mercoledì 27 febbraio 2013

elezioni 2013: vince la confusione

Esiste un detto, tutto italiano: "non so più a quale santo votarmi".
Mi pare che rifletta abbastanza bene l'atteggiamento di milioni di elettori italiani in quest'ultima tornata elettorale. Certo, rimane un problema il fatto che la grande maggioranza degli abitanti dello Stivale abbia ancora bisogno di un "santo" a cui aggrapparsi. Una maggiore partecipazione di tutti/e sarebbe auspicabile.

Diciamo che, grosso modo, il voto è diviso in tre parti (astensionismo a parte): PD, Berlusconi e il M5S.
I primi due sono voti in larghissima parte conservatori.
Laddove il PD continua ad essere votato un po' perchè gestisce grosse fette di potere e un po' perchè viene ancora percepito (ma, via via, sempre meno) come partito "di sinistra", pur non essendolo più da tempo.
Berlusconi viene eletto da tutti quei settori borghesi -soprattutto piccola-media borghesia- che sotto l'onda della crisi economica e delle misure di massacro sociale (che, ironia della sorte, lo stesso Berlusconi ha portato avanti) si stanno impoverendo. Migliaia e migliaia sono le piccole imprese, negozi, laboratori che stanno chiudendo.
Questi settori piccolo-borghesi si stanno proletarizzando e la prima reazione, quasi istintiva, è quella di aggrapparsi dove possono -per non cadere- anche ad un personaggio molto discutibile come il Cavaliere. Purchè lo percepiscano come loro "difensore".

Il voto a Grillo.
Premetto che nutro scarsa fiducia in una persona che dice tutto e il contrario di tutto (magari anche cose giustissime, ma poi spesso si contraddice, anche se non lo dà a vedere) e che si limita a criticare, o a fare proposte demagogiche, molto "scenografiche", ma alla fine poco determinanti o poco realistiche.
Bisogna dire, però, che egli -grazie anche ai milioni suoi e di Casaleggio, certo- è riuscito a dare una fortissima immagine di "rivoluzionario" e a catalizzare una volontà di cambiamento, che sta emergendo prepotentemente nel nostro paese.
Il M5S rappresenta sia settori piccolo-borghesi (quelli particolarmente "avvelenati"), che ceti proletari, che si sentono orfani della sinistra e che esprimono come possono la loro giusta protesta.

Questi ultimi settori rappresentano forse la parte più "sana" del paese. Anche se la loro forma di protesta risente della confusione politico-ideologica generale dominante in Italia, nonchè del solito potente impatto mass-mediatico. E quindi finiscono per "aggrapparsi" all'uomo (che appare) forte, convinti che rigenererà catarticamente la politica italiana e magari gli risolverà i loro problemi.
Su questo sono estremamente scettico: cessata l'ubriacatura contestatrice, sarà poi la concreta gestione del potere che rivelerà chi è veramente Grillo.


Infine, non posso nascondere la mia profonda delusione per il risultato della Lista Ingroia-Rivoluzione Civile, lista che ho sostenuto.
E qui il problema è da una parte oggettivo e dall'altra, però, anche soggettivo.
Oggettivo per diversi motivi: vent'anni e più di campagna ideologica anticomunista e soprattutto in favore di un generico "nuovismo" e dell'antipartitismo ci penalizzano fortemente. A ciò si aggiungono i meccanismi elettorali "stritolanti" e la forte spettacolarizzazione mass-mediatica della politica, che oggettivamente favorisce forze o soggetti capaci di comunicare, ma che possono anche spendere ingenti risorse in ciò (Berlusconi, Grillo). E anche l'atteggiamento ostracistico nei nostri confronti portato avanti dal PD ha fatto la sua parte.

