mercoledì 18 febbraio 2015

Crisi russo-ucraina: gli USA vogliono la guerra. L'Europa dice ni.

Contrariamente a ciò che dicono i nostri mass-media mainstream, i quali attribuiscono le responsabilità del clima di pre-guerra (e neanche tanto "pre") totalmente alla Russia di Putin, basta una breve panoramica sullo sviluppo degli eventi in Ucraina dell'ultimo anno e mezzo per accorgersi di ben altre dinamiche.

Le recenti tensioni in Ucraina sono iniziate con la "rivolta di Piazza Maidan", a Kiev (capitale dell'Ucraina), scoppiata ufficialmente in seguito al rifiuto del presidente ucraino di aderire all'Unione Europea. Rivolta che s'è fin da subito caratterizzata come violenta (con diversi poliziotti uccisi dai manifestanti).
Durante le dimostrazioni diversi personaggi politici occidentali si presentarono di persona, aizzando i manifestanti contro il governo (democraticamente eletto) di Victor Janukovyc: un'ingerenza senza precedenti! Sarebbe come se durante una manifestazione di protesta a Roma i politici cinesi o russi intervenissero in piazza spingendo i manifestanti a sbarazzarsi di un governo democraticamente eletto (quello di Renzi non fa testo, sotto quest'aspetto).

Nel febbraio del 2014, dopo violenti scontri, il colpo di Stato riuscì, e gruppi paramilitari di estrema destra presero il potere in Ucraina.
Dopodichè scoppiarono numerose violenze da parte di questi gruppi e principalmente di Pravj Sector (settore destro), dichiaratamente filo-nazisti. Scontri e violenze culminati con il rogo della sede del sindacato di Odessa, dove decine di persone che si trovavano dentro perirono tra le fiamme.

Ma le regioni dell'Ucraina dell'Est non ci stavano e la popolazione della Crimea (regione tradizionalmente russa) si è espressa a larghissima maggioranza per l'annessione alla Russia, mentre nelle regioni di Donesk e di Luhansk le popolazioni si sono ribellate e hanno iniziato la resistenza contro il governo golpista dell'Ucraina.

Ed è proprio questa guerra civile ad aver spinto l'Europa e soprattutto gli Stati Uniti all'adozione di misure volte a "punire" la presunta ingerenza della Russia (tutta da dimostrare) nel conflitto ucraino. Tali misure si concretizzano con le sanzioni economiche.
Il pretesto iniziale per tali sanzioni -riconfermate di recente- fu l'abbattimento dell'aereo della Malaysia, attribuito ai ribelli del Donesk, ma, come dimostrano le immagini satellitari, causato in realtà dall'esercito ucraino.

Ma tali sanzioni alla lunga colpiscono non tanto la Russia (la quale sta trovando altri sbocchi, rafforzando notevolmente i legami economici con altri paesi e soprattutto con la Cina), quanto l'Europa.
Numerose sono, infatti, le imprese tedesche, francesi, italiane e di altri paesi europei che subiscono pesantemente tali misure, dato che basavano la loro attività principalmente proprio sull'esportazione alla Russia e molte di loro stanno chiudendo o saranno costrette a chiudere in futuro.


L'Europa, dunque, finora si è piegata alla volontà degli yankees e ha appoggiato il governo golpista filo-nazista dell'Ucraina, arrivando fino al punto di varare le sanzioni economiche alla Russia, spinta dalle pressioni d'oltreoceano.
Ma ora che gli Stati Uniti stanno facendo di tutto per inasprire la guerra e per coinvolgere più direttamente la NATO, Francia e Germania si stanno incominciando a smarcare.
Il recente viaggio a Mosca -non concordato con Obama- della Merkel e di Hollande per trattare con Putin e la firma della tregua, lascia capire chiaramente che questi paesi si incominciano a rendere conto di che cosa significa l'esplosione di un conflitto di grande portata nel centro dell'Europa, a poche centinaia di chilometri dalla Germania.

Tanto più che la recente offensiva dell'esercito ucraino contro i ribelli dell'Est si è risolta in un grande fiasco: non solo i ribelli non sono arretrati, ma, al contrario, stanno avanzando e a Debaltsevo hanno rinchiuso in una sacca un grosso contingente dell'esercito ucraino (dove sembra siano presenti anche militari americani, alla faccia delle accuse rivolte a Putin di ingerenza nel conflitto).
Nell'esercito ucraino inoltre il clima è sempre più pesante e di sfiducia e le diserzioni si moltiplicano giorno su giorno.

In questa situazione drammatica e potenzialmente esplosiva, risalta -per la sua mancanza- il movimento pacifista.
Quello che manifestò ampiamente nel 2003 contro l'invasione dell'Iraq, oggi sembra morto. Inoltre sono pochissime (e deboli) le forze politiche che avvertono chiaramente questo pericolo a cui ci stanno conducendo gli Stati Uniti: gli unici due partiti sono Rifondazione Comunista e il PCdI: troppo poco per costruire un grande movimento di massa, di cui si sente drammaticamente la mancanza.

lunedì 9 febbraio 2015

Arabia Saudita: oscurantismo, assolutismo, terrorismo. Ma all'Occidente sta bene così...


L'Arabia Saudita è forse l'unico paese che incarna bene molti dei pregiudizi e degli stereotipi che in Occidente (inteso come Europa e Nordamerica) abbiamo rispetto al mondo arabo-islamico.

