domenica 5 novembre 2017

100 anni di Rivoluzione Sovietica. Successi, errori e prospettive future


La primissima cosa da fare, quando si vuole incominciare a parlare dell’Unione Sovietica in modo non propagandistico è quella di problematizzare l’immagine stereotipata che abbiamo di quella realtà storica.
Lo stereotipo è quello dell’URSS, vista come fosse stato un gigantesco “lager”, una dittatura rigida, con un tremendo controllo poliziesco, che avrebbero lasciato ben poca libertà al popolo sovietico.
Si tratta di una grossolana semplificazione (le cose erano un po’ più complesse). Ma è impressionante constatare quanto una visione talmente superficiale abbia potuto durare così tanti anni -e ancora duri- in Occidente (in Russia ovviamente il discorso cambia).

Detto ciò, non si vuole qui negare che lì ci siano state forme di repressione a volte esagerate o in certa misura arbitrarie (ma non è che l’Occidente “democratico” sia stato da meno; il discorso sarebbe lungo), bensì semplicemente far notare come una società complessa e variegata come quella dell’Unione Sovietica non può certo essere vista –come invece di solito si fa- solo sotto l’aspetto della repressione. Sarebbe come se, nell’immaginario collettivo, gli Stati Uniti fossero associati solo ed esclusivamente alle bombe atomiche sganciate sulla popolazione civile di Hiroshima e Nagasaki, le guerre in Vietnam o in Afghanistan e in Iraq, o le feroci dittature sudamericane (più o meno tutte targate USA).

Per poter dare una valutazione un minimo obiettiva sulle dinamiche relative alla costruzione dell’URSS (qui parliamo essenzialmente dei primi decenni) non si possono ignorare almeno 4 fattori, che sono stati assolutamente determinanti nello sviluppo del socialismo in quel paese.


Il primo fattore sta nella valenza pionieristica della costruzione del socialismo in quel paese.
Se togliamo la Comune di Parigi, che ebbe, però, vita effimera, durando due mesi soltanto, e che avvenne in una città a quel tempo molto avanzata, la Rivoluzione Sovietica è stato il primo tentativo storico di costruzione del socialismo in un paese. Già solo per questo motivo era inevitabile che si commettessero degli errori, anche notevoli.
Poi, a differenza di ciò che siamo abituati a pensare, il tipo di socialismo che s’è sviluppato nell’URSS non è stato il prodotto di un “modello” già elaborato, preconfezionato e poi imposto autoritariamente alla società. Viceversa, è stato il risultato di quello che si può definire un vero e proprio esperimento socio-economico-politico, effettuato peraltro in condizioni molto difficili.
I bolscevichi avevano ben presente che ciò che stavano tentando di realizzare era un tipo di società del tutto inedito e quindi non sfuggiva loro il carattere sperimentale e pionieristico della costruzione del socialismo sovietico.
Quindi, identificare il socialismo (o, peggio ancora, il “comunismo”) tout-court con la realtà sovietica non ha alcun senso ed è funzionale soltanto alla propaganda anticomunista, che da noi imperversa da decenni, per lo più camuffata da “informazione” o “documentario”.

Marx tra l’altro non ha mai descritto –né avrebbe potuto farlo- come sarebbe stata la società comunista, né come sarebbe stato il percorso che avrebbe portato ad essa (il socialismo, appunto, la fase di transizione verso il comunismo), limitandosi ad illustrarne i tratti essenziali, ossia, la progressiva socializzazione dei mezzi di produzione e la conseguente estinzione delle classi sociali.
Dunque, i sovietici hanno dovuto sperimentare delle politiche totalmente nuove, procedendo per tentativi ed errori.
In una fase successiva, però, i sovietici avrebbero poi commesso l’errore di considerarsi “Stato-modello”.