E ora veniamo al discorso soggettivo, ossia ai limiti intrinseci della Lista Ingroia e delle forze politiche che la compongono.
Per la seconda volta (dopo la "Sinistra-Arcobaleno") presentiamo una lista ultra-eterogenea, fatta all'ultimo momento e dall'identità poco definita. E ne paghiamo le conseguenze.
Qui tralascio Di Pietro, che personalmente mi interessa poco, e passo ai due partiti che mi interessano di più: Rifondazione Comunista e il PdCI.
Di sicuro la annunciata, ma poi mancata, riunificazione dei due partiti negli anni scorsi non ha giovato. La ricostruzione di un partito comunista un po' più grande e unito avrebbe evitato intanto di aggiungere confusione su confusione in un elettorato già troppo confuso.
Ma ovviamente non basta questo. Ci sono dei limiti -trasversali ad entrambi i partiti- che vanno riconosciuti per, si spera, superarli.
Il limite più grosso che è chiaramente emerso, sta sicuramente nel fatto di non avere il polso della situazione e degli orientamenti politici dei settori a cui dovremmo fare riferimento (e non certo dell'elettorato tout-court), ossia, i ceti popolari, i lavoratori, i proletari.
Questo rimanda a due nostri limiti: la mancanza di radicamento sociale e nei luoghi di lavoro e l'incapacità di leggere e capire le dinamiche sociali e di classe e i loro risvolti politici.

Per ora mi fermo qui. La situazione generale continua ad essere confusa e molto dinamica. Ma la crisi economica e l'impoverimento crescente di gran parte degli italiani, alla lunga dovrebbe portare a rafforzare quelle forze politiche che per davvero -e non solo a parole, o a urli- lavoreranno alla costruzione di un'alternativa alle politiche liberiste.
Staremo a vedere.

lunedì 18 febbraio 2013

Ingroia-Rivoluzione Civile: costruiamo un'opposizione seria

Forse mai come in queste prossime elezioni le opinioni di chi deve recarsi alle urne sono così confuse. In Italia, infatti, negli ultimi anni sembra essere accaduto tutto e il contrario di tutto.

La "sinistra" (quella per lo più percepita come tale, ossia il PD) ha appoggiato -assieme a Berlusconi- tutte le misure di massacro sociale promosse dall'ultimo governo, quello Monti: tagli alle pensioni, cancellazione dell'articolo 18, tagli alla sanità, alle scuole e una tassa, l'IMU, fatta per colpire soprattutti i ceti medio-bassi. Sempre la "sinistra" ha tanto criticato Berlusconi, ma poi non ne ha mai ridimensionato il potere quando lo poteva fare (facendo una legge sul conflitto di interessi, tanto per dirne una).

Le destre, dal canto loro, dopo aver per anni sbraitato (mi riferisco soprattutto alla Lega e alla componente ex AN del PdL) che ci voleva più sicurezza, più rispetto per le leggi, più onestà e moralismo, meno "consociativismo", si sono poi ritrovate poi coinvolte nei vari scandali più o meno come gli altri, se non di più. Per quanto riguarda la "sicurezza", risultati concreti sono praticamente inesistenti (tranne qualche provvedimento folkloristico, tipo ronde, militari per le strade, vigili armati...).

A dare la parvenza di una ribellione contro tutto il sistema politico nostrano c'è Beppe Grillo. Ma alla sua estrema radicalità e determinazione molto ostentate mass-mediaticamente fino all'eccesso, non corrisponde poi un programma altrettanto incisivo: manca una qualsiasi traccia di lotta all'evasione fiscale, di una legge patrimoniale, di un impegno a far pagare chi finora non l'ha fatto (Chiesa in primis). Con la sola riduzione dei privilegi ai politici -pur sacrosanta- ci fai molto poco.
E mancano tante altre cose, ma su questo tornerò.
Dunque, il "ribellismo" di Grillo è sterile in partenza e non fa che aggiungere confusione a confusione.

