lunedì 22 aprile 2013

come ti distruggo la sinistra italiana (parte 2)

La svolta della Bolognina
La decisione del segretario del PCI, Achille Occhetto, nel 1989 di cambiare il nome -e soprattutto la sostanza- al più grande partito comunista dell'Occidente rappresenta sicuramente il fatto di gran lunga più grave e nefasto per la sinistra italiana tutta: un immenso patrimonio umano, professionale, politico, teorico, culturale (ecc. ecc.), punto di riferimento per milioni di lavoratori e per i ceti popolari (e non soltanto) viene definitivamente a mancare, con tutte le pesantissime conseguenze che ciò avrà.

Nonostante la proposta dell'ultimo (in tutti i sensi) segretario del PCI nascesse in modo apparentemente improvviso e dettata dalle circostanze (pochi giorni prima ci fu la caduta del Muro di Berlino) in realtà questa era stata di sicuro preparata già da tempo. Occhetto colse al balzo la preziosissima occasione degli eventi che stavano sconvolgendo l'Europa orientale, per realizzare ciò che lui, e tanti altri assieme a lui, avevano silenziosamente in mente da anni.
La morte del PCI è stato il primo anello di una lunga catena di divisioni, di disorientamenti, di lacerazioni, e soprattutto di spostamenti verso il centro della sinistra italiana.
Da allora quest'ultima è entrata in uno stato di agonia, fino a raggiungere, negli anni più recenti lo stato semi-comatoso, nel quale si ritrova adesso.

Dalle ceneri del PCI nacque il Partito Democratico della Sinistra (PdS), il quale, come già il PSI craxiano, si trasformerà in breve tempo in un partito non più di sinistra, a dispetto del nome. Infatti, se per "sinistra" si intende quantomeno una generica difesa dei lavoratori e dei ceti popolari, è chiaro che un partito che accetta la controriforma delle pensioni di Dini (ex ministro berlusconiano), approva le numerose privatizzazioni fatte dal Governo Prodi, nonchè la precarizzazione del lavoro (legge Treu), e tutto ciò senza ottenere nulla in cambio, non vedo proprio come possa essere considerato "di sinistra".
La successiva involuzione del PdS in DS e poi, amaris in fundo, nel Partito Democratico, chiarisce definitivamente ogni residuo dubbio in proposito (per chi lo vuole capire): oggi il PD è strettamente legato alle alte sfere del potere finanziario, oltre che delle gerarchie vaticane.


Le riforme elettorali
Un altro elemento che ha fortemente contribuito al declino e poi alla marginalizzazione della sinistra italiana sono state le riforme elettorali.
Si è iniziato con l'introduzione del sistema maggioritario (voluto, non a caso, anche dal PdS) nel 1993.

Tale sistema produce una distorsione della volontà dell'elettorato in senso centrista. Da allora numerosi elettori vengono spinti a non votare la forza politica preferita, bensì per il "meno peggio".
Il grande boom iniziale della neonata Forza Italia di Silvio Berlusconi nel '94 è stato un primo effetto di tale mutamento.
In seguito sono stati introdotti altri meccanismi distorsori della volontà dell'elettorato: soglia di sbarramento e premi di maggioranza.
Tutte queste "riforme" sono finalizzate a garantire la vittoria alle forze centriste-conservatrici, a dispetto dei reali sentimenti popolari. Povera nostra Costituzione!


La questione sindacale
Un'altra cartina di tornasole che evidenzia in modo palese quanto tutto il panorama politico-economico-sindacale italiano abbia subito in questi ultimi decenni un'impressionante spostamento verso posizioni filo-padronali, è data dalle politiche sindacali.

La CGIL, in modo particolare, nel corso di questi decenni è arrivata ad accettare delle politiche di attacco ai ceti popolari, contro le quali solo pochi anni prima avrebbe fatto fuoco e fiamme.
Elenco sinteticamente i passaggi più importanti:
dalla "svolta dell'Eur", nel 1977, in cui la CGIL accettava la "politica dei sacrifici" (solo per i lavoratori), all'eliminazione della scala mobile, nel 1992; poi le "riforme" delle pensioni (Dini e Fornero), con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo (e quindi pensioni più basse) e con l'allungamento dell'età pensionabile (cosa che ha prodotto il fenomeno degli "esodati"), l'introduzione del precariato (legge Treu, prima, e poi legge 30) e il recentissimo attacco all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (povero Di Vittorio, altro che ribaltarsi nella tomba).

