lunedì 20 gennaio 2014

Il PD rimane sempre il PD. Renzi o non Renzi...

Il processo di americanizzazione della politica italiana –che dura ormai da oltre 20 anni- è andato talmente avanti, che non solo la percentuale dei votanti si sta avvicinando alla loro media (60-70% da noi; 50% negli USA), ma si assiste ad una crescente personalizzazione della nostra politica.
Ormai si ragiona sempre più per “leader” e sempre meno per partiti. Addirittura nascono partiti personali e altri partiti già esistenti vengono spesso identificati con il loro leader (ad esempio si parla molto più di Vendola che di SEL).

La spinta verso una politica sempre più legata a determinati personaggi e sempre meno ai partiti è nata in Italia già dai primi anni ’90, sull’onda dell’inchiesta “Mani Pulite”, che scoprì Tangentopoli.
La campagna mass-mediatica seguita a tale stagione ha molto insistito sul ruolo negativo dei partiti nella vicenda (buttando, come al solito, il bambino con l’acqua sporca) e tacendo, viceversa, sull’altra parte chiamata in causa, ossia, quella degli imprenditori che corruppero i politici; anzi: le imprese in quegli anni vennero presentate come la parte “sana” del paese (d’altronde stava per iniziare la grande stagione privatizzatrice ed era proibito parlare male delle imprese private).
I partiti (e lo statalismo) vennero visti –a prescindere- tout-court come il male assoluto e fonte di ogni corruzione e malfunzionamento, per cui si lavorò per un ridimensionamento del loro peso e per il rafforzamento dei singoli leaders politici e tutto ciò venne presentato come una cosa positiva, più democratica (i cittadini che sceglievano direttamente la persona che andava a governare).

Ma, come è più o meno sempre accaduto negli ultimi 25 anni, tutte le misure e i cambiamenti che ci sono stati presentati come migliori, come più efficienti, come più democratici, come la soluzione dei problemi, ecc., alla fine si sono puntualmente dimostrati l’esatto contrario (le privatizzazioni “contro lo statalismo” si sono tradotte alla fine in una svendita del grande patrimonio industriale italiano agli stranieri, che oggi lo stanno smantellando).
L’estrema personalizzazione della politica ha prodotto fra l’altro, il “berlusconismo”, che in quanto a corruzione e “porcate” ha superato ampiamente il PSI craxiano e la DC.

In realtà per la maggioranza dei cittadini (quelli di estrazione popolare) è –paradossalmente- preferibile votare per un partito classico, che non per una persona. Non è per caso che la nostra Costituzione individui proprio nei partiti la base della partecipazione politica democratica.
Il partito tradizionale classico, infatti, aveva alla sua base una determinata concezione della società e dell’economia, e quindi un’ideologia (scusate la bestemmia), tale, per cui chi andava a governare era tenuto in larga misura a rispettare certi orientamenti di fondo e non poteva permettersi troppe libertà (doveva rendere conto ad una base organizzata e un minimo preparata e consapevole).

Viceversa, il leader è molto meno vincolato da questo punto di vista e può permettersi molte più libertà e quindi può essere molto più facilmente manipolabile da parte dei poteri forti.
Romano Prodi, ad esempio, andò al governo nel 2006 sulla base di un preciso programma, che poi ha largamente disatteso, finendo, invece, per portare avanti politiche che in quel programma non c’erano (l’ampliamento della base americana di Vicenza). Lo stesso Barack Obama venne eletto sulla base di un programma di 10 punti, dei quali ne ha realizzato soltanto uno (la c.d. “riforma sanitaria”), e anche quello in modo molto blando e discutibile.

Venendo al Partito Democratico e a Matteo Renzi.
Molta gente di sinistra in questi anni ha paventato la prospettiva, oggi divenuta realtà, ossia, che il sindaco di Firenze potesse prendere le redini del PD, in quanto ritenuto troppo “di destra”, nonché vicino a Berlusconi.
Altri, viceversa, ritengono che Renzi sia più adatto a rilanciare il PD, in quanto giovane e estraneo (?) ai vecchi “dinosauri” del partito, tipo i vari D’Alema, Veltroni e Bersani.

Chi ha ragione? Nessuno dei due!

In realtà il personalismo della politica è un fenomeno più di facciata, che reale. Non nel senso che decidono i partiti, bensì che sono le lobbies economico-finanziarie ad avere un immenso potere. E questo non solo in Italia, ma pure negli USA (Kennedy non è stato assassinato a caso).
Il “restyling” che il PD sta attuando attraverso il “giovane” Renzi non deve ingannare. Tale partito, infatti, presenta già fin dalla sua nascita una sua natura sociale: il grande capitale finanziario.
Il PD, tra l’altro, è il più fedele esecutore delle direttive europee dell’”austerity” (ossia, del massacro sociale) che perseguono praticamente solo gli interessi delle grandi banche, specificamente quelle tedesche.
Non è un caso che tale partito abbia governato (assieme a Berlusconi) con Monti e ora Letta (frequentatori della Trilateral e del Gruppo Bilderberg, gruppi semi-massonici ultra-liberisti).

La segreteria di Matteo Renzi, quindi, lungi dal rappresentare una “svolta” del PD, ne rappresenta invece il suo pieno sviluppo in perfetta continuità con il percorso iniziato nel 1989 (PDS-DS-PD).

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