisione del segretario del PCI, Achille Occhetto, nel 1989 di cambiare il nome -e soprattutto la sostanza- al più grande partito comunista dell'Occidente rappresenta sicuramente il fatto di gran lunga più grave e nefasto per la sinistra italiana tutta: un immenso patrimonio umano, professionale, politico, teorico, culturale (ecc. ecc.), punto di riferimento per milioni di lavoratori e per i ceti popolari (e non soltanto) viene definitivamente a mancare, con tutte le pesantissime conseguenze che ciò avrà.

Nonostante la proposta dell'ultimo (in tutti i sensi) segretario del PCI nascesse in modo apparentemente improvviso e dettata dalle circostanze (pochi giorni prima ci fu la caduta del Muro di Berlino) in realtà questa era stata di sicuro preparata già da tempo. Occhetto colse al balzo la preziosissima occasione degli eventi che stavano sconvolgendo l'Europa orientale, per realizzare ciò che lui, e tanti altri assieme a lui, avevano silenziosamente in mente da anni.
La morte del PCI è stato il primo anello di una lunga catena di divisioni, di disorientamenti, di lacerazioni, e soprattutto di spostamenti verso il centro della sinistra italiana.
Da allora quest'ultima è entrata in uno stato di agonia, fino a raggiungere, negli anni più recenti lo stato semi-comatoso, nel quale si ritrova adesso.

Dalle ceneri del PCI nacque il Partito Democratico della Sinistra (PdS), il quale, come già il PSI craxiano, si trasformerà in breve tempo in un partito non più di sinistra, a dispetto del nome. Infatti, se per "sinistra" si intende quantomeno una generica difesa dei lavoratori e dei ceti popolari, è chiaro che un partito che accetta la controriforma delle pensioni di Dini (ex ministro berlusconiano), approva le numerose privatizzazioni fatte dal Governo Prodi, nonchè la precarizzazione del lavoro (legge Treu), e tutto ciò senza ottenere nulla in cambio, non vedo proprio come possa essere considerato "di sinistra".
La successiva involuzione del PdS in DS e poi, amaris in fundo, nel Partito Democratico, chiarisce definitivamente ogni residuo dubbio in proposito (per chi lo vuole capire): oggi il PD è strettamente legato alle alte sfere del potere finanziario, oltre che delle gerarchie vaticane.


Le riforme elettorali
Un altro elemento che ha fortemente contribuito al declino e poi alla marginalizzazione della sinistra italiana sono state le riforme elettorali.
Si è iniziato con l'introduzione del sistema maggioritario (voluto, non a caso, anche dal PdS) nel 1993.

Tale sistema produce una distorsione della volontà dell'elettorato in senso centrista. Da allora numerosi elettori vengono spinti a non votare la forza politica preferita, bensì per il "meno peggio".
Il grande boom iniziale della neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi nel '94 è stato un primo effetto di tale mutamento.
In seguito sono stati introdotti altri meccanismi distorsori della volontà dell'elettorato: soglia di sbarramento e premi di maggioranza.
Tutte queste "riforme" sono finalizzate a garantire la vittoria alle forze centriste-conservatrici, a dispetto dei reali sentimenti popolari. Povera nostra Costituzione!


La questione sindacale
Un'altra cartina di tornasole che evidenzia in modo palese quanto tutto il panorama politico-economico-sindacale italiano abbia subito in questi ultimi decenni un'impressionante spostamento verso posizioni filo-padronali, è data dalle politiche sindacali.

La CGIL, in modo particolare, nel corso di questi decenni è arrivata ad accettare delle politiche di attacco ai ceti popolari, contro le quali solo pochi anni prima avrebbe fatto fuoco e fiamme.
Elenco sinteticamente i passaggi più importanti:
dalla "svolta dell'Eur", nel 1977, in cui la CGIL accettava la "politica dei sacrifici" (solo per i lavoratori), all'eliminazione della scala mobile, nel 1992; poi le "riforme" delle pensioni (Dini e Fornero), con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo (e quindi pensioni più basse) e con l'allungamento dell'età pensionabile (cosa che ha prodotto il fenomeno degli "esodati"), l'introduzione del precariato (legge Treu, prima, e poi legge 30) e il recentissimo attacco all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (povero Di Vittorio, altro che ribaltarsi nella tomba).

Ma, a differenza della CISL e della UIL, la CGIL rimane tuttavia un sindacato con robuste componenti sinceramente di sinistra, a partire dalla FIOM. Anzi, in questo contesto, le battaglie che quest'ultima sta portando avanti sono veramente encomiabili e se la CGIL vuole rimanere un sindacato che difende i lavoratori -e quindi di sinistra- dovrebbe ripartire proprio da ciò che fa la FIOM.

D'altronde a sinistra della CGIL s'è mosso poco. I vari Cobas per lunghi anni hanno faticato ad uscire da una dimensione infantilistico-estremista e spesso sono stati anche divisi tra di loro. La recente nascita dal loro seno dell'USB, però, è da seguire con interesse.
Sulla CISL e la UIL c'è poco da dire: se fino agli anni '70-'80 potevano ancora sembrare dei sindacati, oggi è veramente faticoso distinguerli dalla parte peggiore di Confindustria.

(continua)

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