E' uno dei pochissimi Stati ad essere ancora ufficialmente una monarchia assoluta, totalmente priva di un parlamento, nonchè di una costituzione. Il potere è formalmente in mano alla dinastia dei Saud (il nome dello Stato, "saudita", è appunto legato alla dinastia regnante).



In tale paese vige il più assoluto e rigoroso confessionalismo e oscurantismo: è severamente proibita qualunque manifestazione religiosa (non solo pubblica, ma anche in privato), che non sia relativa all'islam sunnita. Nemmeno le altre confessioni islamiche, tipo gli sciiti, sono minimamente tollerate. E' l'unico caso in tutto il mondo.

E' addirittura proibito avere con sè una bibbia, un crocefisso o qualsiasi altro testo o oggetto relativo ad un'altra confessione (anche se pare che poi, nella realtà, vi sia un certo grado di tolleranza).

La giustizia è totalmente nelle mani di tribunali islamici, con un codice penale di stampo medievale (sono ampiamente praticate le punizioni corporali e amputazioni di arti, oltre che la pena di morte).

E, come è noto, le donne non possono guidare.



Per fare un paragone, nello Stato islamico di gran lunga più criticato dall'Occidente, ossia l'Iran degli ayatollah, il potere politico viene stabilito tramite elezioni (pilotate? Può essere, ma nel resto del mondo -democrazie occidentali comprese- non stiamo messi tanto meglio, se consideriamo, ad esempio, che nelle elezioni del 2000 Bush Junior divenne presidente degli Stati Uniti pur avendo perduto le elezioni, grazie ai brogli elettorali in Florida).

In Iran inoltre è concessa la libertà di culto alle minoranze religiose, le donne sono ampiamente presenti nella vita pubblica (e ovviamente possono guidare).



Ma torniamo all'Arabia Saudita.

Alla gravissima situazione politica interna, in cui manca un minimo di libertà e di rispetto dei diritti umani, si aggiunge i fatto che lo Stato saudita è uno dei principali finanziatori del fondamentalismo islamico, anche nelle sue componenti violente e terroriste (tra cui la famosa Isis).





Dunque, ce ne sarebbe a bizzeffe affinché i paesi occidentali prendano di mira tale paese.

Europa e Stati Uniti avrebbero in questo caso tutte le ragioni per promuovere una politica di condanna dell'Arabia Saudita, anche attraverso sanzioni economiche (metodi ampiamente usati e abusati con estrema facilità contro altri paesi), fino ad arrivare ad un "intervento umanitario" (che in questo caso sarebbe anche motivato dalla lotta al terrorismo), che mai come in questo caso avrebbe un senso e una giustificazione.



E invece nulla di tutto ciò!

Nemmeno una parvenza di critica (non dico condanna) per uno Stato che rappresenta il "male" estremizzato, che l'Occidente afferma di voler combattere.

E la sensibilità per i "diritti umani"? E la "lotta al terrorismo"? Niente: agli Stati Uniti e all'Europa l'Arabia Saudita va bene così.

Perchè?



Uno dei motivi principali sta sicuramente nel fatto che lo Stato saudita è il più importante produttore mondiale di petrolio. E quando c'è di mezzo il petrolio i diritti umani ce li possiamo scordare: non è conveniente inimicarsi un paese del genere.



Ma non basta l'esistenza del petrolio a spiegare tale atteggiamento di tolleranza verso un paese del genere: anche la Libia di Gheddafi, l'Iraq di Saddam Hussein, l'Iran o il Venezuela bolivariano sono grandi produttori di petrolio. Eppure, da parte dei paesi occidentali le condanne in questi anni si sono sprecate, così come le sanzioni economiche. E gli interventi militari.

Nel caso dell'Iraq e della Libia l'Occidente ha portato avanti una vera e propria guerra (con i risultati che vediamo: caos, conflitti continui, l'emergere di gruppi estremisti islamici e milioni di persone e famiglie costrette a fuggire dal loro paese).

In Iran e in Venezuela non si è (ancora) intervenuti militarmente, ma vi è una continua ingerenza, fatta di condanne e di attentati, violenze di piazza e provocazioni di ogni sorta, orchestrate dai servizi segreti occidentali, CIA in primis.



C'è un altro motivo per cui l'Arabia Saudita può governare ad opprimere brutalmente il popolo e finanziare allegramente il terrorismo, in modo tranquillo: l'alleanza con gli Stati Uniti e con Israele.

Lo Stato saudita ha più o meno sempre avuto ottimi rapporti con questi due paesi, e anche il prezzo del petrolio è sempre stato tarato compatibilmente con le esigenze economiche e politiche degli yankees.

Come vediamo anche in questi giorni, dove l'Arabia Saudita contribuisce alla decisione americana di tenere bassi i prezzi del petrolio, per danneggiare soprattutto la Russia e anche il venezuela.



Qualcuno ancora crede allo sbandieramento occidentale dei "diritti umani" e della "lotta al terrorismo"?

lunedì 26 gennaio 2015

Syriza, una svolta contro l'Europa liberista!


La vittoria di Syriza alle elezioni greche rappresenta sicuramente un grande successo del popolo ellenico, quello che sinora ha sofferto più di tutti le conseguenze delle politiche di austerity imposte dall'Unione Europea.
Ma, almeno idealmente, rappresenta una vittoria un po' per tutti quelli che in Europa si battono per gli stessi motivi. E rappresenta simbolicamente un forte punto di rottura e di inversione di tendenza, rispetto alle politiche liberiste fin qui praticate.

