venerdì 11 novembre 2016

Il prevedibile successo di Trump


Il trionfo di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti non mi sorprende più di tanto.
Per la verità davo per più probabile la vittoria della Clinton, più che altro perché era palesemente sostenuta dai cosiddetti “poteri forti”, ossia, dalla grande finanza, dalle grandi lobbies americane.
Tuttavia il successo di Trump giunge tutt’altro che inaspettato. Anzi, a ben vedere era prevedibilissimo.

Tale successo rappresenta un fenomeno pienamente in linea con una tendenza che possiamo ben notare anche in Europa, ossia, la crescita continua –negli ultimi decenni e soprattutto negli ultimi anni- delle forze politiche di estrema destra, populiste e xenofobe. Ciò sta accadendo in paesi come la Francia, la Gran Bretagna, l’Austria, l’Ungheria e perfino nei paesi nordici. E le prime avvisaglie ci sono pure in Germania.
Le uniche eccezioni sembrano essere la Spagna, la Grecia e il Portogallo, forse, non a caso, paesi che hanno avuto delle dittature di destra anche in anni relativamente recenti.

In Italia tale tendenza ha assunto forme particolari, ma si era già presentata negli anni ’90, con l’affermazione di una forza come Alleanza Nazionale e soprattutto della Lega Nord.
Negli anni più recenti –complice anche l’esperienza governativa deludente di queste due formazioni- tale tendenza ha assunto soprattutto la forma qualunquista del M5S.

Ma come mai accade tutto ciò?
Stiamo iniziando, secondo me, a raccogliere i frutti della grande ondata di restaurazione capitalistica di stampo liberista, iniziata già negli anni ’80, con Reagan e la Thatcher ed “esplosa” negli anni novanta, dopo il crollo del Muro di Berlino e del Patto di Varsavia.
Tale restaurazione, come sappiamo, ha comportato privatizzazioni e un graduale, ma sistematico smantellamento dei servizi sociali e soprattutto del salario e dei diritti dei lavoratori.

Oggi il lavoro precario e sottopagato nei paesi europei sta diventando sempre più la norma.
A ciò s’è aggiunta, in questi decenni, un’ondata immigratoria biblica e senza precedenti, almeno per quanto riguarda le dimensioni. Fenomeno che purtroppo viene utilizzato dagli imprenditori per abbassare ulteriormente il costo del lavoro generale.
Non mi soffermo troppo sull’argomento immigrazione, anche se andrebbe tenuto bene a mente che le responsabilità principali di tale fenomeno ricadono proprio sui paesi ricchi e benestanti, non solo e non tanto per le guerre che provocano nei paesi poveri –il dato più visibile- ma anche e soprattutto per il massiccio sfruttamento economico a cui sottopongono questi paesi, impedendo così il loro sviluppo economico, politico, culturale, tecnologico, medico, ecc.

Ma se le società occidentali hanno tutto sommato retto, finché l’economia continuava ad andare discretamente bene, ora le cose sono molto cambiate.
La crisi economica esplosa a partire dal 2007-08 sta mandando in rovina buona parte delle attività economiche europee e americane. Imprese che chiudono, negozi che falliscono e soprattutto aumento massiccio della disoccupazione, alimentata anche dalle delocalizzazioni.
E il problema maggiore sta nel fatto che le risposte istituzionali alla crisi si muovono tutte nella cornice delle politiche liberiste, ossia precisamente quelle misure che hanno prodotto tale crisi (dato che hanno in sostanza ripristinato un capitalismo di tipo classico).

E dunque il malcontento di vasti settori cresce. E non si tratta soltanto di un malcontento proletario, bensì anche di settori piccolo-medio borghesi.
Ed è una sofferenza che prima o poi doveva esprimersi e si sta infatti esprimendo.
Ma perché si esprime proprio in queste forme?
Semplice: perché oggi come oggi in Europa e negli USA praticamente non ne esistono delle altre.

Ossia, in questi decenni il processo di annientamento delle forze di sinistra o comuniste che effettivamente rappresentavano gli interessi dei ceti popolari, dei lavoratori, è andato avanti così a fondo, che queste forze sono ormai quasi scomparse, deboli, e non di rado confuse con la “sinistra” vincente, ossia quella che rappresenta il grande capitale finanziario, le multinazionali, le banche e i settori guerrafondai della NATO.
Negli Stati Uniti ciò era accaduto già da tempo, mentre in Italia è roba degli ultimi 30 anni. In altri paesi europei forse tale processo non è andato così a fondo, ma comunque le sinistre che difendono i ceti popolari sono deboli un po’ dappertutto.
Tira e tira, prima o poi la corda si spezza. E se non può spezzarsi a sinistra, si deve per forza spezzare a destra.

Il discorso per la verità sarebbe più profondo. E’ un dato di fatto, ad esempio, che nei paesi occidentali la forma, i modi di espressione del malumore sociale vengono oggi -a causa, appunto, di tale fenomeno- lasciati in mano ai settori borghesi critici (ossia, a quella parte della borghesia che viene danneggiata dalla cosiddetta “globalizzazione”, o, ad esempio, dall’euro). Con i ceti popolari che gli vanno appresso (anche se, a dire il vero, il malumore popolare si esprime forse ancor più nell'astensionismo).
Il caso di Trump, imprenditore miliardario, è emblematico.
Ciò lascia pensare che i ceti proletari in questa fase non hanno la capacità di essere protagonisti di un ciclo di lotte -come è stato nei decenni del dopoguerra- e si affidano a settori borghesi “critici” e tendenzialmente di destra, per sperare nella loro emancipazione.
Ovviamente solo sperare, perché non saranno dei miliardari a risolvere i problemi dei ceti popolari (discorso da tenere a mente anche in Italia).