Ma, a differenza della CISL e della UIL, la CGIL rimane tuttavia un sindacato con robuste componenti sinceramente di sinistra, a partire dalla FIOM. Anzi, in questo contesto, le battaglie che quest'ultima sta portando avanti sono veramente encomiabili e se la CGIL vuole rimanere un sindacato che difende i lavoratori -e quindi di sinistra- dovrebbe ripartire proprio da ciò che fa la FIOM.

D'altronde a sinistra della CGIL s'è mosso poco. I vari Cobas per lunghi anni hanno faticato ad uscire da una dimensione infantilistico-estremista e spesso sono stati anche divisi tra di loro. La recente nascita dal loro seno dell'USB, però, è da seguire con interesse.
Sulla CISL e la UIL c'è poco da dire: se fino agli anni '70-'80 potevano ancora sembrare dei sindacati, oggi è veramente faticoso distinguerli dalla parte peggiore di Confindustria.

(continua)

lunedì 15 aprile 2013

come ti distruggo la sinistra italiana (parte 1)

Negli anni '60-'70 l'Italia aveva la sinistra più forte di tutta l'Europa occidentale.
Ed oltre ad essere forte, era una sinistra su posizioni, nel complesso, molto avanzate.
Il grosso era dovuto ovviamente al Partito Comunista Italiano: partito robusto, radicato, ben organizzato e ideologicamente forte e coeso. Ma soprattutto dotato di un enorme consenso popolare stabile. Consenso che andava assai al di là del voto.
Ma anche il secondo partito di sinistra, il Partito Socialista, aveva contenuti nettamente di sinistra (si parla naturalmente del PSI pre-craxiano).
E a tutto ciò vanno aggiunti il '68 e le forze della sinistra extraparlamentare.
La notevole influenza della sinistra sul mondo culturale, poi, era evidentissima.

A distanza di 40 anni sulla sinistra italiana sembrano essere passate ogni sotra di calamità naturali: terremoti, alluvioni, incendi. Di tutto!
Oggi la sinistra italiana è sicuramente tra quelle ridotte peggio nel panorama europeo e in preda ad una confusione e ad una crisi d'identità spaventosa.
Sintomo evidente di questa situazione è il fenomeno che possiamo chiamare del "voto ambulante": ossia, persone che ogni anno votano una forza politica diversa e spesso e volentieri non votano affatto.
Lo stesso luogo comune, oggi così diffuso nel Bel Paese (ma non all'estero), per cui si ritiene superata la distinzione tra "destra" e "sinistra" la dice lunga sullo stato comatoso in cui versa la sinistra italiana.

Come si è arrivati a tutto ciò?

Trattare tutti i numerosi passaggi richiederebbe un intero libro, e pure bello corposo. Mi limito qui a sviscerare solo quelli più significativi e le dinamiche di lungo tempo che hanno concorso a tale risultato disastroso, che ha dell'incredibile, se solo si pensa a quella che era la situazione di partenza, negli anni '70.

Un'altra premessa è doverosa: il lungo percorso in questione non è solamente il frutto di una precisa strategia -che comunque è esistita- bensì anche di fattori oggettivi. Fattori che, per motivi di spazio, mi limiterò solo ad accennarli: la delocalizzazione (ossia, lo spostamento della produzione all'estero), l'esternalizzazione (la quale, però, non è del tutto estranea alla strategia di cui sopra), la fine del campo sovietico tra l'89 e il '91, l'enorme ondata immigratoria (fenomeno che in Italia è "esploso" soprattutto a partire dagli anni '90), e l'esistenza, da noi più che in qualsiasi altro paese europeo, di una vasta e diffusa piccola-media borghesia (piccoli imprenditori, artigiani, negozianti, liberi professionisti, ecc.), la quale tende facilmente a spostarsi su posizioni destrorse, come in effetti è accaduto in Italia, influenzando anche i settori più popolari.

Ma veniamo al dunque.


Le prime sconfitte del PCI e della sinistra
il processo di decadenza del PCI inizia a manifestarsi già alla fine degli anni '70 (tralascio qui la gestione berlingueriana del partito, dato che, anche ciò, richiederebbe troppo spazio).
Di sicuro la vicenda legata ad Aldo Moro ha influito negativamente sul PCI, facendo fallire il Compromesso Storico e costringendo il partito ad un ripiego ("alternativa democratica").