Di fronte a tanta confusione, che fare? Astenersi?
Sarebbe come arrendersi.
Quand'anche il 90% degli italiani dovesse non votare, per i "politici" non cambierebbe proprio niente. O, meglio, si sentirebbero ancora più legittimati a perseguire interessi contrari a quelli della maggioranza della popolazione italiana, visto che avrebbero meno elettori a cui dover rendere conto.



Forse l'unico elemento di chiarezza che emerge in questa campagna elettorale è dato dalla Lista Ingroia- Rivoluzione Civile.
Intanto perchè è l'unica lista a collocarsi chiaramente a sinistra, in modo netto e soprattutto SOSTANZIALE.
Sostanziale, perchè nel suo programma ci sono tutti i punti principali che caratterizzano oggi una politica di sinistra: ripristino dell'articolo 18, tassa patrimoniale, pensioni, scuola, sanità, ecologia, giustizia, investimenti produttivi, ecc.

Qualcuno potrebbe obiettare che però Rivoluzione Civile non potrà mai attuare concretamente tali riforme, dal momento che al governo è destinata a non andarci.
Questo è vero.
Ma è anche vero che mai come oggi chi va al governo ha la strada già fortemente tracciata. Grazie ad un provvedimento che l'Europa delle banche ci ha imposto, e di cui -non a caso- quasi nessuno parla, e che si chiama FISCAL COMPACT.
Tale misura impone all'Italia tagli di decine di miliardi l'anno da qui ai prossimi vent'anni (fino a che il ns debito pubblico non si ridurrà dal 127% sul Pil di oggi (tra l'altro cresciuto sotto il Governo Monti) fino al 60% (obbiettivo, in queste condizioni, più folle, che utopistico).
Dunque, aspettiamoci ulteriori e ancora più drastici tagli all'occupazione, alla sanità, alle pensioni, alle scuole, ecc, finchè non arriveremo forse anche noi ad assaltare i supermercati, come pare stiano facendo in Grecia.

Quindi, oggi come oggi, l'unica cosa sensata è puntare a costruire una forte opposizione politica. E, però, contemporaneamente, lavorare -tutte/i- anche e soprattutto nel sociale: prepararci per portare avanti lotte, battaglie per la difesa del lavoro e dei servizi essenziali, costruendo un vasto fronte di lotta popolare per tutelare i nostri diritti-interessi.
Per questo motivo è importante una buona affermazione di Rivoluzione Civile.

mercoledì 6 febbraio 2013

Il lavoro è molto più importante dell'IMU

Le tematiche di cui si parla in questa campagna elettorale possono essere una buona cartina di tornasole per capire -al di là di tanta propaganda- gli orientamenti delle varie forze politiche.

Cominciamo dall'ultima "sparata" di Berlusconi sulla presunta restituzione dell'IMU ai cittadini italiani. Come se l'introduzione di questa tassa non fosse stata votata pure da lui (oltrechè da Bersani).
In effetti va detto che la tassa sulla prima casa è stata una manovra tesa a colpire -almeno nel modo come è stata concepita- soprattutto i ceti popolari (andava fatta in modo da colpire semmai più gli appartamenti di lusso e chi ne possiede parecchi).

Ma a me non sembra che sia l'IMU il problema numero uno per la maggior parte degli italiani nel 2013. Molto più grave è il problema del lavoro.
La disoccupazione è in crescita (lo dicono già i dati ufficiali, i quali comunque sottostimano il fenomeno). Ma, più che la disoccupazione in sè, il vero dramma per milioni di italiani, soprattutto -ma non solo- giovani, è il binomio disoccupazione-precariato, che mina la prospettiva di un futuro per un'intera generazione, lasciandola senza prospettive.
A tutto ciò va aggiunto il problema degli esodati.
Ma oggi come oggi, anche chi ha la fortuna di avere un lavoro fisso e garantito non sta, in gran parte dei casi, poi tanto meglio. Questo perchè intanto la maggior parte dei lavoratori italiani percepisce salari tra i più bassi d'Europa. E poi perchè i diritti e le garanzie dei lavoratori dipendenti tendono ad essere sempre più erose dalle varie "riforme" (vedi, ad esempio, la cancellazione dell'articolo 18).

