La crisi economica, e soprattutto il modo come la si sta gestendo, sta portando numerosi danni economici, morali e politici nel nostro paese.
Imprese, laboratori e negozi che chiudono, licenziamenti, precarizzazione del lavoro, tagli ai servizi, alla scuola, alle pensioni. Molte famiglie –come si dice- non arrivano a fine mese e c’è stato un incremento dei suicidi, dovuti a tali problemi.
Il
malcontento sociale, quindi, è più che legittimo. Ma tale malessere, affinché
sia anche utile, oltre che legittimo, deve sapersi indirizzare bene.
Ossia,
i ceti popolari, nel loro esprimere la loro rabbia, il loro malessere, la loro
protesta, devono individuare chi sono i veri responsabili di queste condizioni.
Altrimenti rischiano di farsi facilmente strumentalizzare da chi intende
combattere alcuni settori, ma solo per perseguire fini propri, non di rado
opposti a quelli convenienti ai ceti popolari.
Ho
già ricordato più volte come è lo stesso capitalismo a generare le crisi
economiche, per i suoi meccanismi intrinseci (vedere Marx) e come il forte
intervento degli Stati nell’economia (Welfare State, partecipazioni
nell’industria, ecc.) ne avesse attenuato tali dinamiche durante i decenni
successivi alla Seconda Guerra Mondiale.
Viceversa,
le politiche liberiste degli ultimi 30 anni, modificando tale quadro, hanno
fatto sì, che i meccanismi del capitalismo (crisi, ahimè, comprese)
ritornassero prepotentemente.Quindi, le responsabilità politiche principali della situazione negativa attuale, sono da attribuire, almeno per quanto riguarda l’Italia, ai GOVERNI. A quello attuale (di Letta), come a quelli precedenti (Monti, Berlusconi, Prodi…), fautori, appunto, delle politiche liberiste degli ultimi 20 anni.
Tutta
la retorica, che in Italia imperversa da almeno 20 anni, sui generici
“politici” e sui partiti, ladri e corrotti, e che sarebbero tutti la causa
principale dei problemi attuali, dal momento che “si sono mangiati tutto”, è
una retorica tanto pervasiva, quanto fourviante.
Non
è un caso che chi a suo tempo ha cavalcato tale retorica (Berlusconi, che amava
definirsi un “imprenditore” e non un politico; Bossi, con i suoi discorsi su
“Roma ladrona”), non ha portato alcuna “pulizia” nella politica, ma, anzi…
Veniamo
ai partiti.
Checché
se ne dica, i partiti esercitano un ruolo importantissimo in quasi tutti i
paesi del mondo, anche là dove i casi di corruzione politica si contano sulle
dita di una mano. Questi mancano solamente dove vigono dittature, o monarchie
assolute, come in Arabia Saudita o nel Vaticano.
In
realtà, i partiti –o almeno quelli comunisti o seriamente di sinistra- sono
nati a suo tempo proprio come strumento per promuovere la democrazia (là dove
non c’era o scarseggiava) e per favorire la partecipazione alla politica dei
ceti popolari (là dove, almeno formalmente, la democrazia già c’era).
Paradossalmente,
il partito classico è stato –e in molti casi è ancora- un ottimo strumento
proprio per contenere la corruzione che ha sempre albergato negli ambiti del
potere (politico e non), dato che attraverso di esso i ceti popolari riescono
ad esercitare un minimo di controllo sulle istituzioni.
Per
decenni il Partito Comunista Italiano è stato proprio un partito con queste
caratteristiche. Anche per questo alla fine è stato fatto fuori (dava troppo
fastidio).
I
partiti di oggi in Italia (con pochissime eccezioni) ormai non hanno più nulla
a che vedere con questo tipo di partito, essendo diventati sostanzialmente dei
comitati elettorali.Ma criticare, per questo, i partiti tout-court significa buttare il bambino con l’acqua sporca!
Anche
perché quale sarebbe l’alternativa?
Nell’ultimo
secolo e mezzo, solo le dittature, le monarchie assolute e il notabilato
dell’Italia dell’ottocento (e che oggi, in nome del “superamento del ’900” sta
tornando in auge).Poi, qualcuno può anche fantasticare di “democrazia on-line”, ma prenderlo sul serio può essere pericoloso: esistono migliaia di modi per controllare, falsificare, distorcere, condizionare i dati su internet.
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