La seconda "batosta" sulla sinistra non s'è fatta attendere: la "marcia dei 40 mila" dell'ottobre 1980, che ribaltò i rapporti di forza tra padronato e sindacati ed inaugurò una nuova stagione sindacale, basata sulla subordinazione, via via crescente, dei secondi al primo (con rari quanto effimeri episodi di "rialzamento di testa", come nel 2002, quando la CGIL di Cofferati si oppose -allora- all'abolizione dell'articolo 18, con una mobilitazione impressionante).
La sconfitta dell '80, segnando un indebolimento del movimento operaio, non poteva che ripercuotersi, col tempo, negativamente sulla sinistra politica, come si vedrà.


Il PSI craxiano
Con la gestione craxiana del Partito Socialista si crea un paradosso. Ossia, un partito formalmente "di sinistra" si trasforma in qualcosa di opposto, almeno in termini di politiche economiche. Il PSI degli anni '80, infatti, invece di difendere i ceti popolari e i lavoratori, sarà la punta di lancia per l'attacco al movimento operaio, con il pretesto di "modernizzare" l'Italia. Un "modernismo" tutto all'insegna del risorgente capitalismo liberista.
Il PSI non solo attaccherà i lavoratori (si pensi, ad esempio, al taglio della scala mobile), ma sposterà verso destra il più grande sindacato, la CGIL, grazie alla componente "socialista" interna, e addirittura condizionerà lo stesso PCI, tramite la corrente migliorista (di Napolitano), vera e propria "quinta colonna" del PSI dentro il PCI.



Ricapitolando, negli anni '80 la sinistra italiana da una parte perde un pezzo, ossia, il PSI, passato armi e bagagli dalla parte della borghesia; dall'altra parte si indebolisce -soprattutto ideologicamente- il PCI, e in modo più accelerato dopo la morte, nel 1984, di Enrico Berlinguer; dall'altra parte ancora perde vigore il movimento operaio, a partire dalla CGIL.
Ma ben altre nubi si addensano all'orizzonte.

martedì 19 marzo 2013

Movimento 5 Stelle: giusta protesta, modo sbagliato

Non ci sono dubbi: il vero vincitore delle elezioni politiche di questo febbraio è stato il Movimento 5 Stelle.
L'enorme successo, superiore alle aspettative, dei "grillini" ha molte cause. Provo a dare una mia interpretazione di questo vero e proprio "boom".

Qualcuno ha detto -giustamente- che sono state complessivamente punite le forze che hanno sostenuto le politiche di austerità imposteci dall'Europa (delle banche) e portate avanti da Berlusconi prima, e, con maggior vigore, da Monti poi.
Ossia, il PD, il PdL e soprattutto la Lista Monti (non darei molta importanza al recupero finale del PdL; a me sembra assai più significativo il fatto che tale partito, in termini assoluti, ha perso quasi la metà dei voti, rispetto al 2008).
E' stato pure detto -anche qui giustamente- che Grillo ha preso sia voti di sinistra, che voti di destra.

Parto da queste due considerazioni per fare un tentativo di analisi. E' evidente che il M5S è riuscito a catalizzare il voto di una grossa fetta di quei settori sociali che hanno subito pesantemente negli ultimi anni gli effetti della crisi economica (connaturata al capitalismo), nonchè delle politiche di austerità e di tagli che l'Europa ci ha imposto, e che hanno peggiorato la situazione, senza peraltro risolvere il problema del debito pubblico.
Tali settori sociali sono la piccola-media borghesia, da una parte (negozi, aziende, laboratori artigianali, studi professionisti che chiudono) e ancora di più i lavoratori, i disoccupati, i precari, i pensionati, ossia, i ceti proletari, dall'altra.
Secondo alcuni sondaggi, sembra che siano stati proprio i disoccupati la categoria che ha votato maggiormente il M5S.

Il fotre e crescente malcontento, dovuto all'evidente peggioramento delle condizioni di vita, ha trovato -almeno per il momento- espressione politica nei "vaffanculo" di Beppe Grillo (oltre che nell'astensionismo).
Un malcontento sicuramente giusto e comprensibile. Ma, secondo me, diretto male.
Perchè penso questo?
Di motivi ce ne sono parecchi, ma tento di sintetizzarli e di sviscerarne quelli principali.

A dispetto dell'immagine che Grillo dà di sè, ossia, di un uomo deciso, determinato e con le idee molto chiare, il suo vero obiettivo in realtà non è affatto chiaro.
Certo, nei suoi discorsi ognuno ci può vedere delle cose giuste e condivisibili. Egli dice tutto e il contrario di tutto -qualche volta pure contraddicendosi- e quindi se ci si ferma alle singole frasi è praticamente impossibile non trovarne almeno una condivisibile.
Ma chi è in grado di dire che cosa poi il M5S riuscirà concretamente a fare?

