giovedì 10 gennaio 2013

cancellato l'articolo 18...e la disoccupazione aumenta

Ormai è dal settembre scorso che l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (quello che prevede il reintegro nel posto di lavoro per il lavoratore licenziato senza giusta causa) è stato -di fatto- cancellato.
Ci aveva già provato Berlusconi nel 2002, ma la reazione della CGIL e di tre milioni di lavoratori scesi in piazza lo costrinse a desistere.
Oggi il Governo Monti, con la complicità sia del PD, che del PDL c'è riuscito: con la (contro) riforma Fornero il lavoratore ingiustamente licenziato riceve un indennizzo (ossia, riceve lo stipendio per 2 anni), che però non è certo la stessa cosa che mantenere il posto di lavoro.

Per anni e anni vari personaggi (imprenditori soprattutto, ma anche economisti e politici di fede liberista) hanno tuonato contro l'articolo 18, ritenendolo la causa di tanti problemi economici e della mancanza di investimenti, sia italiani, che stranieri, nonchè della disoccupazione.

Ora, quindi, ci si aspetterebbe che, cancellato, almeno nella sua essenza, l'articolo 18, frotte di investimenti sarebbero dovuti piombare sull'Italia, portando con sè nuova occupazione. In questi mesi qualche primo effetto si sarebbe già dovuto vedere.
E invece, niente!

Qualche risultato, per la verità, si vede, ma di segno opposto: la disoccupazione aumenta.
Gli ultimi dati sono veramente allarmanti: 37,1% di disoccupazione giovanile.
Certo, l'aumento della disoccupazione, così come la mancanza di investimenti e la chiusura di non poche aziende, negozi, laboratori, ecc., non è causata da tale provvedimento. Questo fenomeno è legato alla crisi economica, connaturata al modo di produzione capitalistico. Il cosidetto "libero mercato" (che tanto libero poi non è) genera crisi, disoccupazione, de-industrializzazione, ecc.
Ma in tale contesto, le misure del Governo Berlusconi prima e di quello Monti poi, hanno sicuramente aggravato gli effetti negativi di questa crisi.

La cancellazione dell'articolo 18 non ha risolto e non risolverà nessuno di questi problemi e, a dispetto di tante chiacchiere interessate, meno che mai produrrà un incremento dell'occupazione.
Creerà, semmai, un altro effetto, ed è proprio quello che desiderava la classe imprenditoriale italiana -una tra le più incapaci d'Europa- e i vari economisti ai suoi servizi: l'aumento della ricattabilità del lavoratore. E, di conseguenza, il suo sfruttamento.
E' un altro tassello che si va ad aggiungere al boom dei vari contratti precari, generato dalla legge Treu prima e dalla L. 30 poi. Col risultato che ormai la grande magioranza dei lavori -soprattutto giovanili- sono con contratti precari (i quali avrebbero dovuto in teoria anch'essi -stando a ciò che si diceva-portare ad un aumento dell'occupazione).

Che l'articolo 18 non creava problemi alla crescita economica e all'occupazione è dimostrato, tra l'altro, dal fatto che dopo che è entrato in vigore lo Statuto dei Lavoratori, nel 1970, in Italia il PIL è stato in continua crescita per tutti gli anni '70 e '80.

Speriamo che riesca ad andare in porto il referendum per il ripristino dell'articolo 18. Lo scioglimento delle camere effettuato dal Presidente Napolitano rischia di rendere inutile la raccolta di firme di questi mesi scorsi.

2 commenti:

  1. attendo pazientemente (poco..) il 25 febbraio
    ciao

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  2. Io voterò la Lista Ingroia. Oggi, con le catene che ci hanno messo (fiscal compact, pareggio di bilancio in costituzione, ecc.) si può ragionevolmente puntare soltanto ad una (seria) opposizione.
    Ciao

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