martedì 12 maggio 2015

quando il potere si finge "popolare" (ma non lo è)

Nel lungo corso della storia le classi dominanti e il potere politico (le due cose non sempre coincidono) hanno sempre cercato di distinguersi dalla gente comune, dal popolo.
L’hanno fatto con le loro residenze, con le loro tombe, nel loro modo di vestirsi, di mangiare, di parlare, nelle loro abitudini, ecc.
E così abbiamo le piramidi faraoniche, i palazzi imperiali, i castelli, le regge alla Versailles, le sontuose ville, il lusso, lo sfarzo, ecc.
Pure il potere religioso non è stato esente da questo comportamento, costruendo grandi templi, moschee, basiliche e cattedrali, le quali avevano un’importante funzione in termini di psicologia politica: quella di far sentire la gente comune “piccola”, umile e debole nei confronti di Dio, e –più concretamente- nei confronti delle gerarchie clericali.
Addirittura si è arrivati a dire che l’aristocrazia avesse “sangue blu”, come a dire che i nobili erano diversi dal popolo anche fisiologicamente.

Questa tendenza a distinguersi dal popolo è iniziata gradualmente ad entrare in crisi tra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900.
La lotta di classe, sempre più forte ed organizzata, la nascita delle democrazie di massa e lo sviluppo dei partiti socialisti, popolari e comunisti ha, a poco a poco, convinto il potere a mutare atteggiamento. O almeno alcuni settori del potere, quelli più esposti apertamente all’opinione pubblica.

Oggi la tendenza dei leaders è quella di apparire sempre più come persone “del popolo”.
L’Italia vanta ormai una certa tradizione in questo campo, avendo espresso un pioniere di tale tendenza, ossia Benito Mussolini.
Il “duce”, nelle sue uscite pubbliche, si sforzava di presentarsi in modo molto differente dal classico borghese intellettuale e “perbene”, ostentando un’immagine infarcita di atteggiamenti un po’ militareschi e un po’ popolari rozzi, fino ad arrivare al noto “me ne frego!” (poi, certo, aveva scelto come sua residenza l’aristocraticissima Villa Torlonia…quando si dice la coerenza!).

Per rimanere in Italia, lo “scimmiottamento” di atteggiamenti “popolari” è riesploso –non a caso- dopo il famoso ’89, con l’avvento della Seconda Repubblica.
Invano si cercherebbero espedienti simili in quei grandi dirigenti politici –Berlinguer, Pertini, Togliatti, Longo, Nenni (ma anche De Gasperi, Moro, Andreotti), ecc.- i quali rappresentavano veramente i lavoratori e i ceti popolari. Ma questi erano a capo di partiti radicati nel popolo e non avevano bisogno di scimmiottarlo.

Tornando alla II Repubblica, l’esempio più significativo tra i leaders politici che imitano comportamenti “popolari” è stato sicuramente quello di Silvio Berlusconi. Le sue quotidiane battute, i gesti (anche volgari), perfino le sue gaffes, facevano parte di una tecnica comunicativa ben studiata, tale da farlo apparire come un uomo “del popolo”, e quindi una persona spontanea e distante dalla “casta” dei politici di professione (considerati tout-court “falsi”). E quindi un uomo concreto e vicino agli interessi del popolo.

Un altro maestro nel campo è stato Umberto Bossi, su cui è inutile spenderci troppe parole. Stesso discorso per un comico come Beppe Grillo, tra l’altro coadiuvato –non a caso- da un grande imprenditore della comunicazione come Casaleggio.

All’estero, o quantomeno nei paesi europei, tale tendenza sembra essere assai più ridotta.
Un po’ più marcata, invece –ma non ai livelli italiani- la troviamo negli Stati Uniti. Anche negli States esiste una certa retorica a proposito dei presidenti “popolari” e infatti abbiamo avuto diversi presidenti che non provenivano dal ceto politico tradizionale (tipo Carter, che coltivava arachidi, o Reagan, attore).

Chi invece ha imparato bene la “lezione” (forse perché la sua sede è pur sempre in Italia) è la Chiesa Cattolica.
Il primo protagonista di tale tendenza è stato sicuramente Papa Wojtyla. I mass-media ce l’hanno sempre presentato come un ex operaio e come una persona molto “umana”.
A partire dal gesto –sicuramente studiato- di baciare in terra nei luoghi che egli visitava. Poi, Wojtyla lo si è visto scendere in una miniera con tanto di elmetto e fare numerosi gesti “da gente comune”, tipo andare a sciare e tant’altro.
Tutto ciò serviva a divulgare l’immagine di una persona “del popolo” e umile.

Papa Ratzinger si prestava poco a tale meccanismo (chissà se è stato sostituito anche per questo motivo).
Viceversa, Papa Bergoglio sembra proprio tagliato a tale scopo, con il suo viso da “buonaccione”.
E alcune “rinunce” (puramente esteriori) hanno fatto il resto: oggi egli appare essere una persona buona e che incarna lo spirito di una chiesa, che vorrebbe cambiare e diventare più umile.

In realtà la Chiesa Cattolica continua ad essere un impero economico di dimensioni molto più che “faraoniche”. Basti pensare che, solo in Italia, detiene a vario titolo almeno un quarto di tutte le proprietà immobiliari del paese e possiede hotels, negozi, ospedali, scuole, ristoranti e tantissimo altro, per un giro d’affari semplicemente colossale. Tutto (o quasi) esentasse. Alla faccia dell’umiltà!

Comunque sia, al di là di tutto, il fatto che il potere di oggi tenda a “mascherarsi” e ad apparire più popolare e meno aristocratico e faraonico, è, in sé, un fatto positivo, poiché testimonia del fatto che i ceti popolari hanno acquisito maggiore importanza e considerazione nell’ultimo secolo e mezzo.

Ma non basta: affinché i ceti proletari imparino a non farsi ingannare dal potere “mascherato”, occorre che facciano –in sintesi- due cose: lottare e istruirsi.
Sono l’ignoranza e la passività gli elementi che impediscono a questi settori della società di prendere coscienza della realtà e che permettono di farsi ingannare da chi fa finta di essere uno di loro (di solito per sfruttarli meglio).

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