Nei monologhi di Grillo c'è molta ambiguità: egli, ad esempio, fa spesso dei discorsi, nei quali sembra criticare alcuni aspetti del capitalismo. Ma poi, sorprendentemente, difende il modo di funzionamento di esso in altri paesi. Dunque, sembra anti-capitalista, ma non lo è affatto. E, allo stesso modo, non ha neanche mai messo in discussione le politiche liberiste.
A sentire lui, pare che i problemi dell'Italia si possano risolvere semplicemente togliendo qualche soldo al ceto politico (e ai partiti). Ossia, in termini di bilancio nazionale stiamo parlando di briciole.
Sull'impressionante livello di evasione fiscale, che vede l'Italia al primo posto in Europa e tra i primi nel mondo, Beppe Grillo non dice una parola.
E così non parla di patrimoniale, nè di far pagare le tasse anche alla Chiesa Cattolica.

Il comico genovese, inoltre, è contrario a ripristinare l'articolo 18, vuole tagliare le pensioni e l'impiego pubblico. Anche su questi argomenti, dunque, è perfettamente in linea con le grandi forze politiche (PD, PdL, Monti).

Un altro elemento che lascia molto perplessi nel Movimento 5 Stelle sta nel suo palese ultra-verticismo. D'altronde esso è un'associazione con tanto di intestatari (Beppe Grillo, il nipote e il commercialista) e le decisioni, alla fine, le prende lui. Sotto l'evidente influenza del miliardario Gianroberto Casaleggio, la vera mente del M5S.

Come se tutto ciò non bastasse, desta non poca preoccupazione l'intervento dell'ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, David Thorne, nel quale ha esplicitamente elogiato il M5S.
Considerando quanta influenza hanno avuto gli USA sulla politica italiana dal dopoguerra ad oggi, la cosa dà veramente molto da riflettere.

Rimango dell'idea che in Italia vada costruita una forte opposizione alle politiche di austerità che ci impone l'Europa e alle politiche liberiste in genere, che stanno impoverendo gran parte degli italiani (e degli altri popoli europei). Ma deve essere un'opposizione SERIA e CHIARA.
La chiarezza non viene da chi urla più forte, nè dai "vaffanculo", bensì dalla linea politica e dall'ideologia (scusate la bestemmia) di fondo.

sabato 9 marzo 2013

Hugo Chàvez: l'emancipazione del Venezuela e del Sudamerica


Non sono ancora passate -al momento in cui scrivo- 72 ore dalla morte di Hugo Chàvez, che il Presidente del Venezuela è già entrato nel mondo della leggenda.
E a ben ragione: di persone eccezionali come lui non ne nascono spesso.

Il giudizio che da noi in Occidente -anche a "sinistra"- è stato dato su di lui è quello che sarebbe (stato) un semi-dittatore e populista.
Curioso, visto che Chàvez ha vinto per ben 4 volte le elezioni presidenziali venezuelane e questo in un contesto -merito tra l'altro proprio delle sue politiche- di forte incremento della partecipazione politica popolare (mentre da noi in Europa, viceversa, l'astensionismo è in continuo aumento).

E in effetti forse uno maggiori meriti di Chàvez e della Rivoluzione Bolivariana è quello di aver dato dignità e reso pienamente cittadini milioni di poveri un tempo emarginati, che vivevano nelle baraccopoli, in condizioni di miseria morale e materiale (la povertà è scesa dal 49 al 27% della popolazione).

Per stilare un elenco esaustivo di tutte le misure che, grazie a Chàvez, hanno contribuito a far uscire gran parte della popolazione dalla povertà e che hanno emancipato un paese -come il Venezuela- dalla storica condizione di forte subordinazione agli USA, non basterebbe un articolo come questo: dalle politiche di alfabetizzazione e istruzione di tutta la popolazione (anche quella finora esclusa), all'istituzione -grazie all'aiuto di medici cubani- di presidi sanitari nelle baraccopoli, alla costruzione di case popolari, alla creazione di cooperative che danno lavoro a tanti disoccupati, l'elenco è lunghissimo e troppe cose mi dimentico.

