La
primissima cosa da fare, quando si vuole incominciare a parlare dell’Unione
Sovietica in modo non propagandistico è quella di problematizzare l’immagine
stereotipata che abbiamo di quella realtà storica.
Lo
stereotipo è quello dell’URSS, vista come fosse stato un gigantesco “lager”,
una dittatura rigida, con un tremendo controllo poliziesco, che avrebbero
lasciato ben poca libertà al popolo sovietico.
Si
tratta di una grossolana semplificazione (le cose erano un po’ più complesse).
Ma è impressionante constatare quanto una visione talmente superficiale abbia
potuto durare così tanti anni -e ancora duri- in Occidente (in Russia
ovviamente il discorso cambia).
Detto
ciò, non si vuole qui negare che lì ci siano state forme di repressione a volte
esagerate o in certa misura arbitrarie (ma non è che l’Occidente “democratico”
sia stato da meno; il discorso sarebbe lungo), bensì semplicemente far notare
come una società complessa e variegata come quella dell’Unione Sovietica non
può certo essere vista –come invece di solito si fa- solo sotto l’aspetto della
repressione. Sarebbe come se, nell’immaginario collettivo, gli Stati Uniti fossero
associati solo ed esclusivamente alle bombe atomiche sganciate sulla
popolazione civile di Hiroshima e Nagasaki, le guerre in Vietnam o in
Afghanistan e in Iraq, o le feroci dittature sudamericane (più o meno tutte
targate USA).
Per
poter dare una valutazione un minimo obiettiva sulle dinamiche relative alla
costruzione dell’URSS (qui parliamo essenzialmente dei primi decenni) non si
possono ignorare almeno 4 fattori, che sono stati assolutamente determinanti
nello sviluppo del socialismo in quel paese.
Il
primo fattore sta nella valenza pionieristica
della costruzione del socialismo in quel paese.
Se
togliamo la Comune di Parigi, che ebbe, però, vita effimera, durando due mesi
soltanto, e che avvenne in una città a quel tempo molto avanzata, la
Rivoluzione Sovietica è stato il primo tentativo storico di costruzione del
socialismo in un paese. Già solo per questo motivo era inevitabile che si
commettessero degli errori, anche notevoli.
Poi,
a differenza di ciò che siamo abituati a pensare, il tipo di socialismo che s’è
sviluppato nell’URSS non è stato il prodotto di un “modello” già elaborato,
preconfezionato e poi imposto autoritariamente alla società. Viceversa, è stato
il risultato di quello che si può definire un vero e proprio esperimento
socio-economico-politico, effettuato peraltro in condizioni molto difficili.
I
bolscevichi avevano ben presente che ciò che stavano tentando di realizzare era
un tipo di società del tutto inedito e quindi non sfuggiva loro il carattere
sperimentale e pionieristico della costruzione del socialismo sovietico.
Quindi,
identificare il socialismo (o, peggio ancora, il “comunismo”) tout-court con la
realtà sovietica non ha alcun senso ed è funzionale soltanto alla propaganda
anticomunista, che da noi imperversa da decenni, per lo più camuffata da
“informazione” o “documentario”.
Marx
tra l’altro non ha mai descritto –né avrebbe potuto farlo- come sarebbe stata
la società comunista, né come sarebbe stato il percorso che avrebbe portato ad
essa (il socialismo, appunto, la fase di transizione verso il comunismo),
limitandosi ad illustrarne i tratti essenziali, ossia, la progressiva socializzazione
dei mezzi di produzione e la conseguente estinzione delle classi sociali.
Dunque,
i sovietici hanno dovuto sperimentare delle politiche totalmente nuove,
procedendo per tentativi ed errori.
In
una fase successiva, però, i sovietici avrebbero poi commesso l’errore di considerarsi
“Stato-modello”.
Il
secondo fattore da tenere presente è quello della forte arretratezza del paese,
ereditata dalla Russia zarista.
Ora,
come è noto, Marx aveva previsto che il socialismo si sarebbe sviluppato a
partire dai paesi capitalisticamente avanzati, mentre in Russia la produzione
capitalistica –assai poco avanzata- era sostanzialmente limitata alla parte
occidentale del paese. In molte regioni del paese, soprattutto periferiche,
vigeva ancora la produzione e i rapporti sociali feudali: la popolazione locale
era in gran parte analfabeta, arretrata economicamente, culturalmente,
civilmente.