Sono tempi bui e difficilissimi, certo.
La fase di decadenza –a livello mondiale- del mondo occidentale sta evidentemente spostando verso altri continenti le dinamiche di sviluppo e di progresso.

Tuttavia, anche in una fase come questa occorre non stare fermi e passivi, ma rilanciare un'attività e una cultura di sinistra SERIA, ossia, quella che si occupa principalmente di difendere i ceti proletari, i lavoratori e tutti gli strati più disagiati della popolazione.

lunedì 3 ottobre 2016

Aleppo, emergenza umanitaria e mass-media


Da quando è iniziata la recente offensiva russo-siriana per riprendere Aleppo est, ossia, quella parte della città da anni in mano alle bande estremiste islamiche, siamo stati anche noi in qualche modo "bombardati" di notizie e di immagini relative alle sofferenze che tale attacco creerebbe alla popolazione civile e ai bambini.
Sono immagini e racconti strazianti indubbiamente. La guerra e' una cosa veramente orribile, come è noto.
Tutta questa improvvisa sensibilità dei nostri mass-media verso il dramma che si vive la popolazione civile sarebbe lodevole e quasi commovente, se non fosse, però, anche così ipocrita , fuorviante e soprattutto strumentale.

Intanto perché, per limitarci solo agli ultimi 20 anni, gli USA e la NATO hanno bombardato decine e decine di città (l'elenco è sterminato, da Belgrado a Baghdad, a Kabul, Fallujah, Mossul, Tripoli, Sirte, Bassora e parecchie altre ancora), senza che i TG e i quotidiani nostrani si siano mai preoccupati di indagare le ripercussioni di tali azioni sulla popolazione civile.
Lo fanno solo ora, che ad attaccare sono i siriani e i russi.

Non solo: da oltre un anno lo Yemen, e soprattutto la sua capitale Sana'a, sono sottoposti a continui bombardamenti da parte dell'aviazione saudita.
Ma quanti di voi sono al corrente non dico delle condizioni della popolazione civile locale, ma del fatto stesso che nello Yemen sia in corso una guerra, o meglio, un'aggressione da parte dell'Arabia Saudita (a cui l'Italia peraltro vende numerose armi)?

E ancora: la popolazione civile di Aleppo è sottoposta a bombardamenti, sparatorie e a violenze e sofferenze di ogni tipo, già da almeno 4 anni. Ossia, da quando i terroristi fondamentalisti di Al Nusra (Al Qaeda) hanno occupato i quartieri orientali della città, seminando odio, distruzioni, intolleranza. Il tutto con la benedizione -e soprattutto i finanziamenti e le armi- dell'Occidente (USA e Francia in primis) e dei suoi alleati (Arabia Saudita, Turchia, Qatar), i quali non hanno esitato a qualificare questi tagliagole come "combattenti per la libertà".
E infatti, sembra che la maggior parte della popolazione civile di Aleppo est stia, invece, accogliendo l'esercito siriano come dei liberatori. Sebbene i nostri TG e quotidiani tacciano tutto ciò.

Tra l'altro, dal momento che ad essere sotto accusa, da parte dei nostri mass-media, è il governo siriano (e ovviamente anche la Russia), andrebbe ricordato che cos'era Aleppo prima dell'inizio del conflitto: una città molto tranquilla, economicamente prospera, dove le diverse confessioni religiose (in Siria c'è una nutrita componente cristiana) convivevano pacificamente.
Il tutto in un paese autoritario, certo, ma assai meno della maggior parte dei paesi del Medio Oriente, e che stava per effettuare aperture in senso democratico.
E poi parliamo di un "regime" fortemente laico, uno dei pochi rimasti tali nel mondo arabo, soprattutto dopo che negli anni scorsi la NATO ha fatto fuori Saddam Hussein e Gheddafi.

Ma ritorniamo alla "notizia" sulle sofferenze della popolazione civile.
Contrariamente a quanto qualcuno potrebbe credere, l'informazione che calca la mano sui drammi umani relativi alla guerra (con tanto di immagini raccapriccianti), lungi dal dimostrare "sensibilità" nei loro confronti, risponde, invece, ad una precisa tecnica comunicativa. Quella -oggi così di moda- di suscitare forti reazioni emotive nell'utente.
L'indignazione e la rabbia suscitate da queste reazioni emotive vengono poi abilmente -a volte anche molto sottilmente- dirottate verso nemici di comodo, i "cattivi" di turno.

Non è un caso, infatti, che l'indignazione per le sofferenze della popoloazione civile di Aleppo est esca fuori proprio adesso. Ossia, proprio ora che la Siria -con il determinante supporto della Russia- sta legittimamente riprendendosi i quartieri della città, strappati a suo tempo dai tagliagole fondamentalisti.

E mandando, così, a monte i piani di USA e di Israele di destabilizzazione della Siria (e del Medio Oriente in genere), sul quale stanno lavorando da anni, utilizzando le varie sigle terroriste e fondamentaliste (Daesh, ossia Isis, Al Nusra e altre ancora).

lunedì 12 settembre 2016

Giunta Raggi, le difficoltà hanno diverse cause


Oggi potrebbe sembrare fin troppo facile "sparare sulla croce rossa", attaccando la neo-sindaca di Roma, Virginia Raggi e la sua giunta "raffazzonata". Ma a me, più che gettare benzina sul fuoco, interessa fare -e invitare a fare- dei ragionamenti di fondo.