Ciò è potuto accadere, certo, grazie ai proventi del petrolio, di cui il Venezuela è ricchissimo, ma se prima di Chàvez questo enorme patrimonio andava ad arricchire solo le multinazionali americane e l'oligarchia venezuelana (quella ora anti-chavista), adesso serve per dare benessere, istruzione e sviluppo a tutto il popolo.

Ma una delle più grandi imprese che è riuscita a Chàvez è stata quella, per niente semplice -molti prima di lui hanno pagato con la vita per questo- di essersi scrollato di dosso il potente dominio degli USA.
E di essere stato da motore affinchè altri paesi, anche più grandi e determinanti, come il Brasile e l'Argentina, ma anche la Bolivia, l'Ecuador, e altri ancora si sganciassero da tale subordinazione. Realizzando così un'impresa, che solo fino a pochi anni fa sembrava impossibile: emancipare un intero continente (gran parte di esso) dalla secolare condizione di "cortile di casa" degli Stati Uniti.
Condizione che in passato ha portato a sfruttamento, colpi di Stato e dittature sanguinarie, nonchè politiche liberiste, che hanno portato impoverimento e bloccato lo sviluppo economico (lo stesso che sta ora accadendo in molti paesi europei).

Ma sorge legittima una domanda: di che cosa è morto Chàvez?
Di tumore, come si sa.
Non perchè uno voglia vedere per forza dei "complotti" dietro ogni cosa, ma il fatto strano è che negli anni recenti sono stati colpiti dallo stesso male tutti i presidenti sudamericani che hanno praticato una politica di allontanamento dal dominio americano. E soltanto quelli.
Ignacio Lula e Wilma Roussef in Brasile, Cristina Fernandez in Argentina, Fidel Castro a Cuba, Fernando Lugo in Paraguay.
Viceversa, a nessun presidente filo-americano è toccata sorte analoga.
Pura coincidenza?

Non sappiamo se la CIA stia adottando questo sistema per combattere tutti gli esponenti politici scomodi. Ma se questo fosse vero, non tengono presente un fatto: che dietro questi leaders ci sono dei popoli.
E dei popoli che hanno sofferto sulla propria pelle che cosa significa la suddittanza agli USA e alle politiche liberiste. E che ora che hanno iniziato un percorso di emancipazione non accetteranno così facilmente di ritornare ad una condizione servile e di miseria. Sarà con loro che gli Stati Uniti dovranno vedersela.

Un'ultima cosa: l'importanza di uno come Chàvez sta nel fatto che ha dimostrato che uscire dalle politiche liberiste SI PUO'.
E' un esempio anche per noi, che stiamo iniziando ad "assaporare" sempre più le delizie delle politiche liberiste, a suon di tagli ai servizi, alla sanità e alle pensioni, aumento della disoccupazione e della precarietà, e generale impoverimento della popolazione.

mercoledì 27 febbraio 2013

elezioni 2013: vince la confusione

Esiste un detto, tutto italiano: "non so più a quale santo votarmi".
Mi pare che rifletta abbastanza bene l'atteggiamento di milioni di elettori italiani in quest'ultima tornata elettorale. Certo, rimane un problema il fatto che la grande maggioranza degli abitanti dello Stivale abbia ancora bisogno di un "santo" a cui aggrapparsi. Una maggiore partecipazione di tutti/e sarebbe auspicabile.

Diciamo che, grosso modo, il voto è diviso in tre parti (astensionismo a parte): PD, Berlusconi e il M5S.
I primi due sono voti in larghissima parte conservatori.
Laddove il PD continua ad essere votato un po' perchè gestisce grosse fette di potere e un po' perchè viene ancora percepito (ma, via via, sempre meno) come partito "di sinistra", pur non essendolo più da tempo.
Berlusconi viene eletto da tutti quei settori borghesi -soprattutto piccola-media borghesia- che sotto l'onda della crisi economica e delle misure di massacro sociale (che, ironia della sorte, lo stesso Berlusconi ha portato avanti) si stanno impoverendo. Migliaia e migliaia sono le piccole imprese, negozi, laboratori che stanno chiudendo.
Questi settori piccolo-borghesi si stanno proletarizzando e la prima reazione, quasi istintiva, è quella di aggrapparsi dove possono -per non cadere- anche ad un personaggio molto discutibile come il Cavaliere. Purchè lo percepiscano come loro "difensore".

