martedì 25 giugno 2013

Mamma, li turchi!

Non è facile provare a tracciare un quadro preciso degli avvenimenti recenti in Turchia, per chi, come me, in quel paese non ci ha mai messo piede, neanche da turista (ma mi riprometto prima o poi di andarci).
Ma da una serie di informazioni che mi sono giunte attraverso canali diversi di quelli abituali (TV, quotidiani, ecc.), alcune -parziali- considerazioni provo comunque a buttarle giù.

Intanto, la prima cosa da dire è che la rivolta del popolo turco non parte certo soltanto da una protesta di tipo ambientalista (ossia, la difesa dei 600 alberi del parco di Gezi).
Certo, tagliare 600 alberi in una metropoli già congestionata e cementificata come mi risulta essere Istanbul, per costruirci un centro commerciale (e una moschea) non è proprio un'ottima idea.
Ma c'è un problema anche di tipo storico-simbolico: Gezi Park e l'adiacente Piazza Taksim sono luoghi importanti legati al laicismo turco (è un po' come se a Roma buttassero giù la statua di Giordano Bruno per erigere un monumento ad un inquisitore).
Ed ecco qui che la rivolta inizia ad assumere dei contorni diversi.

Anche vedere la ribellione come una semplicistica contrapposizione tra laicismo e potere islamico è di sicuro quantomeno superficiale (l'elite laica tradizionale, legata al potere economico e soprattutto ai militari non è certo scesa in piazza).
L'intensità della lotta (e della sua repressione), la durata di questa e la sua diffusione in molte altre città della Turchia, lascia pensare che nel paese i problemi vanno ben oltre la difesa di Gezi Park.

Per quanto mi è dato di sapere, Erdogan (Capo del Governo del AKP, partito islamico moderato) è stato nel decennio scorso artefice di politiche liberiste e di "risanamento del debito pubblico", per ottemperare al diktat del FMI, a cui aveva richiesto e ottenuto un prestito.
Ciò ha comportato -come dovrebbe essere ormai ben noto anche in Europa- tagli ai servizi, privatizzazioni, abbassamento dei salari, delle pensioni, ecc.
Ossia, le stesse politiche di austerità che si stanno sempre più per attuare anche dalle nostre parti.

Inevitabilmente ciò ha causato un peggioramento delle condizioni di vita di gran parte della popolazione turca, nonostante l'economia di quel paese in questo decennio abbia conosciuto -nel complesso- una crescita sostenuta.
Tale situazione ha generato già negli anni scorsi delle lotte in vari settori del paese. E ciò a dispetto del fatto che i limiti imposti alla sindacalizzazione e ai partiti di sinistra (comunista in primis) siano stati fortissimi e i relativi militanti sono stati fatti spesso oggetto di repressione, arresti e torture (che, non si sa perchè, ma quando sono dei paesi "amici" a praticarle, da noi si chiude facilmente un occhio).

E in effetti la repressione del movimento di protesta turco è stata tremenda: una decina di morti, migliaia di arresti e centinaia di feriti.
Una repressione ancora più brutale per il fatto che è stata rivolta contro una protesta popolare poco organizzata e soprattutto disarmata.
E anche qui la reazione dei governi occidentali (così "sensibili ai diritti umani") è stata molto blanda: nessuno parla di Erdogan come di un dittatore sanguinario, nè della Turchia come di un regime da abbattere.

Un po' l'opposto di ciò che invece avviene nei confronti dellla Siria, dove i cosidetti "ribelli" fin da subito si sono organizzati in un esercito, sono ben armati (da chi?) e molti dei relativi militanti nemmeno sono siriani. I "ribelli" per giunta hanno usato armi chimiche (e non il governo, come ha dimostrato il Commissario ONU, Carla Del Ponte). Però la Siria -per l'Occidente- sarebbe un regime brutale e Assad un dittatore da abbattere (guarda caso, la Siria negli anni scorsi non si è mai piegata alle politiche degli USA-Israele in Medio Oriente, ma si tratta di un "dettaglio").

Tornando alla Turchia, probabilmente l'esito immediato della lotta non sarà positivo, nel senso che gli alberi saranno quasi certamente abbattuti per far posto al famigerato centro commerciale.
Ma la cosa veramente importante è che il popolo turco ha dimostrato innanzitutto a sè stesso e poi anche agli altri popoli che lottare si può, che lottare in molti casi è giusto, soprattutto se si tratta di una lotta condivisa da gran parte del popolo.
Ed è importante il fatto che al movimento di questi giorni si siano uniti anche numerosi lavoratori di varie città della Turchia.
Se tutto ciò sarà servito a sedimentare organizzazione e coscienza, allora sarà il vero successo di questa lotta.
Da cui molti altri popoli avrano da imparare. A cominciare da quello italiano.

1 commento:

  1. Erdogan deve stare attentino.. a prescindere dalla domanda di adesione alla UE che ovviamente subirà un arresto, penso che il processo verso la democrazia di molti popoli ad ogni latitudine, pur con tanti inevitabili ostacoli, è ormai inarrestabile, grazie evidentemente anche al web.
    Io continuerò anche a ripetere che Assad E' un dittatore: che poi dietro i ribelli ci sia anche la lunga mano di qualcuno che si può immaginare (ma per te Putin è meglio di Obama?..) resta il fatto che chi bombarda i civili - tante bambini e donne inclusi - è un criminale.
    Mi auguro comunque che si arrivi presto ad una conferenza a Ginevra.
    ciao

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