domenica 1 luglio 2012

Riforma Fornero, il lavoro non è più un diritto

Dai e dai, alla fine anche l'articolo 18 è stato -di fatto- cancellato.
La riforma del Ministro del Lavoro Elsa Fornero è passata in Parlamento e ha abbattuto una delle poche tutele che i lavoratori ancora mantenevano.
Non va dimenticato -per comprendere appieno il significato di ciò che sta accadendo- che in passato ci sono voluti decenni e decenni di lotte, anche durissime, per riuscire ad ottenere certi diritti, tra i quali quello di non essere licenziati senza una giusta causa. Ora questo diritto è perduto.

Uno dei paradossi della faccenda è che in Italia la libertà di licenziamento, anche senza giusta causa, già esisteva. Qualunque persona che lavora senza un contratto a tempo indeterminato è licenziabile come e quando il padrone vuole. Basta semplicemente non rinnovare il contratto o la collaborazione.
E, a dire il vero, persino i lavoratori con contratto a tempo indeterminato sono stati spesso licenziati, soprattutto negli ultimi anni. Cìò capita, frequentemente, se l'azienda è in crisi economica.
E l'elevato numero di esodati (ultracinquantenni espulsi dal lavoro e che non possono andare in pensione, dato l'innalzamento dell'età pensionabile) lo dimostra.

Grazie a questa riforma le aziende private come gli enti pubblici potranno licenziare più facilmente e si allarga ulteriormente l'utilizzo del precariato, con la generalizzazione del contratto di apprendistato, che non prevede l'obbligo dell'assunzione.
E, come se ciò non bastasse, c'è un ulteriore taglio agli ammortizzatori sociali.

Il vero obbiettivo di tali misure è quello di poter esercitare un maggior ricatto nei confronti del lavoratore.
E' noto che chi corre il rischio di perdere il posto di lavoro tende a partecipare meno a qualsiasi iniziativa di lotta e sindacale.
Contrariamente a quanto molti pensano, ciò non porterà ad un miglioramento delle prestazioni lavorative. L'esperienza insegna che i lavoratori precari non lavorano meglio di quelli tutelati, anzi, proprio il contrario. Il precario, soprattutto se sa di non avere prospettive di una futura stabilizzazione, è molto demotivato nel lavoro.



Secondo ciò che viene detto, la riforma Fornero dovrebbe servire a rilanciare la produzione e di conseguenza l'occupazione. Ho perso il conto di quante misure nel passato -a cominciare dall'abolizione della scala mobile- dovevano in teoria servire a tale scopo. E poi invece non sono servite a niente (se non ad arricchire le banche).

Ma se vogliamo farci un'idea un po' più concreta di quanto possa essere efficace tale riforma, ci basta andare a vedere le numerosissime aziende medio-piccole, dove la maggior parte dei lavoratori -se non tutti- opera in condizioni di facile licenziabilità: stanno chiudendo a decine di migliaia.
E quelle che non chiudono, si barcamenano.

La Riforma Fornero serve solamente per permettere agli imprenditori di poter fare ciò che in tempi di crisi (come questi) tendono istintivamente a fare. Ossia, a licenziare.
Tale politica miope porta inevitabilmente ad un ulteriore aggravamento della crisi, a meno che non intervengano altre circostanze -ma francamente non ne vedo- e quindi ad ulteriori tagli e licenziamenti.

Non un marxista, bensì un economista borghese (ma illuminato) tale John Maynard Keynes descrisse abbondantemente tale meccanismo. E disse che per ovviare a ciò, lo Stato -il tanto decantato privato, infatti, non lo farà mai- doveva intervenire, aumentando le spese e creando posti di lavoro, anche inutili ("scavare buche per poi riempirle"). Così facendo rimetteva in moto i consumi e quindi l'economia. Cioè, l'esatto opposto di ciò che si sta facendo oggi, non solo in Italia, ma in tutta Europa (e ovviamente negli USA).
L'ideologia liberista -oggi dominante in tutto l'Occidente- lascia il cosidetto "libero mercato" (traduz.: mercato finanziario, spesso del tutto estraneo alla realtà economico-produttiva) ai suoi "istinti".
E quindi, licenziamenti a volontà e facilissimi.

Benvenuta, crisi, la strada per te è spalancata!

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