Il voto a Grillo.
Premetto che nutro scarsa fiducia in una persona che dice tutto e il contrario di tutto (magari anche cose giustissime, ma poi spesso si contraddice, anche se non lo dà a vedere) e che si limita a criticare, o a fare proposte demagogiche, molto "scenografiche", ma alla fine poco determinanti o poco realistiche.
Bisogna dire, però, che egli -grazie anche ai milioni suoi e di Casaleggio, certo- è riuscito a dare una fortissima immagine di "rivoluzionario" e a catalizzare una volontà di cambiamento, che sta emergendo prepotentemente nel nostro paese.
Il M5S rappresenta sia settori piccolo-borghesi (quelli particolarmente "avvelenati"), che ceti proletari, che si sentono orfani della sinistra e che esprimono come possono la loro giusta protesta.

Questi ultimi settori rappresentano forse la parte più "sana" del paese. Anche se la loro forma di protesta risente della confusione politico-ideologica generale dominante in Italia, nonchè del solito potente impatto mass-mediatico. E quindi finiscono per "aggrapparsi" all'uomo (che appare) forte, convinti che rigenererà catarticamente la politica italiana e magari gli risolverà i loro problemi.
Su questo sono estremamente scettico: cessata l'ubriacatura contestatrice, sarà poi la concreta gestione del potere che rivelerà chi è veramente Grillo.


Infine, non posso nascondere la mia profonda delusione per il risultato della Lista Ingroia-Rivoluzione Civile, lista che ho sostenuto.
E qui il problema è da una parte oggettivo e dall'altra, però, anche soggettivo.
Oggettivo per diversi motivi: vent'anni e più di campagna ideologica anticomunista e soprattutto in favore di un generico "nuovismo" e dell'antipartitismo ci penalizzano fortemente. A ciò si aggiungono i meccanismi elettorali "stritolanti" e la forte spettacolarizzazione mass-mediatica della politica, che oggettivamente favorisce forze o soggetti capaci di comunicare, ma che possono anche spendere ingenti risorse in ciò (Berlusconi, Grillo). E anche l'atteggiamento ostracistico nei nostri confronti portato avanti dal PD ha fatto la sua parte.

E ora veniamo al discorso soggettivo, ossia ai limiti intrinseci della Lista Ingroia e delle forze politiche che la compongono.
Per la seconda volta (dopo la "Sinistra-Arcobaleno") presentiamo una lista ultra-eterogenea, fatta all'ultimo momento e dall'identità poco definita. E ne paghiamo le conseguenze.
Qui tralascio Di Pietro, che personalmente mi interessa poco, e passo ai due partiti che mi interessano di più: Rifondazione Comunista e il PdCI.
Di sicuro la annunciata, ma poi mancata, riunificazione dei due partiti negli anni scorsi non ha giovato. La ricostruzione di un partito comunista un po' più grande e unito avrebbe evitato intanto di aggiungere confusione su confusione in un elettorato già troppo confuso.
Ma ovviamente non basta questo. Ci sono dei limiti -trasversali ad entrambi i partiti- che vanno riconosciuti per, si spera, superarli.
Il limite più grosso che è chiaramente emerso, sta sicuramente nel fatto di non avere il polso della situazione e degli orientamenti politici dei settori a cui dovremmo fare riferimento (e non certo dell'elettorato tout-court), ossia, i ceti popolari, i lavoratori, i proletari.
Questo rimanda a due nostri limiti: la mancanza di radicamento sociale e nei luoghi di lavoro e l'incapacità di leggere e capire le dinamiche sociali e di classe e i loro risvolti politici.

Per ora mi fermo qui. La situazione generale continua ad essere confusa e molto dinamica. Ma la crisi economica e l'impoverimento crescente di gran parte degli italiani, alla lunga dovrebbe portare a rafforzare quelle forze politiche che per davvero -e non solo a parole, o a urli- lavoreranno alla costruzione di un'alternativa alle politiche liberiste.
Staremo a vedere.

lunedì 18 febbraio 2013

Ingroia-Rivoluzione Civile: costruiamo un'opposizione seria

Forse mai come in queste prossime elezioni le opinioni di chi deve recarsi alle urne sono così confuse. In Italia, infatti, negli ultimi anni sembra essere accaduto tutto e il contrario di tutto.

La "sinistra" (quella per lo più percepita come tale, ossia il PD) ha appoggiato -assieme a Berlusconi- tutte le misure di massacro sociale promosse dall'ultimo governo, quello Monti: tagli alle pensioni, cancellazione dell'articolo 18, tagli alla sanità, alle scuole e una tassa, l'IMU, fatta per colpire soprattutti i ceti medio-bassi. Sempre la "sinistra" ha tanto criticato Berlusconi, ma poi non ne ha mai ridimensionato il potere quando lo poteva fare (facendo una legge sul conflitto di interessi, tanto per dirne una).