I pentastellati da una parte hanno ragione quando affermano che è in atto una campagna mediatica di giornali e TG contro di loro (anche e soprattutto in vista del referendum costituzionale).
Peccato che moltissimi sostenitori di Grillo scoprano soltanto ora la faziosità dei mass-media e la strumentalità delle loro campagne diffamatorie. Mi auguro, comunque, che essi facciano tesoro di questa "scoperta" e se ne ricordino anche in futuro, quando ad essere prese di mira saranno pure le altre forze politiche, italiane o anche paesi esteri (vedi ad es. Libia, Iraq, Russia, ecc.).

Ritorniamo ai problemi della Giunta Raggi.
Mesi fa, prima delle elezioni comunali romane, avevo previsto 2 o 3 possibili scenari, nel caso che avesse vinto il M5S. La realtà, devo dire, mi ha sorpreso e ha prodotto un quarto scenario, da me non previsto (e credo da pochi).
Ossia, che la crisi e il rimpasto della giunta sarebbero arrivati a soli tre mesi dall'insediamento di questa, e già sulle nomine degli incarichi istituzionali e di responsabilità.
Non entro nel merito delle vicende relative a Ranieri, Minenna, Muraro, Marra, ecc., di tutto ciò si è già abbondantemente parlato, e non sono interessato all'aspetto cronachistico, bensì semmai alle questioni di fondo, che di solito passano inosservate ai più.

Sui limiti del M5S ho già trattato altro volte sul mio blog, per cui mi limito a qualche breve accenno molto sintetico.
Se il punto forza del "movimento" sta di sicuro nelle sue capacità comunicative -indubbiamente eccezionali- per il resto tale forza politica lascia parecchio a desiderare e sembra essere un classico fenomeno di opinione, quasi una moda.
In modo particolare, la mancanza -anzi, il rifiuto- di una visione complessiva e coerente della società e della politica, se permette al M5S di acquisire consensi di massa di ogni tipo e colore politico, genera, tuttavia, alla lunga un'enorme confusione, aggravata dalle modalità selettive dei loro candidati elettorali. Non è un caso che un'elevata percentuale di eletti pentastellati finiscano poi per "litigare" con Grillo, e non di rado vengano cacciati via.
Anche perché un conto è la politica "urlata" (di solito, poi, diretta contro personaggi secondari, anche se noti al grande pubblico) e un altro è quella istituzionale, fatta di mediazioni fra interessi, fatta di "poteri forti", di pressioni -perfino di minacce- e dove si devono gestire centinaia di milioni, se non miliardi (per cui, l'auto-ridursi lo stipendio, sebbene appaia una misura da apprezzare, incide in realtà sui bilanci in modo del tutto trascurabile).
Tra l'altro, termini come "onestà", che pure fanno presa su un elettorato politicamente ingenuo, finiscono per occultare la realtà di un un paese capitalistico e membro della NATO, come l'Italia, dove la politica è, di fatto, completamente subordinata agli interessi di soggetti potentissimi -italiani e stranieri- quali le multinazionali, le banche, la BCE, gli USA. Quei pochi che hanno provato, in passato, ad opporsi, hanno fatto una brutta fine (Enrico Mattei, Aldo Moro, ecc.).

Di nuovo, ritornando sulla Giunta Raggi, secondo me occorre fare una riflessione su almeno tre questioni.

La prima riguarda il Comune di Roma.
La carica di sindaco capitolino è diventata in questi ultimi anni una vera e propria "patata bollente" (Marino ne sa qualcosa). Vuoi perchè lo Stato ha fortemente decurtato i finanziamenti agli Enti Locali, vuoi per la questione del debito (composto in gran parte dagli interessi sul debito precedente, ma, si sa, il lucro delle banche è "sacro", mentre Roma e i suoi abitanti contano molto meno), vuoi per gli enormi problemi accumulati che si porta dietro questa città, i quali, certo, in questo clima da "spending review" non solo diventano del tutto irrisolvibili, ma si rivela un'impresa ardua anche solo provare a metterci una toppa. Per non parlare di "Mafiacapitale".
Insomma, diventare oggi sindaco di Roma significa, con una probabilità quasi certa, bruciarsi.

La seconda questione riguarda il sempre più continuo e massiccio intervento -negli assetti politici- della magistratura, nonché dei mass-media e delle loro campagne diffamatorie. Quando poi il lavoro della magistratura si associa a quello dei giornali e dei TG -il che non avviene sempre, ma avviene- ecco che un personaggio o un governo o una giunta, eletti dai cittadini, finiscono per decadere (o vengono fortemente condizionati/ricattati).
Da notare che quando si parla di magistratura, si parla di esseri umani corruttibili (e spesso corrotti o comunque condizionati), e che in passato in Italia hanno mandato assolti terroristi stragisti, hanno depistato le indagini (o le hanno ignorate), ecc. Insomma, detto fra noi, Falcone e Borsellino sono stati più un'eccezione che non la regola.