Ma non c'è neanche solo il lavoro. Numerosissimi italiani risentono sempre più dei continui e sempre più pesanti tagli ai servizi socio-sanitari, alle scuole, alle pensioni, ecc., che spesso passano sotto forma di tagli agli Enti Locali da parte dello Stato.



In questa campagna elettorale chi è che parla di questi temi? In pochi!
Il PD parla solo di Italia "più giusta". Che vuol dire tutto e niente. Parla di "voto utile" (per chi?) e comunque, al di là di qualche debole distinguo, il rapporto di alleanza con Monti sembra alquanto inossidabile.
Sul PDL c'è poco da aggiungere. Berlusconi può dire tutto e il contrario di tutto (è espertissimo in ciò), ma mi sembra che ormai la stessa gente di destra non gli stia dando più così tanto credito.

Neanche Grillo dice granchè su quei temi.
Al di là delle sue "sparate" molto spettacolari e (a parole) ultra-estremiste, mi sembra che non vada a toccare i punti salienti del problema, limitandosi a farsi portavoce del superficiale -per non dire banale- astio che gli italiani da sempre nutrono verso "i politici" (tra l'altro senza fare distinzioni). E con proposte radicali all'apparenza, ma poco sostanziosi nei fatti.

Nichi Vendola è uno dei pochi che dice cose giuste e parla del problema lavoro e delle altre questioni.
La domanda, però, che mi pongo rispetto a SEL è: in che modo e quanto pensa di poter influire sul futuro governo?
Se -come sembra ormai abbastanza sicuro- il PD andrà a fare un governo con l'UDC e con Monti Sel che cosa farà? La carta d'intenti di Bersani, infatti, costringerà i deputati di SEL a votare secondo la maggioranza, e, quindi, come vuole il PD.
Sel deciderà di uscire? Ma allora non sarebbe stato meglio allearsi fin da subito con Ingroia-Rivoluzione Civile?
Tra l'altro non va dimenticato un punto fondamentale, cioè che il prossimo governo sarà quasi sicuramente costretto a fare altre manovre "lacrime e sangue". Il fiscal compact e il Pareggio di Bilancio in Costituzione (votati sia dal PD che dal PDL), nonchè tutti i vari condizionamenti europei, bancari e vaticani, non lasciano troppo scampo.

Credo che oggi l'unica cosa che abbia senso per difendere il pesante attacco che si sta portando avanti contro i ceti popolari, sia quello di costruire una forte opposizione.
Partendo dalle tematiche del lavoro, delle pensioni, della sanità, della scuola e della pace.

La Lista Ingroia – Rivoluzione Civile non parla solo di legalità. Tema, peraltro, importantissimo, in un paese come l'Italia, afflitto da varie e ataviche forme di illegalità, che spesso impediscono un vero sviluppo del paese e ci riempiono di ridicolo all'estero.
Parla anche -unica lista- di ripristino dell'articolo 18 e del valore del contratto nazionale. Della democrazia nei luoghi di lavoro.
Parla -unica lista- di introduzione di una legge patrimoniale.
Poi, di laicità e diritti civili, di cultura, istruzione, ricerca. Di salute e ambiente. Della questione morale (e lo fa anche meglio di Grillo). E di pace.
Importante quest'ultimo tema oggi che i rischi di conflitti sempre più estesi ci riguardano sempre di più.

Questi sono i temi veramente importanti.

venerdì 1 febbraio 2013

ma il voto utile è davvero democratico?