Le destre, dal canto loro, dopo aver per anni sbraitato (mi riferisco soprattutto alla Lega e alla componente ex AN del PdL) che ci voleva più sicurezza, più rispetto per le leggi, più onestà e moralismo, meno "consociativismo", si sono poi ritrovate poi coinvolte nei vari scandali più o meno come gli altri, se non di più. Per quanto riguarda la "sicurezza", risultati concreti sono praticamente inesistenti (tranne qualche provvedimento folkloristico, tipo ronde, militari per le strade, vigili armati...).

A dare la parvenza di una ribellione contro tutto il sistema politico nostrano c'è Beppe Grillo. Ma alla sua estrema radicalità e determinazione molto ostentate mass-mediaticamente fino all'eccesso, non corrisponde poi un programma altrettanto incisivo: manca una qualsiasi traccia di lotta all'evasione fiscale, di una legge patrimoniale, di un impegno a far pagare chi finora non l'ha fatto (Chiesa in primis). Con la sola riduzione dei privilegi ai politici -pur sacrosanta- ci fai molto poco.
E mancano tante altre cose, ma su questo tornerò.
Dunque, il "ribellismo" di Grillo è sterile in partenza e non fa che aggiungere confusione a confusione.

Di fronte a tanta confusione, che fare? Astenersi?
Sarebbe come arrendersi.
Quand'anche il 90% degli italiani dovesse non votare, per i "politici" non cambierebbe proprio niente. O, meglio, si sentirebbero ancora più legittimati a perseguire interessi contrari a quelli della maggioranza della popolazione italiana, visto che avrebbero meno elettori a cui dover rendere conto.



Forse l'unico elemento di chiarezza che emerge in questa campagna elettorale è dato dalla Lista Ingroia- Rivoluzione Civile.
Intanto perchè è l'unica lista a collocarsi chiaramente a sinistra, in modo netto e soprattutto SOSTANZIALE.
Sostanziale, perchè nel suo programma ci sono tutti i punti principali che caratterizzano oggi una politica di sinistra: ripristino dell'articolo 18, tassa patrimoniale, pensioni, scuola, sanità, ecologia, giustizia, investimenti produttivi, ecc.

Qualcuno potrebbe obiettare che però Rivoluzione Civile non potrà mai attuare concretamente tali riforme, dal momento che al governo è destinata a non andarci.
Questo è vero.
Ma è anche vero che mai come oggi chi va al governo ha la strada già fortemente tracciata. Grazie ad un provvedimento che l'Europa delle banche ci ha imposto, e di cui -non a caso- quasi nessuno parla, e che si chiama FISCAL COMPACT.
Tale misura impone all'Italia tagli di decine di miliardi l'anno da qui ai prossimi vent'anni (fino a che il ns debito pubblico non si ridurrà dal 127% sul Pil di oggi (tra l'altro cresciuto sotto il Governo Monti) fino al 60% (obbiettivo, in queste condizioni, più folle, che utopistico).
Dunque, aspettiamoci ulteriori e ancora più drastici tagli all'occupazione, alla sanità, alle pensioni, alle scuole, ecc, finchè non arriveremo forse anche noi ad assaltare i supermercati, come pare stiano facendo in Grecia.

Quindi, oggi come oggi, l'unica cosa sensata è puntare a costruire una forte opposizione politica. E, però, contemporaneamente, lavorare -tutte/i- anche e soprattutto nel sociale: prepararci per portare avanti lotte, battaglie per la difesa del lavoro e dei servizi essenziali, costruendo un vasto fronte di lotta popolare per tutelare i nostri diritti-interessi.
Per questo motivo è importante una buona affermazione di Rivoluzione Civile.

mercoledì 6 febbraio 2013

Il lavoro è molto più importante dell'IMU

Le tematiche di cui si parla in questa campagna elettorale possono essere una buona cartina di tornasole per capire -al di là di tanta propaganda- gli orientamenti delle varie forze politiche.

Cominciamo dall'ultima "sparata" di Berlusconi sulla presunta restituzione dell'IMU ai cittadini italiani. Come se l'introduzione di questa tassa non fosse stata votata pure da lui (oltrechè da Bersani).
In effetti va detto che la tassa sulla prima casa è stata una manovra tesa a colpire -almeno nel modo come è stata concepita- soprattutto i ceti popolari (andava fatta in modo da colpire semmai più gli appartamenti di lusso e chi ne possiede parecchi).

