venerdì 19 settembre 2014

patriottismo, nazionalismo e la vicenda dei due Marò

Non sono mai stato una persona molto patriottica.
O forse sì: forse lo sono stato molto più di quanto io stesso me ne rendessi conto.
E, anzi, negli ultimi anni ho molto rivalutato l'importanza di una certa dose di patriottismo, che a ben vedere non è necessariamente in contraddizione con l'internazionalismo.

Di solito il patriottismo viene associato ad una matrice politica di destra, ma in realtà le cose non stanno proprio così: molto spesso i socialisti, i comunisti, i rivoluzionari hanno fatto appello al patriottismo (vedi ad esempio il noto slogan dei rivoluzionari cubani "patria o muerte").
Diciamo che non sono mai stato un nazionalista, ma quella è un'altra cosa.

Il patriottismo è un generico sentimento di amore verso il proprio paese, i suoi costumi, la sua cultura, i suoi usi.
Mentre per nazionalismo di solito si intende una teoria, che reputa un determinato popolo o nazione in una posizione di superiorità, rispetto agli altri. E questo sì, è tipicamente di destra.
Spesso, infatti, il nazionalismo è servito a perseguire o a giustificare politiche aggressive e di dominio di certi Stati nei confronti di altri più deboli, soprattutto durante il colonialismo (anche se poi a ben vedere chi beneficiava veramente dei vantaggi delle politiche aggressive era solo la classe sociale dominante; non certo il popolo o i soldati, che magari combattevano, loro sì, per sentimenti patriottici).

Ma molto spesso accade che il nazionalismo venga anche utilizzato strumentalmente proprio per camuffare l'opposto, ossia, una subordinazione di fatto.
Ad esempio, durante la dittatura golpista e sanguinaria in Cile, i militari facevano appello al nazionalismo, ma in realtà questo serviva a coprire la lunga mano degli Stati Uniti, i veri artefici, nonchè beneficiari di quella crudele dittatura.

Mentre, viceversa, un certo patriottismo, quando è legato alle esigenze di emancipazione di un popolo oppresso da un'altra nazione dominante, allora è sicuramente un fatto positivo e progressista.



Ha senso oggi in Italia essere patriottici?
Se lo si è nel giusto modo, sì.
Fin dal dopoguerra, infatti, il Bel Paese è stato ridotto ad una condizione di "sovranità limitata" di fatto.
Durante questi decenni gli Stati Uniti hanno condizionato pesantemente la politica italiana, arrivando perfino -tramite la Gladio- ad esercitare un ruolo nella stagione del terrorismo, tra l'altro facendo fallire il Compromesso Storico.

Ogni governo italiano per insediarsi deve avere prima il "placet" americano (mentre quello del popolo conta molto di meno, come abbiamo visto anche in questi ultimi anni).
Gli USA inoltre posseggono -attraverso la NATO- oltre 100 basi militari nel nostro territorio, dove per giunta alloggiano diverse decine di testate nucleari (e sono sempre loro a decidere se, come e quando usarle).
Come se non bastasse, gli yankees esercitano un notevole potere economico ed una fortissima influenza ideologica su di noi, grazie all'utilizzo di strumenti e tecniche di comunicazione sempre più raffinate e pervasive (TV, giornali/riviste, internet, social networks ecc.).
Oltre agli USA, l'Italia è subordinata anche all'Europa (essenzialmente alla Germania) che ci toglie sovranità economica, grazie all'Euro, e ci impone politiche economiche socialmente devastanti.

Dunque, il patriottismo è sicuramente utile laddove questo serve a battersi contro lo strapotere americano (e, in misura minore, tedesco) in Italia. Non lo è -anzi, è controproducente- quando invece copre la nostra reale suddittanza.

A livello politico-istituzionale, infatti, i sentimenti patriottici sono stati tirati fuori di recente in almeno 3 occasioni: nel 2003, con i caduti di Nassirya, in Iraq, sul caso Cesare Battisti in Brasile e attualmente con la vicenda dei due Marò in India.
Nel primo caso, quello di Nassirya, si è incitato all'orgoglio nazionale per coprire il fatto che abbiamo invaso militarmente un paese praticamente solo per supportare gli americani, che ce lo avevano richiesto (d'altronde anche Sarkozy s'è comportato allo stesso modo, ritirando in ballo la "grandeur" francese, in occasione dell'intervento in Libia, perseguito essenzialmente nell'interesse degli USA).

Il caso di Battisti, in Brasile, e dei due Marò in India è un po' diverso: lì ci troviamo di fronte ad una resistenza, da parte dell'Italia, a riconoscere l'aumentata importanza, sulla scena mondiale, di questi due paesi (nonchè la diminuita importanza dello Stivale).
I diplomatici nostrani, abituati da decenni a trattare India e Brasile come Stati del Terzo Mondo -e quindi con una certa sufficienza- ora si trovano in difficoltà di fronte ad una situazione mutata, che vede i due paesi in questione progredire e aumentare di peso sotto molteplici aspetti (pochi anni fa, ad esempio, entrambe i paesi hanno superato l'Italia come produzione industriale; e sono in continua ascesa, mentre essa da noi diminuisce anno per anno).

Da notare che nell'ambito dei rapporti politico-diplomatici poco importa se le persone in questione -Battisti e i due Marò- siano state realmente colpevoli o meno (ricordiamoci come il pilota americano responsabile della tragedia del Cermis -20 italiani morti!- venne subito rimpatriato negli States e nel relativo processo venne sostanzialmente assolto. Lì il messaggio diplomatico che gli americani ci hanno mandato era questo: a casa vostra comandiamo noi e facciamo impunemente come ci pare!)

Dunque, tirare in ballo il nazionalismo nel caso dei Marò equivale a farsi grandi contro un paese (che noi riteniamo) inferiore, mentre contemporaneamente ci dimentichiamo di essere poco più che una colonia degli USA, per giunta bistrattata.

Ancora più ridicola è l'esibizione di un presunto patriottismo (o nazionalismo) di fronte al fenomeno dell'immigrazione: l'ostilità nei loro confronti da parte di molte persone può essere definita solo in un modo: guerra tra poveri!
E non c'è assolutamente nulla di patriottico in ciò.
(a scanso di equivoci, NON mi piace bollare le persone che odiano gli extracomunitari come "razziste"; non solo perchè scadrei in un discorso moralista -poco utile- ma perchè tale ostilità ha di solito poco a che vedere con il razzismo vero e proprio; si tratta il più delle volte di mancata comprensione del fatto che gli immigrati -come d'altronde pure gli italiani non benestanti- sono alla fine vittime del capitalismo e delle sue molteplici forme di sfruttamento).

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