L'Occidente (USA, Europa Occidentale) si è sempre vantato da decenni di possedere un sistema politico di tipo democratico, a differenza di tanti altri paesi, a cominciare da quelli socialisti (durante la guerra fredda e quelli rimasti dopo l'89), il cui sistema politico veniva e viene considerato "totalitario", e quindi sostanzialmente dittatoriale.
Il paragone, oltre che con i paesi socialisti, viene fatto anche con più o meno tutti i paesi del "Terzo Mondo", dove vigevano (o vigono tuttora) forme antiquate di monarchie, o dittature, o comunque regimi autoritari e illiberali.

Ma che cosa significa "democratico"?
Letteralmente dal greco, significa "governo del popolo".
Ora, si può dire che i governi dei paesi occidentali, a cominciare dall'Italia, siano veramente "del popolo"?
Mah. Già tutte le polemiche e i cambiamenti sul sistema elettorale (passaggio al maggioritario, il "mattarellum", il "porcellum", ecc.) fanno sorgere qualche dubbio: ma se è davvero il popolo a governare perchè ci si accaparra così tanto sui sistemi elettorali?

In realtà quando si parla di democrazia non andrebbe mai dimenticato un punto importante, sancito nell'articolo 3 della nostra Costituzione: il fatto che per realizzare una vera democrazia non bastano delle pure regole formali, ma servono le condizioni materiali (economiche, culturali, morali, ecc.). Altrimenti l'ignoranza, i ricatti economici e altro condizionano fortemente le scelte degli elettori (come si vede fin troppo bene in Italia, ma non solo da noi).

Come si inseriscono, in tutto ciò, discorsi come il premio di maggioranza, lo sbarramento elettorale e soprattutto il "voto utile"?
Il premio di maggioranza è una palese distorsione delle scelte dell'elettorato, dato che dà ad un determinato partito (o lista) più potere in Parlamento di quanto gliene abbia attribuito il voto dei cittadini.
Ancora più grave è il discorso per quanto riguarda le soglie di sbarramento, che privano -di fatto- milioni di elettori di una minima rappresentanza politica, solo perchè il loro partito non raggiunge un certo quorum. E tale meccanismo naturalmente rafforza i mega-partitoni.

E il "voto utile"?
Ossia, io mi riconosco in un determinato partito, ma non posso votarlo; devo, al posto, votarne un altro, perchè altrimenti rischio che vinca un partito ancora peggiore.
Ora, qualcuno mi deve spiegare che cosa ci sia di democratico in tutto ciò. Perchè, forse sono stupido io, ma francamente non lo capisco.
Il popolo governa forse votando il meno peggio?

Poi, ancora, ci sarebbe da parlare dei vari meccanismi economico-politici che condizionano fortemente le politiche dei governi europei, senza che nessun cittadino -al momento di votare- lo abbia voluto (nè spesso neanche immaginato).
Fenomeni come lo "spread", o le direttive della BCE (organismo non votato), le decisioni della NATO e le ingerenze del Vaticano sono tutti pesanti condizionamenti sulla politica italiana che i cittadini non hanno mai deciso, nè votato. E' così, di nuovo, che "governa il popolo"?

Due parole sull'astensionismo elettorale.
Negli USA, "patria della democrazia"da sempre vota circa la metà degli aventi diritto. Da noi l'astensionismo è in costante crescita.
Il minimo che si possa dire di uno che rifiuta un impegno politico così minimo, come l'andare a votare è che evidentemente non lo ritiene un valido strumento di partecipazione e di cambiamento politico. E quando tale atteggiamento diventa di massa fino a sfiorare la metà della popolazione, allora mi sembra assurdo parlare di "democrazia".
Viceversa, gli americani (e purtroppo sempre più anche europei) sono talmente convinti della loro "democrazia", che addirittura pretendono di esportarla all'estero a suon di bombardamenti e invasioni militari (Vietnam, Afghanistan, Iraq, Libia, ecc.).
Questo è il "governo del popolo" che intende l'Occidente!