Va inoltre sottolineato che tale successo non è quello di un partito (o movimento) di opinione, che vince perchè dice cose giuste, bensì il risultato di anni di lotte sindacali e politiche che hanno coinvolto i lavoratori e gran parte del popolo ellenico.

Nei prossimi mesi-anni sapremo se, e quanto, a tale mutamento politico corrisponderà anche un effettivo cambiamento di indirizzo, ossia, se Syriza saprà mantenere gli impegni assunti.
Ma anche allora, per poter dare un giudizio adeguato sull'operato del neo-governo occorre tenere ben presente il contesto generale, i rapporti di forza e dunque ciò che Tsipras concretamente può fare.
Diciamo subito che il fatto che Syriza è stato costretto ad allearsi con una forza politica (ANEL) non vicinissima alle sue posizioni -tranne che sulla contrarietà alle politiche europee- non è un ottimo punto di partenza. In tal senso rimane incomprensibile -e a mio avviso sterile- il rifiuto, da parte del KKE ad accettare un'alleanza con Syriza.

E' chiaro, intanto, che per la Grecia -da sola- non sarà semplice resistere alle inevitabili e numerose pressioni (se non minacce) di vario tipo, volte al pagamento del debito e ad impedirle di chiudere con la stagione delle politiche liberiste e di austerity. Stesso discorso (anzi, peggio) per quanto riguarda la collocazione internazionale nello scacchiere mondiale.

Dunque, tenendo presente questi limiti di fondo, mi aspetto tuttavia da parte del governo di Syriza un mutamento sostanziale di indirizzo di politiche economiche.
A partire dal ripristino dei servizi socio-sanitari e in genere di tutti quei servizi a favore dei ceti più deboli, per andare a politiche di rilancio dell'occupazione e di tutela del lavoro e del salario e la fine delle politiche dei tagli ai servizi pubblici.
Mi aspetto, ancora, la rinegoziazione del debito pubblico con la UE.
Se riuscisse in tutto ciò, per quanto mi riguarda, il Governo-Tsipras avrebbe già un bel 10.

Poi, personalmente sono per l'uscita dall'euro. Ma bisogna anche rendersi conto che -al di là di tanta retorica- si tratta di un passaggio delicato e non privo di inconvenienti, specie poi tenendo presente che Atene si troverebbe a gestire la cosa da sola, senza essere supportata da altri paesi europei.
Inoltre sarebbe buono (anche se non fa parte del programma di Syriza) se la Grecia incominciasse ad allacciare rapporti economici -e magari, in prospettiva futura, anche politici- più stretti con i paesi emergenti del BRICS (Russia e Cina in testa), allentando gradualmente quelli con l'Europa e con gli USA, che l'hanno ridotta a pezzi.

Anche sui rapporti politici internazionali non possiamo aspettarci "miracoli" dalla Grecia.
Ad esempio, sul conflitto ucraino e sui rapporti con la Russia, sarebbe già tanto se riuscisse ad assumere una posizione di pace ed equidistanza.
Non ci sono certo oggi le condizioni per un'uscita di Atene dalla NATO (come sento dire da qualcuno) e probabilmente se il neo governo provasse anche solo ad accennarne, tale governo avrebbe i minuti contati e forse sarebbe a rischio anche la stessa incolumità fisica di Alexis Tsipras.

 

In realtà, la Grecia di Tsipras potrebbe fare parecchio di più. Ma ciò accadrebbe solo se potesse contare sulla complicità di altri governi europei. Come l'Italia.

Ma in Italia come stiamo messi?
Malissimo!!!!!
Da noi la sinistra antiliberista è debolissima e frantumata -più che divisa- in mille pezzi. E anche le vicende degli ultimi anni dimostrano che non sarà semplice ricomporla.

Nel Bel Paese il partito che, almeno in teoria, avrebbe potuto maggiormente aspirare a diventare qualcosa di simile a Syriza, era SEL.
Se non fosse che -al netto delle differenze oggettive tra Grecia e Italia- Syriza e SEL hanno fatto negli anni scorsi delle scelte politiche diametralmente opposte: la prima, infatti, ha sempre rimarcato la sua forte contrarietà alle politiche liberiste europee, prendendo -e nettamente- le distanze dal PASOK. Inoltre mi risulta che abbia fatto diversi tentativi di coinvolgere anche il KKE.
Al contrario, SEL da quando è nata ha sempre e sistematicamente privilegiato l'alleanza col Partito Democratico, stemperando le critiche al liberismo europeo ed è stata molto restìa al rapporto con le forze politiche alla sua sinistra -e in modo particolare con Rifondazione Comunista- nonostante queste ultime si fossero dimostrate molto più disponibili in merito.
Logico che poi, a livello di percezione comune, la gente fatica a distinguere SEL dal PD, mettendole entrambe nello stesso calderone "sinistra" (termine che ormai in Italia ha finito per perdere il suo significato originario di difesa delle classi subalterne e dei lavoratori).

