lunedì 15 aprile 2013

come ti distruggo la sinistra italiana (parte 1)

Negli anni '60-'70 l'Italia aveva la sinistra più forte di tutta l'Europa occidentale.
Ed oltre ad essere forte, era una sinistra su posizioni, nel complesso, molto avanzate.
Il grosso era dovuto ovviamente al Partito Comunista Italiano: partito robusto, radicato, ben organizzato e ideologicamente forte e coeso. Ma soprattutto dotato di un enorme consenso popolare stabile. Consenso che andava assai al di là del voto.
Ma anche il secondo partito di sinistra, il Partito Socialista, aveva contenuti nettamente di sinistra (si parla naturalmente del PSI pre-craxiano).
E a tutto ciò vanno aggiunti il '68 e le forze della sinistra extraparlamentare.
La notevole influenza della sinistra sul mondo culturale, poi, era evidentissima.

A distanza di 40 anni sulla sinistra italiana sembrano essere passate ogni sotra di calamità naturali: terremoti, alluvioni, incendi. Di tutto!
Oggi la sinistra italiana è sicuramente tra quelle ridotte peggio nel panorama europeo e in preda ad una confusione e ad una crisi d'identità spaventosa.
Sintomo evidente di questa situazione è il fenomeno che possiamo chiamare del "voto ambulante": ossia, persone che ogni anno votano una forza politica diversa e spesso e volentieri non votano affatto.
Lo stesso luogo comune, oggi così diffuso nel Bel Paese (ma non all'estero), per cui si ritiene superata la distinzione tra "destra" e "sinistra" la dice lunga sullo stato comatoso in cui versa la sinistra italiana.

Come si è arrivati a tutto ciò?

Trattare tutti i numerosi passaggi richiederebbe un intero libro, e pure bello corposo. Mi limito qui a sviscerare solo quelli più significativi e le dinamiche di lungo tempo che hanno concorso a tale risultato disastroso, che ha dell'incredibile, se solo si pensa a quella che era la situazione di partenza, negli anni '70.

Un'altra premessa è doverosa: il lungo percorso in questione non è solamente il frutto di una precisa strategia -che comunque è esistita- bensì anche di fattori oggettivi. Fattori che, per motivi di spazio, mi limiterò solo ad accennarli: la delocalizzazione (ossia, lo spostamento della produzione all'estero), l'esternalizzazione (la quale, però, non è del tutto estranea alla strategia di cui sopra), la fine del campo sovietico tra l'89 e il '91, l'enorme ondata immigratoria (fenomeno che in Italia è "esploso" soprattutto a partire dagli anni '90), e l'esistenza, da noi più che in qualsiasi altro paese europeo, di una vasta e diffusa piccola-media borghesia (piccoli imprenditori, artigiani, negozianti, liberi professionisti, ecc.), la quale tende facilmente a spostarsi su posizioni destrorse, come in effetti è accaduto in Italia, influenzando anche i settori più popolari.

Ma veniamo al dunque.


Le prime sconfitte del PCI e della sinistra
il processo di decadenza del PCI inizia a manifestarsi già alla fine degli anni '70 (tralascio qui la gestione berlingueriana del partito, dato che, anche ciò, richiederebbe troppo spazio).
Di sicuro la vicenda legata ad Aldo Moro ha influito negativamente sul PCI, facendo fallire il Compromesso Storico e costringendo il partito ad un ripiego ("alternativa democratica").

La seconda "batosta" sulla sinistra non s'è fatta attendere: la "marcia dei 40 mila" dell'ottobre 1980, che ribaltò i rapporti di forza tra padronato e sindacati ed inaugurò una nuova stagione sindacale, basata sulla subordinazione, via via crescente, dei secondi al primo (con rari quanto effimeri episodi di "rialzamento di testa", come nel 2002, quando la CGIL di Cofferati si oppose -allora- all'abolizione dell'articolo 18, con una mobilitazione impressionante).
La sconfitta dell '80, segnando un indebolimento del movimento operaio, non poteva che ripercuotersi, col tempo, negativamente sulla sinistra politica, come si vedrà.


Il PSI craxiano
Con la gestione craxiana del Partito Socialista si crea un paradosso. Ossia, un partito formalmente "di sinistra" si trasforma in qualcosa di opposto, almeno in termini di politiche economiche. Il PSI degli anni '80, infatti, invece di difendere i ceti popolari e i lavoratori, sarà la punta di lancia per l'attacco al movimento operaio, con il pretesto di "modernizzare" l'Italia. Un "modernismo" tutto all'insegna del risorgente capitalismo liberista.
Il PSI non solo attaccherà i lavoratori (si pensi, ad esempio, al taglio della scala mobile), ma sposterà verso destra il più grande sindacato, la CGIL, grazie alla componente "socialista" interna, e addirittura condizionerà lo stesso PCI, tramite la corrente migliorista (di Napolitano), vera e propria "quinta colonna" del PSI dentro il PCI.



Ricapitolando, negli anni '80 la sinistra italiana da una parte perde un pezzo, ossia, il PSI, passato armi e bagagli dalla parte della borghesia; dall'altra parte si indebolisce -soprattutto ideologicamente- il PCI, e in modo più accelerato dopo la morte, nel 1984, di Enrico Berlinguer; dall'altra parte ancora perde vigore il movimento operaio, a partire dalla CGIL.
Ma ben altre nubi si addensano all'orizzonte.

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