L'unico modo per tentare di raggiungere un governo tendenzialmente popolare è che settori sempre più vasti di popolazione prendano coscienza delle loro condizioni ed inizino a lottare e ad organizzarsi. E che partecipino sempre più ad un altro tipo di politica, quella che porti avanti gli interessi della maggioranza, votando per chi ritengono che li rappresenti per davvero.
Il "voto utile" è antidemocratico per definizione.

venerdì 25 gennaio 2013

Rivoluzione Civile: una coalizione, ma alternativa davvero

Lo confesso apertamente: a me le forze politiche che fanno capo ad una persona non sono mai piaciute. Preferisco -in netta controtendenza- i partiti, e soprattutto quelli di una volta, con un orientamento ideologico-politico-programmatico chiaro e che costituiva un punto (abbastanza) fermo.
Il problema è che oggi come oggi un partito forte, organizzato, con un certo peso elettorale e politico e che abbia una linea che condivido, non esiste.
Ossia, quelli in cui mi riconosco di più (Rifondazione Comunista e PdCI) da soli non supererebbero la soglia di sbarramento, che una legge anti-democratica ci impone.

Dunque, PRC e PdCI sono costrette a coalizzarsi con altre forze e a candidare un magistrato, peraltro molto valido, come Antonio Ingroia per poter superare la soglia di sbarramento e riuscire ad entrare in Parlamento.
Questo, beninteso, non per un discorso di "poltronismo", ma perchè il minimo che si possa fare oggigiorno è (ri)portare in Parlamento, e quindi rendere visibile, la voce di milioni e milioni di disoccupati, di esodati, di lavoratori, di pensionati con basso reddito. Insomma, di tutti quei settori sociali, già deboli, che dalle politiche degli ultimi governi sono stati fortemente penalizzati.
Una voce di VERA OPPOSIZIONE.

Per la verità, non mi convincono molto i discorsi che vedono Rivoluzione Civile come una nuova forza politica, da cui partirà chissà quale riunificazione della sinistra.
Non perchè io sia contrario ad unificare la sinistra, bensì perchè un processo veramente unitario difficilmente può nascere pochi mesi prima delle elezioni. E comunque rimango dell'idea che il primo passo sia quello di riunificare intanto i comunisti, compito già assai arduo.
Parliamoci chiaro: Rivoluzione Civile -o lista Ingroia- è una coalizione.

Detto ciò, va però riconosciuto che la Lista Ingroia rappresenta -di questi tempi- un discorso molto interessante e di controtendenza. E' da sottolineare, infatti, che il programma di Rivoluzione Civile è condivisibile, ed è l'unico che si oppone seriamente, e non solo demagogicamente, all'"Agenda Monti", ossia, alle politiche di austerità imposte dalla BCE, quelle guerrafondaie della NATO e quelle oscurantiste del fin troppo invadente Vaticano.

Oltre alla legalità e alle politiche antimafia -terreno privilegiato per uno come Ingroia- il programma di Rivoluzione Civile prevede:

-uscita dal fiscal compact (norma voluta dalle elites europee e che impone ai governi tagli per decine di miliardi di euro all'anno)
-il ripristino dell'articolo 18
-abolizione dell'IMU per la prima casa e una legge patrimoniale
-il rifiuto delle guerre
-uno stato laico e i diritti civili
-uno sviluppo rispettoso dell'ambiente
-una scuola pubblica
-ricerca per rilanciare le imprese

E altro ancora.
Dunque, motivi per sostenere Rivoluzione Civile ce ne sono fin troppi.
La Lista Ingroia è l'unica che contrasta le politiche economiche sbagliatissime che l'Europa ci impone, e che passano attraverso Monti (ma anche Berlusconi e Bersani), senza scadere -come fa Grillo- nei banali, quanto fuorvianti luoghi comuni "anti-casta" o "anti-politici", che suonano tanto rivoluzionari, ma che invece non vanno a toccare i problemi di fondo.
Che -non mi stancherò di ripeterlo- non sono tanto i privilegi dei "politici" (che pure vanno comunque drasticamente diminuiti), quanto le politiche che tartassano i ceti popolari, mentre non scalfiscono i miliardari e sperperano preziose risorse per opere inutili o missioni di guerre.