C'è poi una terza questione, quella relativa al consenso di massa che ha oggi il M5S. Un consenso derivante da malumori, sofferenze, delusioni, spaesamento, rabbia, ma anche speranza e volontà di cambiamento.
Il consenso ai pentastellati è per la verità assai eterogeneo a livello sociale. Ci sono settori di piccola, media e perfino di grande borghesia che appoggiano Grillo, a causa dei grossi problemi derivanti da una parte dalla crisi economica e, dall'altra, dalle politiche dell'Unione Europea -e soprattutto dell'area-Euro- che sta portando a fallimenti e chiusure di aziende, negozi e altre attività. Ma questi settori mi interessano fino ad un certo punto.

Molto più significativo, a mio avviso, è il massiccio consenso popolare di cui gode attualmente il M5S. E che soprattutto a Roma risulta molto evidente (i voti alla Raggi provengono soprattutto dai quartieri periferici e popolari).
Sulle sofferenze dei ceti proletari c'è poco da scoprire. La crisi economica e le politiche liberiste stanno letteralmente massacrando in modo particolare i lavoratori. Il lavoro è sempre più precario e sottopagato, le pensioni stanno per diventare un miraggio per le giovani generazioni, i servizi sociali sono sempre più scarsi e soggetti a tagli, accendere un mutuo sta diventando un'utopia, e così via.

Una grossa fetta di questo malcontento si è rivolta, negli scorsi anni, al "movimento" di Grillo (e Casaleggio), convinta di trovarsi davanti finalmente una forza politica veramente nuova e diversa dalle altre e che avrebbe mandato a casa ladri e corrotti.
Solo che ci stiamo sempre più accorgendo che le cose non sono così semplici, E, proprio per questo, i pentastellati riescono a dare il meglio di sé soltanto quando sono all'opposizione e devono criticare gli altri. Quando sono loro a governare, il discorso cambia aspetto.
D'altronde un grosso errore che commettono è quello di additare come responsabili dei problemi dell'Italia soprattutto i soliti politici "ladri e disonesti".
E questo è falso.
Ruberie e corruzioni esistevano anche durante gli anni '60, in pieno boom economico, nonché nei decenni successivi, quando pure c'era un relativo benessere diffuso anche tra i ceti popolari.
Non solo, l'Italia soffre (ed è indebitata) anche a causa di una piaga enorme, cioè la gigantesca evasione fiscale dei ricchi, sulla quale, curiosamente, il M5S è sempre stato silente.

In realtà la causa principale dei problemi economico-sociali dell'Italia, debito pubblico compreso, risiede nelle politiche liberiste, attuate massicciamente nei decenni scorsi (e, in ultima analisi, nel capitalismo).
Dunque, tutto il malcontento popolare -che sfoci nel M5S o nell'astesionismo o in altre forze politiche, poco cambia- è ampiamente comprensibile e legittimo.
Ma affinchè esso possa tradursi anche in un'azione politica efficace, deve prima prendere coscienza che il problema sta soprattutto nelle politiche liberiste che ci impone l'Europa (e la Confindustria).
E anche, per la verità, nelle politiche guerrafondaie della NATO, per le quali l'Italia spende quotidianamente cifre veramente astronomiche (anche se nessuno ne parla).

Se il PD sostiene nettamente tali politiche (liberiste e guerrafondaie), tuttavia nè la Lega di Salvini, nè il M5S, nonostante i loro proclami "rivoluzionari", esprimono in realtà, su queste, una posizione chiara e definita, e preferiscono non sbilanciarsi.

Chissà, forse le loro componenti borghesi non accetterebbero una loro contrarietà.

giovedì 30 giugno 2016

Brexit, non è solo populismo e xenofobia.

L’esito del referendum tenutosi in Gran Bretagna e la vittoria del cosiddetto “brexit” è stato un evento di portata storica, che apre una fase nuova.
Il forte impatto di quest’evento ha prodotto –a caldo- una sfilza di reazioni e commenti, la maggior parte dei quali di una superficialità quasi scandalosa (se teniamo presente che provengono anche da persone considerate esperte, se non “illuminate”). Al punto che tentare di dare una lettura dell’evento un po’ più approfondita -cosa già di per sé ardua- e soprattutto socializzarla al pubblico, appare quasi un’impresa.

Il primo dato che emerge in modo netto dalla vicenda è che più o meno tutti i principali quotidiani e tg italiani ed europei hanno tuonato contro il brexit. E teniamo presente che questi tg e quotidiani sono fortemente legati agli ambienti del grande capitale finanziario (multinazionali, grandi banche, ecc.).
E’ evidente, quindi, che i “poteri forti” europei erano ferocemente contrari all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
E dunque, la denigrazione nei confronti di quelli che hanno votato a favore del brexit –bollati indistintamente come ignoranti, populisti, razzisti e xenofobi e persino facendo leva sulla loro (presunta) età anagrafica elevata- è una logica conseguenza. D’altronde è il loro mestiere, quello di criminalizzare chiunque si opponga agli interessi dell’elite economico-politica.
Un po’ meno normale è il fatto che gran parte della sinistra e dei comunisti abbocchino in massa a questi stereotipi giornalistici.

Intendiamoci, non si può negare che nel voto “brexit” esista anche questa componente nazionalista e xenofoba. Purtroppo c’è, ed è tutt’altro che marginale.
Ma da qui a bollare tutti i votanti del brexit come razzisti e fascisti, ce ne corre.
Anche perché è un fatto che numerosi esponenti politici e sindacali di sinistra hanno svolto la loro campagna referendaria a favore del brexit (gli stessi problemi che sono emersi all’interno del Partito Laburista sono indice di una scarsa convinzione a battersi per il “remain”, ossia, per la permanenza nella UE).