E che dire di Luigi Di Maio, del Movimento 5 Stelle, il quale dice che condivide l'opposizione di Syriza all'Unione Europea e alle sue politiche di austerità e a favore delle banche?
Solo che in Europa il M5S, pur dichiarandosi nè di destra, nè di sinistra (che in Italia fa tanto tendenza...) ha preferito -dopo aver preso numerosi voti di sinistra- optare per l'EFDD, gruppo che racchiude forze dichiaratamente di destra, conservatrici e xenofobe (mentre Syriza è collocato a sinistra, nel GUE).
Sì, è vero: anche queste criticano le politiche dell'UE. Ma non su posizioni progressiste, bensì perchè vorrebbero il ritorno al vecchio capitalismo nazionale, ormai superato storicamente dal proliferare delle multinazionali e della finanza mondiale.
Sul comportamento dei rappresentati delle altre forze politiche italiane (PD e gli altri partiti di destra) preferisco sorvolare....

Concludendo, rimango fiducioso che la Grecia di Tsipras saprà affrontare (nonostante l'Italia) la sfida che le si apre davanti, ossia, quella di mettere un freno alle politiche liberiste e di austerity che l'Unione Europea ci sta imponendo.

giovedì 22 gennaio 2015

Vigili romani. Basta con la politica dei pesci piccoli


La vicenda dell'assenteismo dei vigili urbani di Roma durante la notte di capodanno -e soprattutto la gestione mass-mediatica di tale vicenda- è indice del clima politico non proprio tranquillo che stiamo vivendo.



A prescindere dal giudizio che si possa dare sul comportamento dei vigili in questione (sul quale tornerò) è chiaro che siamo in presenza di una vera e propria campagna mass-mediatica, finalizzata a creare un clima di ostilità nei confronti non tanto dei vigili in sè, quanto dei dipendenti pubblici in generale. I quali vengono visti come dei privilegiati, lavativi, scansafatiche, pressappochisti e poco efficienti -quando non incompetenti- nel loro lavoro.



Tali campagne purtroppo riscuotono facilmente credito nella maggioranza della popolazione italiana.

Questo, non solo e non tanto perchè essa tende troppo a farsi influenzare dai mass-media -televisione in primis- ma anche perchè oggettivamente i servizi pubblici troppo spesso lasciano veramente a desiderare. Soprattutto in città come Roma e in genere nel Centro-Sud.

In effetti milioni di italiani subiscono quotidianamente gli svantaggi e il peso di avere dei servizi di pessima qualità, spesso imprecisi, con tempi lunghissimi, ecc.



Il problema è che queste campagne contro i vigili (o campagne simili, contro i dipendenti pubblici o affini) non si preoccupano di andare ad indagare quali siano i veri problemi e dove occorrerebbe veramente intervenire.

Il problema dell'inefficienza dei servizi pubblici, infatti, è un problema vecchio ed è il risultato di tutta una serie di dinamiche, le quali sono da far risalire solo in minima parte alla negligenza dei lavoratori (che pure esiste). Il pesce, infatti, puzza sempre dall'alto.



Il discorso sarebbe lunghissimo, ma -molto sinteticamente- l'inefficienza delle istituzioni è un fenomeno tipico dei paesi colonizzati o comunque sottoposti ad un forte limite della loro sovranità, soprattutto economica.

E l'Italia è, dal dopoguerra, in condizione di forte subalternità nei confronti degli Stati Uniti e più recentemente anche della Germania. Inoltre, l'Italia Centro-Meridionale è stata considerata e trattata di fatto come una colonia, a partire già dall'800, dalla cosiddetta Unità d'Italia.

Dunque, il Bel Paese possiede una classe dirigente (non solo politica) mediocre, e questo soprattutto apartire dalla fine della Prima Repubblica, ossia, dagli anni '90 in poi.



Dirigenti mediocri producono lavoratori mediocri. E quindi, in questo clima generale di pressappochismo e di scarsa serietà, purtroppo anche numerosi (ma non certo tutti) lavoratori tendono a cadere in un'ottica molto egoista, ossia a cercare di sbarcare il lunario facendo il minimo sforzo possibile e con scarso impegno e serietà.





Va da sè che limitarsi a colpire i lavoratori pubblici non risolve certo i problemi di cui sopra.

E tantomeno il ricorso al privato. Non dimentichiamoci che "mafia-capitale" è stato precisamente il risultato del ricorso massiccio e generalizzato agli appalti dati a privati (e molte pseudo-cooperative sono tali). Semmai, è in alto che bisogna colpire.



Purtroppo la campagna mass-mediatica contro i vigili (tra l'altro fornendo dati in seguito rivelatisi fortemente distorti; non l'83% dei vigili, ma meno della metà sono stati quelli assenteisti) non mira a colpire le vere origini delle numerose inefficienze del settore pubblico.

Mira solo a poter LICENZIARE I LAVORATORI! (fa il paio con il Jobs Act)



E perchè vogliono licenziarli?

Per lo stesso motivo per cui negli anni scorsi ne sono stati licenziati a decine di milgiaia in Grecia, contribuendo a rendere tale paese non certo più efficiente o produttivo di prima (esattamente il contrario!), ma molto più povero.

Il motivo è che la crisi economica -prodotta dal capitalismo- deve essere pagata dai più deboli, ossia dai lavoratori e soprattutto da quelli dei paesi più deboli (Italia, Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo). Così ha deciso il grande capitalismo finanziario internazionale.



La riduzione del personale nel settore pubblico (e affini) a cui stiamo andando incontro in Italia porterà soltanto ad un (ulteriore) aumento della disoccupazione e non certo ad un miglioramento dei servizi pubblici.

Prova ne è che nella tanto mitizzata Germania ultra-efficiente ci sono più lavoratori pubblici -in rapporto alla popolazione totale- di quanti ce ne siano da noi e a maggior ragione della Grecia.

lunedì 12 gennaio 2015

Je suis Charlie Hebdo! E quindi voglio vederci chiaro...