giovedì 10 gennaio 2013

cancellato l'articolo 18...e la disoccupazione aumenta

Ormai è dal settembre scorso che l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (quello che prevede il reintegro nel posto di lavoro per il lavoratore licenziato senza giusta causa) è stato -di fatto- cancellato.
Ci aveva già provato Berlusconi nel 2002, ma la reazione della CGIL e di tre milioni di lavoratori scesi in piazza lo costrinse a desistere.
Oggi il Governo Monti, con la complicità sia del PD, che del PDL c'è riuscito: con la (contro) riforma Fornero il lavoratore ingiustamente licenziato riceve un indennizzo (ossia, riceve lo stipendio per 2 anni), che però non è certo la stessa cosa che mantenere il posto di lavoro.

Per anni e anni vari personaggi (imprenditori soprattutto, ma anche economisti e politici di fede liberista) hanno tuonato contro l'articolo 18, ritenendolo la causa di tanti problemi economici e della mancanza di investimenti, sia italiani, che stranieri, nonchè della disoccupazione.

Ora, quindi, ci si aspetterebbe che, cancellato, almeno nella sua essenza, l'articolo 18, frotte di investimenti sarebbero dovuti piombare sull'Italia, portando con sè nuova occupazione. In questi mesi qualche primo effetto si sarebbe già dovuto vedere.
E invece, niente!

Qualche risultato, per la verità, si vede, ma di segno opposto: la disoccupazione aumenta.
Gli ultimi dati sono veramente allarmanti: 37,1% di disoccupazione giovanile.
Certo, l'aumento della disoccupazione, così come la mancanza di investimenti e la chiusura di non poche aziende, negozi, laboratori, ecc., non è causata da tale provvedimento. Questo fenomeno è legato alla crisi economica, connaturata al modo di produzione capitalistico. Il cosidetto "libero mercato" (che tanto libero poi non è) genera crisi, disoccupazione, de-industrializzazione, ecc.
Ma in tale contesto, le misure del Governo Berlusconi prima e di quello Monti poi, hanno sicuramente aggravato gli effetti negativi di questa crisi.

La cancellazione dell'articolo 18 non ha risolto e non risolverà nessuno di questi problemi e, a dispetto di tante chiacchiere interessate, meno che mai produrrà un incremento dell'occupazione.
Creerà, semmai, un altro effetto, ed è proprio quello che desiderava la classe imprenditoriale italiana -una tra le più incapaci d'Europa- e i vari economisti ai suoi servizi: l'aumento della ricattabilità del lavoratore. E, di conseguenza, il suo sfruttamento.
E' un altro tassello che si va ad aggiungere al boom dei vari contratti precari, generato dalla legge Treu prima e dalla L. 30 poi. Col risultato che ormai la grande magioranza dei lavori -soprattutto giovanili- sono con contratti precari (i quali avrebbero dovuto in teoria anch'essi -stando a ciò che si diceva-portare ad un aumento dell'occupazione).

Che l'articolo 18 non creava problemi alla crescita economica e all'occupazione è dimostrato, tra l'altro, dal fatto che dopo che è entrato in vigore lo Statuto dei Lavoratori, nel 1970, in Italia il PIL è stato in continua crescita per tutti gli anni '70 e '80.

Speriamo che riesca ad andare in porto il referendum per il ripristino dell'articolo 18. Lo scioglimento delle camere effettuato dal Presidente Napolitano rischia di rendere inutile la raccolta di firme di questi mesi scorsi.

domenica 30 dicembre 2012

profezia Maya: la fine della...democrazia!