E in ogni caso, emerge, da alcune analisi geografiche del voto, come l’opzione brexit sia stata particolarmente elevata nelle zone industriali e soprattutto ex-industriali. Quindi sono prevalentemente operai e ancor di più ex operai –a prescindere ora dalle loro idee politiche- ad aver votato per l’uscita dall’UE.
Il fatto poi, che i ceti popolari spesso sofferenti, i lavoratori –soprattutto precari- i disoccupati, i pensionati poveri, insomma, gli strati più deboli della società, tendano negli ultimi decenni a seguire più facilmente forze politiche populiste e xenofobe, piuttosto che quelle progressiste, di sinistra o comuniste, è un dato che dovrebbe farci molto riflettere.
Ma questo sarebbe un discorso un po’ troppo lungo da affrontare ora qui.


Ritornando al referendum e al suo risultato, ho la forte impressione che l’insistere dei nostri mass-media sullo stereotipo del votante brexit come ignorante, razzista, ecc., serva a nascondere non solo e non tanto la componente più, diciamo così, “progressista” di questa opzione, quanto un’altra componente, di cui finora praticamente nessuno ha parlato.
Ossia, quella di una parte evidentemente significativa del capitale finanziario britannico.
Ora, è noto come il Regno Unito abbia, da secoli, fortissime relazioni economiche con numerosi paesi a livello mondiale, soprattutto con le sue ex colonie (basti pensare al Commonwealth), per cui non è difficile immaginare che per importanti settori economico-finanziari anglosassoni l’allentamento dei rapporti con l’UE non crea grossi problemi e forse, anzi, è addirittura conveniente.
Inoltre la Gran Bretagna negli ultimi tempi ha dato chiari segnali di interessamento ad approfondire le sue relazioni economiche con la Cina.
Non solo: il Presidente degli USA, Barack Obama, ha esplicitamente preso posizione contro l’uscita di Londra dall’UE e ora, da alcuni commenti, sembra che il brexit crei qualche ostacolo in più alla realizzazione del TTIP.

Qui siamo, certo, nel campo delle congetture, ma la sensazione che una parte consistente del potere economico-politico inglese abbia tacitamente appoggiato il brexit, c’è.
Potrebbe anche darsi –rimanendo sempre nel campo delle ipotesi- che la GB abbia ora interesse a sganciarsi dal suo ruolo storico di “quinta colonna” USA in Europa.

Fatto sta, che il referendum è stato indetto, e lo ha fatto lo stesso Primo Ministro britannico, David Cameron. Non si è trattato, quindi, di una consultazione richiesta ad esempio da Farage o da qualche altro settore politico, bensì una precisa scelta del governo inglese, che sapeva benissimo di correre il serio rischio che avrebbe vinto il brexit.
Per fare un paragone, nel referendum indetto -proprio un anno fa- in Grecia da parte del Governo Tsipras, l’ipotesi di uscire dalla UE non era nemmeno presa in considerazione, e tantomeno quella di uscire anche solo dall’Euro. In questione c’era solo l’accettazione o meno del programma di massacro sociale che la BCE stava imponendo agli ellenici (e alla fine la BCE ha imposto un programma ancora peggiore, in totale disprezzo del popolo greco e di come s’era pronunciato, dimostrando chiaramente che in Grecia, come negli altri paesi europei, comandano loro).


Dunque, se il governo britannico ha ritenuto di dover andare ad un simile referendum, in cui il successo del brexit era ampiamente prevedibile (anche se “qualcuno” ha maldestramente tentato, senza successo, di spostare l’ago della bilancia verso il “remain”, assassinando Jo Cox), vuol dire che la volontà di uscire dalla UE non era solo quella dei “razzisti, populisti, xenofobi”, bensì anche di altri settori, assai meno “ignoranti” e molto più coscienti dei loro interessi economici.

domenica 20 marzo 2016

Elezioni comunali romane, se tutto va bene, siamo rovinati

Mai come in queste prossime elezioni comunali, a Roma, sembra esserci una gara, fra tutte le forze politiche, per NON vincere. Il che è francamente molto inquietante.
Infatti anche da ciò, si capisce come il prossimo sindaco della capitale sarà più o meno obbligato a fare delle politiche impopolari. E naturalmente nessuno vuole metterci la faccia.
Il Comune di Roma tra l'altro ha un enorme debito pubblico (...).

Sennonché se fossimo governati da istituzioni serie, queste si preoccuperebbero di andare ad indagare come s'è creato questo debito pubblico e quali siano i veri sprechi da tagliare (magari anche iniziando a contrastare la ciclopica evasione fiscale).
Solo che le nostre istituzioni, a partire dall'Unione Europea e soprattutto dalla BCE -che si è rivelata essere la vera sovrana dei paesi dell'Unione- di serio hanno ben poco. A loro interessa solo tagliare, tagliare e ancora tagliare (servizi, lavoro, stipendi, pensioni, ecc.) e privatizzare (altri licenziamenti e aumento delle tariffe per i servizi).

Ritornando alla campagna elettorale di Roma, non è un caso che mai come questa volta spicca l'assenza di qualunque candidato che possa suscitare grossi entusiasmi tra gli elettori dell'Urbe.
Non mi dilungo sui candidati oggi in campo, ossia i vari Giachetti, Bertolaso, Marino (?), Fassina, la Meloni, Marchini, ecc., se non per far notare come nessuno di questi sembra riscuotere consensi vasti, ma solo simpatie in ambiti relativamente ristretti.