L'attentato avvenuto pochi giorni fa a Parigi, nella sede del Charlie Hebdo si presenta, già ad una prima apparenza, come tanti attentati di questo genere: pieno di stranezze, contraddizioni e punti oscuri.
I documenti lasciati nella macchina dai presunti terroristi, questi ultimi che sono entrati tranquillamente in Francia e giravano con i kalashnikov, un poliziotto che indagava sull'attentato suicida (o ammazzato?) e altro ancora.

Dopo due giorni di inseguimenti, la polizia francese uccide dei terroristi. "Scoperti" grazie ai documenti distrattamente lasciati da loro (o messi volutamente da qualcun altro?).
Ma sono veramente gli attentatori? Oppure questi terroristi uccisi servono solo come copertura e depistaggio?
Fatto sta, che se anche fossero stati i veri attentatori, ora non possono più parlare (e rivelare magari cose scomode).

Dal momento che in questi casi parte sempre un'ondata di critiche e accuse di "complottismo" o di eccessivo "dietrologismo" (alcune sicuramente in buona fede, altre meno) a chi prova a mettere in dubbio la versione ufficiale dei mass-media e ciò che appare superficialmente, iniziamo proprio dall'ipotesi che sembra più palese e più accreditata dai mass-media: i terroristi autori dell'attentato al Charlie Hebdo di Parigi sono degli estremisti islamici, che intendono punire la rivista in questione, per le sue vignette contro l'islam.

Nessuno mette in dubbio che esistano persone fanatizzate e accecate dall'odio (in Medio Oriente, come fra gli europei e gli italiani) e che sarebbero disposte anche a sacrificare la loro vita per la causa della loro religione, senza riflettere troppo sulla bontà o l'utilità dell'azione che compiono.
E infatti queste persone di solito vengono usate come manovalanza, come esecutori materiali degli attentati. Ma simili individui difficilmente sarebbero in grado anche di organizzarli e prepararli (specialmente in paesi supercontrollati, come la Francia o gli USA).
In modo particolare, l'attentato di Parigi è indubbiamente opera di professionisti e soprattutto la sua preparazione ha richiesto una certa intelligenza, considerando il fatto che tra l'altro gli attentatori sono riusciti ad ingannare in più occasioni la polizia (e, almeno in teoria, anche i servizi segreti francesi).

Ora, è possibile che simili menti raffinate non arrivano a capire che un'azione del genere è molto più dannosa che utile alla religione islamica?
Vuoi perchè porta a rafforzare il controllo e la repressione poliziesca nei confronti delle moschee e dei mussulmani in genere, vuoi perchè scatena l'odio di milioni di occidentali contro di essi, vuoi perchè arreca un danno d'immagine agli islamici infinitamente maggiore di qualunque vignetta satirica (come giustamente ha fatto notare il leader di Hezballah), facendoli passare per pazzi, fanatici, violenti, intolleranti e criminali.

E infine, vuoi perchè -come la storia ripetutamente ci insegna- simili attentati sono un ottimo pretesto per scatenare una guerra.
Tanto è vero che praticamente tutte le comunità islamiche (di diversi orientamenti) hanno condannato senza appello tale azione (tra l'altro ancora non mi risulta che ci sia stata una rivendicazione esplicita).

A me sembrano motivi sufficienti per escludere l'ipotesi del fanatismo islamico (ma ce ne sono altri ancora, come vedremo).
Chi sono stati allora gli ideatori e gli organizzatori dell'attentato di Parigi?
Ovviamente è difficile dare una risposta.

In questi giorni sono uscite fuori diverse interpretazioni possibili dell'evento.
Tenderei ad escludere quella per cui tale attentato favorirebbe la Russia. Non vedo francamente in che modo possa farlo (qualcuno ritiene che la Russia voglia favorire la Le Pen, perchè pare che un'impresa russa abbia finanziato il FN; ma allora quando -per esempio- il FN e le altre forze di destra prendono finanziamenti da imprese italiane o francesi, ciò significa che sono Renzi e Hollande ad appoggiarle?)

Va detto invece che il terrorismo "islamico" (soprattutto l'Isis, ambito da cui sembrerebbero provenire i terroristi) è stato ampiamente alimentato dall'Occidente, in modo sia diretto, che indiretto.
Indiretto, perchè gli interventi militari in Afghanistan, in Iraq ed in Libia favoriscono reazioni di odio e di rancore verso l'Occidente invasore.
Diretto, perchè diverse formazioni estremiste "islamiche" (o pseudo-tali) -tra cui l'Isis- hanno avuto ampi appoggi, finanziamenti e armamenti da parte degli USA e degli altri paesi europei. Attraverso l'Arabia Saudita (da sempre alleata USA e di Israele), ma anche direttamente.
Non dimentichiamoci che i militanti dell'Isis sono stati definiti negli anni scorsi "combattenti per la libertà" da parte dei politici e dei mass-media europei e americani, in quanto combattevano contro la Siria di Assad (che soprattutto gli USA vedono come nemico).

Certo, il fatto che tale organizzazione terroristica sia stata finanziata e appoggiata dagli occidentali non comporta, in linea di principio, che non possa ad un certo punto, decidere di agire anche autonomamente, a prescindere o addirittura contro l'Occidente.
Ma qui ritorniamo alle considerazioni fatte sopra: quale interesse avrebbe quest'organizzazione a mettersi contro tutto il mondo (islamico compreso)?