L'anno 2012 sta terminando ed è giunto il momento di fare qualche bilancio.
La prima cosa da dire è che (anche) quest'anno la disoccupazione è aumentata e il lavoro è sempre più precario.
Moltissime sono le piccole aziende, i laboratori artigianali, i negozi che stanno chiudendo o che hanno già chiuso (con i nuovi esercizi che sono numericamente assai al di sotto dal compensare le cessazioni). Ovunque si registra un crollo della domanda.
Chiudono ospedali, asili-nido, i servizi sono sempre più ridotti e sempre più a pagamento. Le pensioni sono sempre più basse e le tasse e i prezzi sempre più elevati.
E si potrebbe proseguire ancora...

Insomma, la grande maggioranza degli italiani (ma non tutti) si è impoverita.
Di chi è la colpa?
La colpa -se di "colpa" si può parlare- non è nè di Berlusconi, nè di Monti: si tratta di una classica crisi economica, legata al capitalismo. Il capitalismo produce periodicamente delle crisi. Marx l'ha messo bene in luce e ne ha studiato i meccanismi fondamentali, tuttora validi. Non entro in profondità.

Ora, se nella seconda metà del '900 le crisi economiche sono state limitate e soprattutto limitati ne erano gli effetti sulla popolazione (ma anche sulle imprese), ciò era dovuto alla diffusione di politiche di welfare state e di intervento diretto degli Stati nell'economia, spesso gestendo direttamente importanti unità produttive.

Ma il "crollo del Muro di Berlino" e le successive politiche liberiste hanno a poco a poco ridotto, quando non eliminato, tali misure, bollandole come "vecchi residuati ideologici".
Tolti questi correttivi al capitalismo, nulla ne ha più frenato le dinamiche intrinseche,e, con queste, le crisi.
Della serie: ora stiamo cominciando a pagare le conseguenze di un trentennio di "superamento delle vecchie ideologie".
I torti di Berlusconi prima e di Monti poi sono, semmai, quelli di gestire questa crisi nel peggiore dei modi.
Ma ciò non dipende tanto e solo da loro: è tutta l'Europa che richiede tali politiche. E le principali forze politiche (PD compreso) sono in linea con queste.

Tutto ciò, oltre a creare disagi, povertà, malessere sociale, emarginazione e ignoranza, costituisce anche un colpo alla democrazia.
Quest'ultima, infatti, non consiste semplicemente in un sistema di norme formali, quanto in una parteipazione EFFETTIVA della popolazione alle istituzioni e alle scelte politiche , che va molto al di là dell'esprimere un voto alle elezioni.
Ma tale partecipazione presuppone un minimo di coscienza, di benessere, di diritti. Chi è economicamente ricattato o ignorante non sarà mai veramente libero e il suo voto sarà sempre condizionato da chi ha già potere.
L'importantissimo articolo 3 della nostra costituzione (frutto del decisivo contributo dei comunisti, questo Benigni se l'è "dimenticato"), recita: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese."

Il costante aumento dell'astensionismo elettorale e la sfiducia crescente verso "i politici" sono indicativi di come gran parte degli italiani percepisca le elezioni sempre più come uno strumento inutile per risolvere i problemi o per difendere i loro diritti.
D'altronde sta diventando sempre più evidente che le decisioni economicamente importanti sono prese dall'Europa (traduz: dalla Banca Centrale Europea, egemonizzata dalla Germania e comunque NON eletta dai cittadini), dietro il ricatto dello spread, e con l'ossessione -tragicamente sbagliata- che "va risanato il debito pubblico".
Il risultato paradossale è che non solo gli italiani (e i greci, gli spagnoli, i portoghesi, ecc.) si impoveriscono, ma il debito pubblico AUMENTA. E la crisi si aggrava.

In queste condizioni si può veramente parlare di "democrazia"?