Ma a me non sembra che sia l'IMU il problema numero uno per la maggior parte degli italiani nel 2013. Molto più grave è il problema del lavoro.
La disoccupazione è in crescita (lo dicono già i dati ufficiali, i quali comunque sottostimano il fenomeno). Ma, più che la disoccupazione in sè, il vero dramma per milioni di italiani, soprattutto -ma non solo- giovani, è il binomio disoccupazione-precariato, che mina la prospettiva di un futuro per un'intera generazione, lasciandola senza prospettive.
A tutto ciò va aggiunto il problema degli esodati.
Ma oggi come oggi, anche chi ha la fortuna di avere un lavoro fisso e garantito non sta, in gran parte dei casi, poi tanto meglio. Questo perchè intanto la maggior parte dei lavoratori italiani percepisce salari tra i più bassi d'Europa. E poi perchè i diritti e le garanzie dei lavoratori dipendenti tendono ad essere sempre più erose dalle varie "riforme" (vedi, ad esempio, la cancellazione dell'articolo 18).

Ma non c'è neanche solo il lavoro. Numerosissimi italiani risentono sempre più dei continui e sempre più pesanti tagli ai servizi socio-sanitari, alle scuole, alle pensioni, ecc., che spesso passano sotto forma di tagli agli Enti Locali da parte dello Stato.



In questa campagna elettorale chi è che parla di questi temi? In pochi!
Il PD parla solo di Italia "più giusta". Che vuol dire tutto e niente. Parla di "voto utile" (per chi?) e comunque, al di là di qualche debole distinguo, il rapporto di alleanza con Monti sembra alquanto inossidabile.
Sul PDL c'è poco da aggiungere. Berlusconi può dire tutto e il contrario di tutto (è espertissimo in ciò), ma mi sembra che ormai la stessa gente di destra non gli stia dando più così tanto credito.

Neanche Grillo dice granchè su quei temi.
Al di là delle sue "sparate" molto spettacolari e (a parole) ultra-estremiste, mi sembra che non vada a toccare i punti salienti del problema, limitandosi a farsi portavoce del superficiale -per non dire banale- astio che gli italiani da sempre nutrono verso "i politici" (tra l'altro senza fare distinzioni). E con proposte radicali all'apparenza, ma poco sostanziosi nei fatti.

Nichi Vendola è uno dei pochi che dice cose giuste e parla del problema lavoro e delle altre questioni.
La domanda, però, che mi pongo rispetto a SEL è: in che modo e quanto pensa di poter influire sul futuro governo?
Se -come sembra ormai abbastanza sicuro- il PD andrà a fare un governo con l'UDC e con Monti Sel che cosa farà? La carta d'intenti di Bersani, infatti, costringerà i deputati di SEL a votare secondo la maggioranza, e, quindi, come vuole il PD.
Sel deciderà di uscire? Ma allora non sarebbe stato meglio allearsi fin da subito con Ingroia-Rivoluzione Civile?
Tra l'altro non va dimenticato un punto fondamentale, cioè che il prossimo governo sarà quasi sicuramente costretto a fare altre manovre "lacrime e sangue". Il fiscal compact e il Pareggio di Bilancio in Costituzione (votati sia dal PD che dal PDL), nonchè tutti i vari condizionamenti europei, bancari e vaticani, non lasciano troppo scampo.

Credo che oggi l'unica cosa che abbia senso per difendere il pesante attacco che si sta portando avanti contro i ceti popolari, sia quello di costruire una forte opposizione.
Partendo dalle tematiche del lavoro, delle pensioni, della sanità, della scuola e della pace.

La Lista Ingroia – Rivoluzione Civile non parla solo di legalità. Tema, peraltro, importantissimo, in un paese come l'Italia, afflitto da varie e ataviche forme di illegalità, che spesso impediscono un vero sviluppo del paese e ci riempiono di ridicolo all'estero.
Parla anche -unica lista- di ripristino dell'articolo 18 e del valore del contratto nazionale. Della democrazia nei luoghi di lavoro.
Parla -unica lista- di introduzione di una legge patrimoniale.
Poi, di laicità e diritti civili, di cultura, istruzione, ricerca. Di salute e ambiente. Della questione morale (e lo fa anche meglio di Grillo). E di pace.
Importante quest'ultimo tema oggi che i rischi di conflitti sempre più estesi ci riguardano sempre di più.

Questi sono i temi veramente importanti.