In conclusione, reputo assai difficile -se non impossibile- che l'attentato di Parigi sia stato compiuto senza quantomeno l'avallo di qualche servizio segreto occidentale. Che siano quelli francesi, o la CIA, o il Mossad (o più di uno, in collaborazione tra di loro) probabilmente non lo sapremo mai.
Ma l'importante è tentare di capire quale potrebbe essere lo scopo di tale gesto.

Indubbiamente dall'evento ne trarranno vantaggio quelle forze politiche europee di estrema destra e xenofobe, e nello specifico, il Front National di Marine Le Pen. Ma c'è da dubitare che sia quello l'obbiettivo principale: di solito attentati del genere hanno un respiro più ampio, inerente alla politica internazionale.

Secondo me, le ipotesi più probabili sono due.
O sono stati gli stessi 007 francesi, per spingere la Francia (e non solo) ad un intervento militare (e a giustificarlo), presumibilmente contro la Siria.

Oppure -cosa che ritengo assai più probabile- c'è di mezzo la CIA e gli interessi degli Stati Uniti.
Per comprendere la cosa, andrebbe accennato il retroscena.

Lo scenario è quello in cui gli USA da anni premono per un'escalation del conflitto in Siria e soprattutto contro la Russia (e, indirettamente, contro la Cina). Non dimentichiamo che un paio di anni fa, USA ed Europa scalpitavano per attaccare militarmente la Siria (che gli americani considerano un nemico), come avevano appena fatto con la Libia.
Ma fu proprio la Russia ad opporsi e ad impedirlo.
Non è certo per caso che solo pochi mesi dopo il mancato intervento in Siria, arriva il colpo di Stato neonazista in Ucraina -malamente camuffato da "rivoluzione"- a poche centinaia di chilometri da Mosca. Appoggiato dall'Occidente.

Da lì si inaspriscono le tensioni con la Russia, fino ad arrivare alle recenti sanzioni economiche da parte dell'Unione Europea e ovviamente degli Stati Uniti.
Sanzioni che però l'Europa ha deciso evidentemente controvoglia -pressata dagli USA- perchè queste danneggiano non tanto la Russia (che sta lavorando con successo per trovare altri canali commerciali con cui rimpiazzare l'Europa, Cina in testa) quanto i paesi europei -tra cui l'Italia- che con la Russia avevano importanti legami economici.

Non a caso la Germania e la Francia stavano pensando a rimettere in discussione tali sanzioni. Sanzioni che invece per gli USA sono strategiche e vorrebbero, anzi, che gli europei le inasprissero ulteriormente.
Pochi giorni prima dell'attentato al Charlie Hebdo -coincidenza?- il Presidente francese Hollande aveva detto esplicitamente che occorreva rivedere le sanzioni alla Russia.

L'attentato, quindi, potrebbe essere un vero e proprio avvertimento in stile mafioso e un "invito" -rivolto alla Francia, ma anche al resto dell'Europa- a subordinarsi alle direttive del padrone-USA.


Vedremo nelle prossime settimane che cosa accadrà.
Se Francia e Germania avranno il coraggio di disobbedire agli USA (per l'Italia la vedo dura...) e decideranno di ritirare le sanzioni alla Russia, oppure no.
E se incomincierà un'altra guerra. A partire, sembra, dalla Siria, ma alla fine per colpire la Russia (e la Cina).

sabato 13 dicembre 2014

mafia capitale: il privato è il problema, non la soluzione


Che nei decenni scorsi Roma fosse controllata da poteri mafiosi ci voleva poco a capirlo.

Basterebbe farsi un viaggetto in città come Lisbona, Madrid o Atene (senza scomodare le varie Londra, Berlino e Parigi) per rendersene conto: lì abbiamo città relativamente pulite, infrastrutture moderne, servizi efficienti, a cominciare dal trasporto pubblico (Atene forse non tanto, ma comunque sempre meglio di Roma).

A confronto di città come Madrid, Roma assomiglia molto più a Calcutta o al Cairo: caos, sporcizia, traffico, disordine, scarso rispetto del codice stradale, mezzi pubblici sempre pienissimi (quando si degnano di passare), poca attendibilità delle indicazioni e degli orari, ecc.



In effetti dà da pensare il fatto che a Madrid sono bastati 3 anni di lavori per costruire una nuova linea metropolitana di ben 30 stazioni, mentre a Roma ci sono voluti 7-8 anni per prolungare la linea A da Ottaviano a Battistini (5 fermate) e altrettanti per la linea B, da Piazza Bologna a Conca d'Oro (3 fermate), nonostante che entrambe le tratte si trovassero in zone di Roma praticamente prive di rovine archeologiche. Taccio per pudore sulla linea C.



Eppure a Roma girano sicuramente molti, ma molti più soldi che in città quali Madrid, Lisbona o Atene. Dove vanno a finire tutte queste immense risorse? Evidentemente in mani private (e buona parte anche alla Chiesa Cattolica, per la verità).



Non mi dilungo su tutto il vastissimo sviluppo del mondo della corruzione romana, anche perchè forse non basterebbe un intero libro per renderne conto in modo esaustivo. E comunque è compito della magistratura farlo.

Ma alcune considerazioni politiche andrebbero fatte:



  1. non è vero che "sono tutti uguali".

Il mio non vuole certo essere un goffo tentativo di difendere la "sinistra" (anche perchè non ho mai considerato tale il PD, fin dalla sua nascita).