A
questo vanno aggiunte le differenze etniche, linguistiche, religiose delle
varie popolazioni -specialmente quelle asiatiche- che avevano fatto parte
dell’Impero Zarista e che ora erano passate a far parte dell’Unione Sovietica.
Inutile
sottolineare quanto tutto ciò abbia prodotto dei problemi immensi e degli ostacoli
semi-insormontabili nella costruzione di un tipo di società, come quella
socialista, avanzata pure per la stessa Europa Occidentale.
Il
3° fattore riguarda gli enormi danni, umani e materiali, causati dalla guerra
civile del 1919-21 (per non parlare, poi, di quelli ancora peggiori dovuti all’invasione
della Germania nazista durante la II Guerra Mondiale, con oltre 20 milioni di
morti sovietici).
Per
chi non lo sapesse, nella Russia rivoluzionaria, scoppiò nel ’19 una guerra
civile, provocata dalle “Armate Bianche”, ossia, quelle fedeli alla vecchia
aristocrazia zarista. Queste furono appoggiate, finanziate e armate da un po’
tutti i più importanti paesi occidentali “democratici” (Italia compresa), i
quali, non contenti di ciò, intervennero anche direttamente inviando i loro
eserciti. Ci vollero due anni affinché l’Armata Rossa riuscì a sconfiggere le
armate nemiche e a riprendere il controllo della situazione. Ma i danni furono
ingentissimi e si andarono ad assommare a quelli già prodotti dalla Prima
Guerra Mondiale.
Tali
eventi costrinsero il governo sovietico –allora ancora diretto da Lenin- a
severe misure di emergenza (il “comunismo di guerra”) e il tutto ostacolò
seriamente la costruzione del socialismo.
Il
quarto fattore è costituito dalla mancata espansione della rivoluzione in
Occidente e dal conseguente isolamento politico-economico della nascente URSS.
I
bolscevichi, a partire dallo stesso Lenin, contavano sul fatto che la
rivoluzione si sarebbe espansa nell’Europa Occidentale (e in modo particolare
in Germania, la quale, essendo economicamente e tecnologicamente molto più
progredita della Russia, avrebbe di certo favorito non poco lo sviluppo dell’economia
socialista sovietica). Cosa che però non avvenne.
E
sì che in quegli anni di fermenti rivoluzionari ce ne furono parecchi nel resto
dell’Europa. In Ungheria si arrivò addirittura ad un governo sovietico locale,
capeggiato da Bela Kun, ma durato pochi mesi, stroncato dalla repressione. In
Germania ci furono tentativi insurrezionali, sconfitti con l’assassinio di Rosa
Luxemburg e di Karl Liebknecht. In Italia ci fu il Biennio Rosso. E poi altri
fermenti ancora in diversi paesi.
Ma
tutti questi movimenti fallirono e negli anni successivi la reazione trionfò un
po’ dappertutto.
L’Unione
Sovietica si ritrovò, così, isolata politicamente ed economicamente.
Anzi
peggio: si ritrovò circondata da nemici giurati.
Costruire
il socialismo in un contesto così difficile (e dire difficile è un eufemismo)
era un’impresa veramente titanica, ai limiti dell’impossibile.
E
infatti, la mia convinzione è che nell’URSS è stato fatto quello che si poteva.
Non
entro qui nel giudizio sui singoli personaggi (Stalin, Trotsky, o altri) e
ritengo, anzi, un grosso errore definirsi –nella realtà mondiale del 2017-
“trotzkisti” o “stalinisti”, distinzioni nate in un contesto molto specifico e
difficilmente ripetibile. Inoltre, questi personaggi, nel loro operato, sono
stati pesantemente condizionati da un contesto, appunto, di enormi difficoltà e
carico di rischi e insidie.
Ciò
che mi sembra importante sottolineare, oltre le cose dette sopra, sono alcuni
punti.
L’URSS
viene, da noi, costantemente associata solo ed esclusivamente al discorso
repressivo (peraltro ingigantito), “dimenticando” –e quindi, di fatto, negando-
tutto quanto il resto.