Il secondo fattore da tenere presente è quello della forte arretratezza del paese, ereditata dalla Russia zarista.
Ora, come è noto, Marx aveva previsto che il socialismo si sarebbe sviluppato a partire dai paesi capitalisticamente avanzati, mentre in Russia la produzione capitalistica –assai poco avanzata- era sostanzialmente limitata alla parte occidentale del paese. In molte regioni del paese, soprattutto periferiche, vigeva ancora la produzione e i rapporti sociali feudali: la popolazione locale era in gran parte analfabeta, arretrata economicamente, culturalmente, civilmente.
A questo vanno aggiunte le differenze etniche, linguistiche, religiose delle varie popolazioni -specialmente quelle asiatiche- che avevano fatto parte dell’Impero Zarista e che ora erano passate a far parte dell’Unione Sovietica.
Inutile sottolineare quanto tutto ciò abbia prodotto dei problemi immensi e degli ostacoli semi-insormontabili nella costruzione di un tipo di società, come quella socialista, avanzata pure per la stessa Europa Occidentale.

Il 3° fattore riguarda gli enormi danni, umani e materiali, causati dalla guerra civile del 1919-21 (per non parlare, poi, di quelli ancora peggiori dovuti all’invasione della Germania nazista durante la II Guerra Mondiale, con oltre 20 milioni di morti sovietici).
Per chi non lo sapesse, nella Russia rivoluzionaria, scoppiò nel ’19 una guerra civile, provocata dalle “Armate Bianche”, ossia, quelle fedeli alla vecchia aristocrazia zarista. Queste furono appoggiate, finanziate e armate da un po’ tutti i più importanti paesi occidentali “democratici” (Italia compresa), i quali, non contenti di ciò, intervennero anche direttamente inviando i loro eserciti. Ci vollero due anni affinché l’Armata Rossa riuscì a sconfiggere le armate nemiche e a riprendere il controllo della situazione. Ma i danni furono ingentissimi e si andarono ad assommare a quelli già prodotti dalla Prima Guerra Mondiale.
Tali eventi costrinsero il governo sovietico –allora ancora diretto da Lenin- a severe misure di emergenza (il “comunismo di guerra”) e il tutto ostacolò seriamente la costruzione del socialismo.

Il quarto fattore è costituito dalla mancata espansione della rivoluzione in Occidente e dal conseguente isolamento politico-economico della nascente URSS.
I bolscevichi, a partire dallo stesso Lenin, contavano sul fatto che la rivoluzione si sarebbe espansa nell’Europa Occidentale (e in modo particolare in Germania, la quale, essendo economicamente e tecnologicamente molto più progredita della Russia, avrebbe di certo favorito non poco lo sviluppo dell’economia socialista sovietica). Cosa che però non avvenne.
E sì che in quegli anni di fermenti rivoluzionari ce ne furono parecchi nel resto dell’Europa. In Ungheria si arrivò addirittura ad un governo sovietico locale, capeggiato da Bela Kun, ma durato pochi mesi, stroncato dalla repressione. In Germania ci furono tentativi insurrezionali, sconfitti con l’assassinio di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht. In Italia ci fu il Biennio Rosso. E poi altri fermenti ancora in diversi paesi.
Ma tutti questi movimenti fallirono e negli anni successivi la reazione trionfò un po’ dappertutto.
L’Unione Sovietica si ritrovò, così, isolata politicamente ed economicamente.
Anzi peggio: si ritrovò circondata da nemici giurati.


Costruire il socialismo in un contesto così difficile (e dire difficile è un eufemismo) era un’impresa veramente titanica, ai limiti dell’impossibile.
E infatti, la mia convinzione è che nell’URSS è stato fatto quello che si poteva.

Non entro qui nel giudizio sui singoli personaggi (Stalin, Trotsky, o altri) e ritengo, anzi, un grosso errore definirsi –nella realtà mondiale del 2017- “trotzkisti” o “stalinisti”, distinzioni nate in un contesto molto specifico e difficilmente ripetibile. Inoltre, questi personaggi, nel loro operato, sono stati pesantemente condizionati da un contesto, appunto, di enormi difficoltà e carico di rischi e insidie.
Ciò che mi sembra importante sottolineare, oltre le cose dette sopra, sono alcuni punti.