E' ovvio che "mafiopoli" a Roma esiste da decenni e ha tranquillamente prosperato sotto i mandati di Rutelli e di Veltroni, coinvolgendo non pochi esponenti dell'attuale PD.

Anche se c'è da rilevare che con Alemanno tale sistema di governo corrotto si è sviluppato al massimo e s'è aggravato e generalizzato come mai prima.


Contro ogni retorica anti-partito, ci sono dei partiti che sono rimasti del tutto estranei a tali pratiche, come Rifondazione Comunista (lo stesso Luigi Nieri, che peraltro non risulta nemmeno indagato, è uscito nel 2008 dal PRC e ora si trova in SEL).

Non solo: sia Rifondazione Comunista che il PdCI hanno ripetutamente denunciato tali illegalità negli anni scorsi, ma sono rimasti inascoltati.



  1. il privato è il problema e non la soluzione

Come è tipico di un paese provinciale, come l'Italia -dove anche nei grandi capitalisti domina una mentalità da bottegaio furbetto- subito si approfitta dell'inchiesta su mafia capitale, per riproporre le solite privatizzazioni, in questo caso delle aziende municipalizzate (come se le privatizzazioni non avessero già fatto troppi danni, vedi Telecom, Alitalia, Trenitalia, ILVA, ecc.).



Ma oggi non siamo più negli anni 80-90, ai tempi di Tangentopoli: allora chi rubava, lo faceva per il partito. Oggi chi intasca illecitamente soldi, lo fa per sè (o al massimo per la propria cricca o clientela).

Le privatizzazioni porteranno ulteriormente acqua al mulino dei vari Caltagirone, ossia, di aziende che faranno profitti elevati, licenziando migliaia di lavoratori (è questo il primo biglietto da visita del privato), e soprattutto erogando servizi in funzione del solo rendimento economico.

Ossia, tradotto: se l'utenza avrà soldi da spendere, otterrà un servizio discreto, se non può farlo si dovrà accontentarne di uno pessimo, o di nessun servizio proprio (ad esempio, quartieri periferici popolari rimarrebbero praticamente privi di trasporto pubblico).

Le privatizzazioni faranno la felicità proprio dei vari Buzzi (ossia, finte cooperative, ma di fatto aziende capitaliste) e degli altri affaristi più o meno corrotti.

Di solito, poi, quando si privatizza, la parte più onerosa del servizio, e anche quella meno redditizia, rimane in mano pubblica (cioè a spese nostre).





Le privatizzazioni sarebbero dunque un rimedio peggiore del male.

Ciò perchè in realtà "mafia capitale", a differenza di ciò che comunemente si crede, non è il risultato della semplice disonestà delle persone. E' proprio il modo in cui di solito il capitalismo funziona, nelle sue aree periferiche.
La corruzione generale e le varie mafie del Sud Italia sono state il prodotto di politiche che dall'Unità d'Italia hanno sempre favorito il Settentrione (e in modo particolare il triangolo industriale) a scapito del resto dell'Italia.

La cosa s'è poi aggravata per il fatto che dal '45 siamo -di fatto- una semi-colonia americana (la mafia siciliana è prosperata nel dopoguerra proprio grazie agli USA).



Solo il pubblico controllato può e deve ovviare al sistema di corruzione imperante a Roma e in Italia. E per questo serve che il popolo deve partecipare attivamente alla politica e non disinteressarsene.

Il più grande successo dei politici (e imprenditori) disonesti si ha proprio quando "la gente" si allontana dalla politica dicendo "tanto sono tutti ladri".

lunedì 1 dicembre 2014

Malcontento, criminalità, degrado, immigrazione.

A scanso di equivoci, dico subito che concetti quali "buonismo" o "tolleranza" non mi appartengono. E a ben vedere non appartengono praticamente a nessuno.
Se di tolleranza si può parlare, in Italia, è quella che c'è sempre stata verso l'illegalità in genere (siamo pur sempre il paese dell'evasione fiscale, dell'abusivismo edilizio e delle grandi organizzazioni criminali, e altro ancora).


In realtà, più che essere "buono" o "tollerante", chi governa dovrebbe, secondo me, fare qualcos'altro: studiare i vari fenomeni problematici (criminalità, ecc) per capire come intervenire in modo adeguato. Altrimenti rischiamo di scadere nei soliti slogans, tanto suggestivi, quanto demagogici e irrealistici, quali "tolleranza zero". Oppure si approvano leggi, quali la Bossi-Fini, improntati alla repressione, e che addirittura introducono il reato di clandestinità, ma con i risultati che abbiamo sotto i nostri occhi.
Contrariamente all'apparenza, diversi dati statistici dimostrano che immigrazione e delinquenza sono fenomeni che hanno poco a che fare l'uno con l'altro. Anche se in parte si intersecano.


Cominciamo dal primo fenomeno: l'immigrazione.
Intanto la prima cosa da rilevare è che la percezione comune degli italiani sugli immigrati è fortemente distorta dalla realtà dei fatti, e risente di numerosi pregiudizi e stereotipi.
In un sondaggio recente, infatti, gli intervistati ritengono -in media- che la percentuale di extracomunitari rispetto al totale della popolazione residente in Italia sia intorno al 30%. Nella realtà essa è del 7% (una differenza molto significativa).
Anche la percentuale degli islamici è fortemente sopravvalutata, rispetto alla reale consistenza. La stragrande maggioranza degli immigrati, inoltre, lavora e quelli che delinquono sono una infima minoranza (ma che purtroppo fa tantissima notizia).
Tra l'altro non risulta che ci sia stato un aumento significativo degli eventi criminali negli ultimi 25 anni (periodo del boom dell'immigrazione).