La frase detta da Paola Taverna del M5S, “a Roma c'è un complotto per farci vincere”, al di là di come la si voglia interpretare, riflette a mio avviso molto bene l'atteggiamento di tutte le principali forze politiche, le quali evidentemente non vogliono vincere, preferendo lasciare la “patata bollente” agli altri.
Il discorso vale anche per lo stesso M5S, che invece di candidare un “pezzo da novanta”, come Alessandro Di Battista, o al limite la stessa Taverna, punta invece sull'anonima Virginia Raggi. La quale rischia così di diventare -chissà se ci pensa- un capro espiatorio.

Fatte queste premesse, quali saranno i possibili futuri scenari per il Comune di Roma?
Concentrerò il mio discorso su quella che sembra oggi l'ipotesi decisamente più verosimile, ossia, la vittoria del M5S.
In questo caso vedo tre possibili scenari. Anche se il primo mi sembra assai poco probabile.

Ossia, la Raggi, una volta sindaco, deciderà di fare la “grillina” seria e coerente e, senza guardare in faccia a nessuno, tenterà di colpire gli interessi e il malaffare dei poteri forti romani (palazzinari, banche, Vaticano, ecc).
Naturalmente questi poteri reagiranno in modo virulento, montando campagne-stampa contro di lei e facendole numerose pressioni di vario tipo (minacce incluse, e non sarebbe la prima volta). Per cui alla fine sarà costretta ad andarsene via. O ad adeguarsi all’andazzo solito.
Nel primo caso, avrà combinato poco, ma almeno “salverà la faccia” sua e forse del M5S. Nel secondo caso, la perderà.
Ma questo scenario mi sembra assai poco probabile, anche se non del tutto da escludere.

Un altro scenario -questo molto più probabile- è che la Raggi si metterà d'accordo con i poteri forti romani (o forse lo farà Casaleggio per lei, naturalmente lontano dai riflettori) per cui non andrà a toccare i loro interessi, concentrando invece il suo attacco su altre realtà: dalle cooperative agli asili-nido, alle partecipate, a numerose associazioni o enti di pubblica utilità. I risultati saranno: tagli ai servizi (scolastici, per i diversabili, ecc.), privatizzazioni, attacchi ai lavoratori “privilegiati”, licenziamenti (Grillo l’ha già anticipato).

Di fronte, poi, alle prevedibili proteste e mobilitazioni dei lavoratori e dei diversi sindacati, non faccio fatica ad immaginare le reazioni dei pentastellati, i quali inizieranno a tuonare contro la casta dei sindacalisti e contro i lavoratori “fannulloni” e “privilegiati”.
Ma queste invettive non salveranno, secondo me, il M5S dalla figuraccia di essere quella forza politica che prima predica contro i ladri, i corrotti, le banche, i politici, ecc. e poi finisce per attaccare i lavoratori e i servizi rivolti ai ceti popolari e ai soggetti più disagiati della società.
E Roma non è Parma, Livorno o Gela. Roma ha un’enorme visibilità sul piano nazionale.

Il terzo scenario è quello in cui il neo sindaco pentastellato riterrà opportuno evitare troppi scossoni e malcontenti, e si metterà d’accordo non solo con i poteri forti, ma anche con i vari settori di cui prima, limitandosi a gestire il comune senza infierire più di tanto sulle realtà esistenti, apportando magari solo cambiamenti di portata minore, e mantenendo così un profilo “conservatore”.

In questo caso, però, sarà abbastanza prevedibile prima o poi una presa di distanza da parte dei vertici del M5S nei confronti della Raggi, se non proprio la sua espulsione.
E, anche in questo caso, la figuraccia del M5S è assicurata. Non solo sarebbe, infatti, l’ennesima figura eletta col movimento di Grillo ad essere poi messa in discussione –se non cacciata via- ma ciò accadrà pure in una città cruciale come Roma.
Senza contare, poi, il fatto che i cosiddetti “poteri forti” non sarebbero comunque soddisfatti. Loro non vogliono una giunta “conservatrice”, bensì un sindaco che taglia i servizi, che licenzia e privatizza!

In realtà, però, non c’è una netta linea di separazione tra il secondo e il terzo scenario, per cui è anche possibile, che lo scenario reale sarà un po’ una via di mezzo tra il secondo e il terzo.
L’unica cosa che quasi sicuramente accadrà è che, qualora dovesse vincere, Virginia Raggi farà quello che fanno tanti altri politicanti dei vari partiti “ladri e corrotti”. Ossia, inizierà il suo mandato mettendo le mani avanti e denunciando l’enorme debito pubblico della capitale, sul quale il M5S non avrebbe alcuna responsabilità, e che limiterebbe di fatto le sue possibilità d’azione.
Che poi era la stessa cosa che disse Gianni Alemanno quando divenne sindaco di Roma nel 2008.