L’URSS viene, da noi, costantemente associata solo ed esclusivamente al discorso repressivo (peraltro ingigantito), “dimenticando” –e quindi, di fatto, negando- tutto quanto il resto.
E il resto è costituito dal progresso sociale, economico, scientifico e culturale senza precedenti che si è avuto in quel paese, sul quale si potrebbe parlare molto a lungo.
Va tenuto presente, infatti, che la Russia zarista era una società per molti versi ancora medievale. Il 70% della popolazione era analfabeta, milioni di russi non sapevano cosa fosse un medico. In molte zone vigevano ancora rapporti di servitù feudale e le carestie erano frequenti.
Se pensiamo, poi, che gli enormi sviluppi che ha avuto -in pochi decenni- l’URSS sono stati ottenuti senza poter sfruttare dei paesi coloniali (come hanno invece fatto gli europei) e avendo patito una guerra catastrofica, come quella subita ad opera della Germania nazista (oltre 20 milioni di morti), sono stati dei progressi veramente impressionanti.
Ma naturalmente quando si parla di URSS, da noi, tutto ciò viene colpevolmente taciuto.

Un altro punto riguarda i motivi del declino e, alla fine, del crollo dell’Unione Sovietica.
Come già fu per la Rivoluzione Francese –a suo tempo sconfitta, ma il cui impulso, i cui ideali, alla lunga, finirono per trionfare- anche la Rivoluzione Sovietica ha avuto una fine.
Sui motivi di questo declino si potrebbero scrivere trattati ed enciclopedie, ma mi limito –per motivi di spazio- a fare una brevissima e sommaria considerazione.
Il socialismo -tappa transitoria verso il comunismo, secondo Marx- non va considerato, come già detto, un “modello”, bensì un tipo nuovo di società che si costruisce a poco a poco, col tempo e attraverso sperimentazioni, errori e successive correzioni di questi, passando per tappe diverse.

Probabilmente l’errore principale dell’URSS è stato quello di aver voluto costruire un socialismo forse un po’ troppo avanzato per i tempi, e finendo per farlo attraverso la statalizzazione integrale (o quasi) dell’economia, che non era esattamente ciò che aveva teorizzato Marx. Il che, alla lunga, ha portato ad una tendenziale paralisi dell’iniziativa e dell’innovazione.
Contemporaneamente, i comunisti allora –non solo nell’URSS- avevano forse dato il capitalismo per morente troppo in fretta.
In effetti, il capitalismo della seconda metà del ‘900 ha mostrato di non aver ancora esaurito del tutto il suo carattere progressista, se teniamo presente gli enormi sviluppi tecnologico-scientifici che ha continuato a produrre in quel periodo (pensiamo soprattutto alla “rivoluzione informatica”).
Oggi, però, tali sviluppi sembrano decisamente arrivati ad un esaurimento.

Ma la cosa veramente importante è che il socialismo non è certo morto con la fine l’URSS.
La Cina, ad esempio, sta sperimentando un tipo di socialismo assai diverso da quello dell’Unione Sovietica, permettendo un certo sviluppo del capitalismo, anche se in forma limitata e controllata.
Fermo restando che io non “sposo” il “modello cinese” (anche perché loro stessi si guardano bene dal considerarsi un “modello”), la realtà del dragone mi sembra decisamente degna quantomeno di essere un po’ più conosciuta e studiata. I cinesi, i quali mantengono uno Stato governato da un partito comunista, sembra stiano facendo tesoro degli errori –ma anche delle conquiste- dell’URSS, tentando di realizzare un nuovo tipo di socialismo (“di mercato”) originale. Sperimentando una nuova via.
Con tutta la prudenza del caso, la mia impressione è che forse la principale eredità della Rivoluzione Sovietica sia oggi costituita proprio dalla Cina e dai suoi sviluppi. E non solo quelli interni, ma anche quelli inerenti al rapporto di questa con gli altri paesi.
Inoltre, vi sono, negli ultimi tempi, nuovi e originali tentativi di sviluppare delle società socialiste, specificamente in America Latina (Cuba, Venezuela, Bolivia e Ecuador).


A cent’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre si può dire che –contro tutte le previsioni occidentali- il movimento comunista mondiale si stia faticosamente riprendendo da una seria e pesante sconfitta storica (quella dell’89-91) per iniziare a rilanciare una nuova sfida al capitalismo.

Nessun commento:

Posta un commento