La percezione diffusa -in Italia- rispetto all'immigrazione è poi fortemente condizionata da una sterminata serie di "notizie" – riportate quasi sempre in modo scorretto e distorto, quando non proprio inventate di sana pianta- e bufale varie, che girano ad esempio, sui social network (soprattutto facebook), le quali cercano di suscitare indignazione sulla gente, fantasticando improbabili servizi, alloggi o sussidi che sarebbero elargiti generosamente agli immigrati (perfino clandestini), e negati agli italiani.
Si tratta di fantasie allo stato puro, eppure credute per vere da non poche persone, e sulle quali le varie forze di destra, in mancanza di argometi più seri, tentano di costruire i loro successi, speculando sulla creduloneria della gente.


Molti italiani si domandano: "ma perchè non se ne stanno/tornano a casa loro?"
La risposta è che secondo me la stragrande maggior parte degli extracomunitari ritornerebbero molto volentieri "a casa loro" se ce ne fossero le condizioni: ossia, se i paesi ricchi (inteso ovviamente le grandi multinazionali e il potere finanziario) la smettessero di sfruttare pesantemente le risorse dei loro paesi, condannandoli al sottosviluppo, e, come se già non bastasse, fomentando continuamente conflitti vari, per accaparrarsi delle loro ricchezze, oltre che per arricchire le grandi lobbies delle armi.


Passiamo alla criminalità.
Ovviamente il tema è vastissimo e complesso, per con cui poche righe si può farne sono una breve e non esaustiva sintesi.
Intanto andrebbe premesso che in Italia i fenomeni criminali (e l'illegalità in generale) sono stati storicamente molto "tollerati" (quando ancora di immigrati non se ne vedeva nemmeno l'ombra). Non a caso siamo, tra l'altro, la patria delle varie organizzazioni mafiose. A mio modesto parere, se si vuole contrastare seriamente la criminalità, occorre agire -molto sinteticamente- su due versanti: da una parte, le istituzioni dovrebbero intervenire per eliminare il più possibile le condizioni di degrado e di emarginazione sociale e lavorativa, garantendo a tutti i cittadini la possibilità CONCRETA di guadagnarsi da vivere onestamente.
A quel punto -ed è il secondo versante- la legge può, anzi deve intervenire in modo inflessibile ed efficace contro chiunque commetta atti criminali (altrochè "buonismo").


Infatti, se è inutile punire, ad esempio, un ladro, quando questo non ha altri mezzi per poter sopravvivere, diventa assolutamente necessario farlo nel momento in cui egli ha la possibilità effettiva di vivere onestamente, lavorando.
Quando poi si ha a che fare con la grande criminalità organizzata, lì occorrerebbe intervenire in modo pesante.
Ma non certo -come si fa da noi- in modo "scenografico", tipo mandando l'esercito per le strade (non ne vedo proprio l'utilità). Bensì colpendo tali organizzazioni soprattutto a livello economico e soprattutto colpendo "in alto". Serve a poco arrestare i piccoli pesci, facilmente sostituibili.


Tornando al nesso criminalità-immigrazione -fenomeno, come già detto, molto più limitato di quanto appaia- vanno quantomeno distinte due tipologie di casi (in realtà sarebbero di più, ma mi attengo ai casi più frequenti):
Tra gli immigrati ci sono i delinquenti "incalliti", ossia, quelli che erano già tali al paese loro, prima di venire in Italia. E lì sì, che servirebbe un intervento in modo deciso.
Ma non sempre è facile: alcuni di loro godono di qualche forma di protezione, magari perchè legati a grandi organizzazioni criminali mafiose (italiane o internazionali), con agganci nelle istituzioni, o perchè comunque fanno comodo a qualche potente.
Molti delinquenti, poi, arrivano da noi grazie a veri e propri accordi tra lo Stato italiano e quello del loro paese di provenienza (di cui non si parla, per ovvi motivi; è il caso di numerosi criminali romeni).


Poi ci sono i ladruncoli diciamo "occasionali", ossia poveri disperati che rubicchiano per sopravvivere. Nella quasi totalità dei casi essi smettono di farlo non appena riescono a trovare un briciolo di lavoro.


In conclusione, tutto il malumore della popolazione contro il degrado e la delinquenza è perfettamente comprensibile.
Ma ciò è dovuto alla tendenza da parte delle istituzioni e del ceto politico (direi "bipartisan") a far politiche che privilegiano i ceti sociali più abbienti e -territorialmente- i quartieri più centrali (o residenziali) delle città. Mentre, al contrario, si scaricano tutti i problemi e l'incuria nelle zone dove abitano i ceti più proletari.
Poi, un po' l'ignoranza, un po' le speculazioni politiche delle destre, spingono molti cittadini esasperati a prendersela -a torto- contro gli immigrati (o contro i Rom).


Servirebbe un intervento appropriato (e non propagandistico) se si vuole veramente contrastare le condizioni di degrado e insicurezza. Ma temo che finchè domineranno le politiche liberiste -e finchè ci sarà capitalismo- sarà molto difficile: le condizioni di degrado, povertà, emigrazione (sia di italiani all'estero che di extracomunitari da noi), disoccupazione, sono connaturate al capitalismo.