lunedì 23 luglio 2012

Ma perchè lo Stato Italiano scende a patti con la mafia?

In queste ultime settimane sono riemerse le voci circa il patto tra Stato e mafia che ci sarebbe stato nei primi anni '90, in seguito agli attentati terroristici e poi all'assassinio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Sono in molti a ritenerlo, a cominciare dal Presidente del Tribunale di Palermo Leonardo Guarnotta, ad Antonio Ingroia, Procuratore.
Traggo spunto da queste ultime vicende per porre una domanda. Una domanda che è tanto semplice a farsi quanto estremamente difficile a rispondersi: per quale motivo l'Italia è l'unico paese -quantomeno in Europa- ad ospitare al suo interno delle organizzazioni di tipo mafioso?
Ossia, parliamo di strutture criminali, con un fortissimo radicamento nel tessuto sociale d'origine (e non solo d'origine) e una discreta presenza nelle istituzioni, come lo sono Cosa Nostra, la Camorra, la Ndrangheta e la Sacra Corona Unita.
Qui non abbiamo a che fare con semplici bande criminali, come ne esistono in molti paesi, composte da qualche decina -o massimo poche centinaia- di persone, prive di un sostegno sociale diffuso e con scarsa o nessuna copertura istituzionale.

Sono state date diverse interpretazioni del fenomeno. Naturalmente è impossibile in quest'articolo esaminarle anche solo sinteticamente. Mi limiterò a fare qualche osservazione.
La nascita e lo sviluppo di tali organizzazioni è da mettere in relazione, almeno in una prima fase, con lo stato di semi-colonia -non dichiarata, ma di fatto- nella quale s'è venuta a trovare l'Italia Meridionale (Roma e Lazio compresi) dopo l'Unità d'Italia. La classe dirigente politica sabauda e la forte borghesia industriale-commerciale del Nord scelsero di sviluppare in pratica solo le regioni settentrionali, lasciando il Mezzogiorno nell'arretratezza.
La classe dirigente meridionale, un po' per limiti intrinseci e un po' per subordinazione a quella del Nord ha prodotto una serie di contraddizioni economico-politico-sociali, all'interno delle quali si sono sapute ben inserire le organizzazioni mafiose.

Nel secondo Dopoguerra Cosa Nostra si è rafforzata ed espansa, grazie anche al rapporto ambiguo che gli Stati Uniti hanno mantenuto con essa (basti pensare al ruolo decisivo svolto da Lucky Luciano nello sbarco alleato in Sicilia).
Inoltre, gli USA hanno utilizzato il Piano Marshall (ERP) per distribuire provvidenziali risorse alle forze politiche di centro (DC in primis), da gestire in modo clientelare e corrotto, in funzione anti-comunista. E anche qui le varie mafie si sono sapute ben inserire.
Ma le organizzazioni mafiose hanno avuto addirittura "una marcia in più". Al contrario della classe dirigente meridionale "legale", con un'ottica meramente gestionale, conservatrice, sonnolenta e tesa a vivacchiare, i mafiosi si sono dimostrati -a modo loro, purtroppo- molto più spregiudicati, veloci e capaci non soltanto nel controllo del territorio, ma anche nel fiutare nuove attività redditizie, come, ad esempio, il narcotraffico o la gestione dei rifiuti (negli ultimi anni spesso al centro della cronaca, soprattutto in Campania).

Il vasto e diffuso consenso sociale di cui godono spesso le organizzazioni mafiose nel loro territorio d'origine non può essere spiegato certo soltanto con l'omertà. Ci piaccia o non ci piaccia, le mafie fanno girare l'economia di molte zone e creano lavoro, laddove l'unica alternativa è spesso soltanto l'emigrazione.
Dico questo non certo per giustificare Cosa Nostra, Ndrangheta, Camorra e SCU, bensì -al contrario- per denunciare le profonde carenze e limiti della classe dirigente economica -prima che politica- italiana. E non tanto di quella meridionale, quanto di quella del Nord, che in questi 150 anni ha molto speculato sull'arretratezza del Mezzogiorno.

E veniamo finalmente al rapporto Stato-mafia.
Tommaso Buscetta, pentito di mafia considerato tra i più attendibili, ha più volte affermato che Cosa Nostra è tutt'altro che imbattibile e che se lo Stato italiano si fosse deciso a contrastarla con energia e fermezza, l'avrebbe sconfitta.
Il problema è che non l'ha voluto.
Ossia, se si eccettuano singoli personaggi eroici, non c'è stata complessivamente da parte delle istituzioni una seria politica di lotta alla mafia (anzi, alle mafie).

E il problema non riguarda solo lo stato italiano. Oltre ai già citati USA, a trafficare, almeno finanziariamente, con Cosa Nostra abbiamo avuto anche lo IOR di Marcinkus. Ossia, il Vaticano. E restano tutti da chiarire i rapporti tra l'Opus Dei e il boss della Banda della Magliana, De Pedis (in contatto con Cosa Nostra attraverso Pippo Calò).

In questo contesto non c'è dunque da meravigliarsi di fronte alla notizia emersa recentemente del patto tra Stato e mafia. C'è invece da preoccuparsi quando lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgo Napolitano non trova di meglio che inveire contro i magistrati, che indagano su ciò, esaminando le intercettazioni del Quirinale.
E quando un procuratore come Antonio Ingroia è costretto a lasciare l'Italia.

Nessun commento:

Posta un commento