Nell’ipotesi, poi, che non dovesse vincere il M5S, bensì un’altra forza politica, lo scenario con molta probabilità non sarà granché distante dal secondo.
Ossia, gli interessi del grande capitale (banche, palazzinari, multinazionali, ecc.) non saranno toccati e, anzi, i loro appetiti verranno di sicuro in una certa misura assecondati.
Per cui aspettiamoci privatizzazioni (tradotto: licenziamenti di lavoratori e aumenti dei costi dei servizi), tagli ulteriori ai servizi e cementificazione a non finire e in barba a vincoli e alle attenzioni rispetto al dissesto idrogeologico.
Roma sarà così invasa da ulteriori metri cubi di cemento, ma mancheranno i fondi per riparare le buche nelle strade.
E il trasporto pubblico rimarrà ai livelli di una città africana.

martedì 16 febbraio 2016

Illegalità in Italia, la magistratura serve e non serve

A pensarci bene, l’Italia di oggi dovrebbe essere, in teoria, un paese dove il rispetto della legalità regna sovrano. Corruzione, abusivismo, evasione fiscale, attività mafiosa, appalti illeciti, favoritismi, ecc. ecc., dovrebbero essere ai minimi storici e l’onestà dovrebbe essere la norma. Invece...
Ma perché mai dovrebbe essere così, in teoria?
Per il semplice motivo che nel nostro paese negli ultimi 24 anni c'è stato un intervento massiccio e un lavoro continuo da parte della magistratura nello scoprire tutta una lunga serie di illegalità.


Si iniziò con la famosa inchiesta “Mani Pulite”, che nei primi anni ’90 fece emergere la nota “Tangentopoli”. Da allora e fino ad oggi a scadenza quantomeno semestrale la magistratura non fa che scoprire illeciti, corruzioni e quant’altro.
Stiamo parlando di una mole di attività impressionante, se ci pensiamo bene, e che non ha avuto eguali in nessun altro paese europeo, se non addirittura mondiale.

Innumerevoli sono stati gli imprenditori, gli uomini d’affari e i politici che sono caduti nelle maglie della giustizia. Anche se poi in Italia, chissà perché, la gogna mediatica e le invettive della “gente” finiscono ogni volta per prendere di mira inevitabilmente i soli “politici” (come se gli imprenditori e la tanto decantata “società civile” non fossero assai peggio dei politici).

Ma ritorniamo al lavoro della magistratura.
Una capacità di intervento così massiccia e continua di quest’organo contro le numerose attività illecite –anche ad alti livelli- dovrebbe costituire, a pensarci bene, un notevole deterrente per tutte le persone di potere che agiscono in modo disonesto. Si dice, infatti –e giustamente- che non sono tanto le leggi a scoraggiare i ladri e i delinquenti, quanto l’applicazione effettiva di queste, ossia, la scarsa possibilità di farla franca.

Per quale motivo, invece, in Italia l’illegalità istituzionale rimane a livelli elevatissimi, nonostante tutto ciò? Perché la magistratura, a dispetto del suo lavoro mastodontico, non riesce a “moralizzare” il nostro paese?
Ovviamente qui non si potrà dare che una risposta ultra schematica e riduttiva, perché naturalmente un’analisi approfondita richiederebbe ben altri spazi.

Fermo restando che un certo tasso di illegalità istituzionale esiste in tutti mi paesi (anche in Germania, Svizzera, o simili, che ci appaiono tanto “onesti”), ed è, a mio avviso, connaturato al capitalismo, rimane il fatto che in Italia tale illegalità ha una diffusione, una capillarità e sistematicità che non ha eguali in Europa e nei paesi sviluppati.

Sarebbe ingenuo credere, come invece fanno in tanti, che la gestione fraudolenta della cosa pubblica nel Bel Paese derivi dalla mera e semplice disonestà individuale dei “politici”. In realtà c’è un vero e proprio sistema di potere che funziona, e da tempo immemore, in questo modo, ed è legato, secondo me, al fatto che l’Italia -e in modo particolare il Centro-Sud- ha molte delle caratteristiche di una classica colonia, anche se “soft”.
Non approfondisco tale discorso, ma in sostanza, chi oggi governa –ai vari livelli- in Italia è quasi obbligato ad agire in modo illegale, o quantomeno a tollerare che nella sua giunta, o governo, vengano commessi fior di illeciti.

Detto questo, si impone una domanda: ma allora la magistratura e il suo lavoro che ruolo hanno?
E qui sono purtroppo costretto all’ingrato compito di dover sfatare quello che per molti è di sicuro un grandissimo mito, ossia, appunto, la magistratura. La quale, di fatto, NON E’ NEUTRALE.
Tale organo riflette –al suo interno e nelle sue componenti- i contrasti e le lotte di potere, sia politiche che soprattutto economiche e di classe, oggi esistenti in Italia.
Ossia, ad esempio, la lotta tra il grande capitale finanziario (nazionale ed internazionale) e la locale borghesia medio-alta.
Forse non è un caso che “Mafia capitale” abbia scoperchiato le varie illegalità relative a diverse attività “minori”, mentre i grandi palazzinari –potere storico di Roma- ne sono usciti quasi indenni.

Non ho mai amato Berlusconi, ma bisogna dire che su una cosa aveva ragione. Ossia, quando parlava di un uso politico della magistratura.
Viceversa, il Cavaliere mentiva quando parlava di “toghe rosse”. Anzi, a me sembra che queste toghe, più che rosse, siano a stelle e strisce.
Non ci sono dubbi, infatti, che una parte significativa (se non maggioritaria) della magistratura italiana sia legata agli Stati Uniti.
E forse –anche qui- non è un caso che una delle più note vittime eccellenti di “Mani Pulite” sia stato a suo tempo Bettino Craxi. Altra figura che ho sempre criticato, ma che quantomeno ha avuto il merito e il coraggio, negli anni ’80, di tentare di smarcarsi dalla pressante cappa di dominio USA. Ed è stato punito per ciò (teniamo presente che le magistrature brasiliana ed argentina –che hanno tollerato per decenni ladrocini e corruzioni a livelli esponenziali- ora si stanno scatenando rispettivamente contro la Roussef e la Kirchner, le quali, guarda caso, hanno portato avanti politiche di distacco dagli USA).