E
il resto è costituito dal progresso sociale, economico, scientifico e culturale
senza precedenti che si è avuto in quel paese, sul quale si potrebbe parlare
molto a lungo.
Va
tenuto presente, infatti, che la Russia zarista era una società per molti versi
ancora medievale. Il 70% della popolazione era analfabeta, milioni di russi non
sapevano cosa fosse un medico. In molte zone vigevano ancora rapporti di
servitù feudale e le carestie erano frequenti.
Se
pensiamo, poi, che gli enormi sviluppi che ha avuto -in pochi decenni- l’URSS
sono stati ottenuti senza poter sfruttare dei paesi coloniali (come hanno
invece fatto gli europei) e avendo patito una guerra catastrofica, come quella
subita ad opera della Germania nazista (oltre 20 milioni di morti), sono stati
dei progressi veramente impressionanti.
Ma
naturalmente quando si parla di URSS, da noi, tutto ciò viene colpevolmente
taciuto.
Un
altro punto riguarda i motivi del declino e, alla fine, del crollo dell’Unione
Sovietica.
Come
già fu per la Rivoluzione Francese –a suo tempo sconfitta, ma il cui impulso, i
cui ideali, alla lunga, finirono per trionfare- anche la Rivoluzione Sovietica
ha avuto una fine.
Sui
motivi di questo declino si potrebbero scrivere trattati ed enciclopedie, ma mi
limito –per motivi di spazio- a fare una brevissima e sommaria considerazione.
Il
socialismo -tappa transitoria verso il comunismo, secondo Marx- non va
considerato, come già detto, un “modello”, bensì un tipo nuovo di società che
si costruisce a poco a poco, col tempo e attraverso sperimentazioni, errori e
successive correzioni di questi, passando per tappe diverse.
Probabilmente
l’errore principale dell’URSS è stato quello di aver voluto costruire un
socialismo forse un po’ troppo avanzato per i tempi, e finendo per farlo
attraverso la statalizzazione integrale (o quasi) dell’economia, che non era
esattamente ciò che aveva teorizzato Marx. Il che, alla lunga, ha portato ad
una tendenziale paralisi dell’iniziativa e dell’innovazione.
Contemporaneamente,
i comunisti allora –non solo nell’URSS- avevano forse dato il capitalismo per
morente troppo in fretta.
In
effetti, il capitalismo della seconda metà del ‘900 ha mostrato di non aver
ancora esaurito del tutto il suo carattere progressista, se teniamo presente
gli enormi sviluppi tecnologico-scientifici che ha continuato a produrre in
quel periodo (pensiamo soprattutto alla “rivoluzione informatica”).
Oggi,
però, tali sviluppi sembrano decisamente arrivati ad un esaurimento.
Ma
la cosa veramente importante è che il socialismo non è certo morto con la fine
l’URSS.
La
Cina, ad esempio, sta sperimentando un tipo di socialismo assai diverso da
quello dell’Unione Sovietica, permettendo un certo sviluppo del capitalismo,
anche se in forma limitata e controllata.
Fermo
restando che io non “sposo” il “modello cinese” (anche perché loro stessi si
guardano bene dal considerarsi un “modello”), la realtà del dragone mi sembra
decisamente degna quantomeno di essere un po’ più conosciuta e studiata. I cinesi,
i quali mantengono uno Stato governato da un partito comunista, sembra stiano
facendo tesoro degli errori –ma anche delle conquiste- dell’URSS, tentando di
realizzare un nuovo tipo di socialismo (“di mercato”) originale. Sperimentando
una nuova via.
Con
tutta la prudenza del caso, la mia impressione è che forse la principale
eredità della Rivoluzione Sovietica sia oggi costituita proprio dalla Cina e
dai suoi sviluppi. E non solo quelli interni, ma anche quelli inerenti al
rapporto di questa con gli altri paesi.
Inoltre,
vi sono, negli ultimi tempi, nuovi e originali tentativi di sviluppare delle
società socialiste, specificamente in America Latina (Cuba, Venezuela, Bolivia
e Ecuador).
A
cent’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre si può dire che –contro tutte le
previsioni occidentali- il movimento comunista mondiale si stia faticosamente
riprendendo da una seria e pesante sconfitta storica (quella dell’89-91) per
iniziare a rilanciare una nuova sfida al capitalismo.
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