So che molti di voi rimangono scettici di fronte a questi discorsi, che puzzano tanto di “complottismo” (termine diventato di moda a partire dall’attentato alle Torri Gemelle, evidentemente perché vogliono che crediamo soltanto alle versioni ufficiali e mass-mediatiche), ma è un dato di fatto che 24 anni di super-attività della magistratura non hanno minimamente scalfito il sistema di corruzione o mafioso che domina l’economia e la politica italiana.
Evidentemente per sconfiggere l’illegalità serve ben altro.

lunedì 1 febbraio 2016

Visita di Rouhani in Italia, ad essere coperta è stata...l'informazione

La recente visita del capo di Stato iraniano, Hassan Rouhani, a Roma si può considerare un evento storico.
Dal 1979, ossia, da 37 anni, da quando ci fu la rivoluzione che spodestò lo Scià -dittatore sanguinario che andò al potere con un colpo di Stato, appoggiato dagli Stati Uniti- i rapporti tra l’Iran degli Ayatollah e i paesi Occidentali sono stati sempre molto tesi e lo Stato mediorientale ha dovuto subire numerose sanzioni, soprattutto da parte degli USA, ma anche dell’UE.

I motivi degni di attenzione in relazione a questa visita sono diversi.
Intanto per i risvolti economici: si parla di accordi economici tra l’Italia e l’Iran per un valore di 17 miliardi di euro (cifra considerevole) e sarebbe da capire come ciò potrebbe influire in futuro sulla nostra economia.

Poi, per i mutamenti politici e geo-strategici: l’apertura di rapporti tra l’Italia (e la Francia) e l’Iran andrà di sicuro a modificare gli equilibri internazionali, soprattutto in una regione delicata come il Medio Oriente.
Infatti, l’Arabia Saudita e Israele –che finora hanno goduto di ottime e privilegiate relazioni con l’Occidente- sono furibonde per ciò.
Cosa cambierà in relazione alle guerre e al terrorismo?

Sempre in relazione ai mutamenti geo-politici, tale visita potrebbe ridare all’Italia un ruolo chiave –che aveva in passato e che poi ha perso- nelle relazioni tra l’Europa e il Medio Oriente, tenuto conto anche della sua collocazione geografica.

Poi, ancora, in relazione alla tematica dei diritti civili: non dimentichiamoci che anche l’Iran (come l’Arabia Saudita e Israele) è uno stato confessionale, che reprime anch’esso, e a volte brutalmente, diversi comportamenti da noi considerati legittimi.

 

Insomma, di argomenti importanti da affrontare in relazione alla visita del capo di Stato Rouhani ce n’erano più che a sufficienza.
E invece niente di tutto ciò!
Il 99% degli italiani (e non solo) ricorderà questa visita solo per un motivo: la questione delle statue coperte. Ossia, per un fatto del tutto marginale, se non insignificante.

Purtroppo, anche se molta gente ci scherza sopra, questo fatto è, a mio avviso, molto grave. Ossia, il fatto che i mass-media siano riusciti -e con enorme successo- a deviare l'attenzione di quasi tutta l’opinione pubblica su un episodio insignificante, dimostra l’immenso potere detenuto da parte di chi controlla il sistema mediatico. Nonché la sua enorme abilità nel manipolare la percezione di grandissima parte della popolazione.
A maggior ragione perché non vi sono dubbi sul fatto che tale iniziativa (cioè, quella di coprire le statue) è stata presa in modo del tutto arbitrario e discrezionale da parte di qualche responsabile italiano (non è dato nemmeno sapere chi) e senza che la delegazione iraniana ne fosse al corrente.

Dubito che tale scelta sia stata dovuta ad un semplice errore di leggerezza e/o di eccessivo servilismo, come s’è poi voluto farla passare. L’Iran, infatti, ha potenti nemici (come già detto, Arabia Saudita, Israele e almeno una buona parte delle lobbies statunitensi).
L'obbiettivo di tale misura -e soprattutto dello scandalo mediatico che ha suscitato- è quello di far passare il governo iraniano, e gli islamici in genere, come persone intolleranti, fanatiche, prepotenti e assurde.
Ossia, un obbiettivo perfettamente in linea con le campagne mediatiche che imperversano soprattutto in Occidente, a partire quantomeno  dall'attentato alle Torri Gemelle del 2001, e che sono riuscite a convincere la stragrande maggioranza dei popoli euro-americani che i mussulmani sono tutti -appunto- violenti, rozzi, fanatici, terroristi, intolleranti e prepotenti (un po’ come i turchi di una volta, a cui venivano attribuite le peggiori nefandezze umane).

Il senso comune della gente purtroppo recepisce queste campagne mediatiche e spaccia gli stereotipi e i pregiudizi come verità, addirittura come evidenza.
E stereotipi e pregiudizi sono parte costituente dell’ignoranza.
E l’ignoranza del popolo è, da sempre, l’arma più potente ed efficace che ha la classe dominante e sfruttatrice per sottomettere e controllare i popoli.