Il 14 luglio 1948 Palmiro Togliatti,
segretario del Partito Comunista Italiano subisce un attentato con un
colpo di arma da fuoco. Per fortuna riuscì a salvarsi e, dopo un
intervento e il ricovero ospaedaliero, ritornò al lavoro.
Come è noto, ben altra sorte toccò,
15 anni più tardi (il 22 novembre, esattamente 49 anni fa), al
Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, il quale,
invece, non sopravvisse al suo attentato.
Fra i due personaggi vi è una cosa in
comune: entrambi, al momento dell'attentato, erano i più alti
esponenti del fronte progressista nei rispettivi paesi. Entrambi
rappresentavano milioni e milioni di elettori; entrambi erano leaders
di un grande partito progressista; entrambi "dividevano",
se così si può dire, la società tra i loro sostenitori e i loro
antagonisti.
Ma tra Togliatti e Kennedy c'erano
anche notevoli differenze. A parte quelle politico-ideologiche ben
note (comunista il primo, progressista -ma anticomunista- il
secondo), c'era un'altra differenza che andrebbe sottolineata e che
non riguardava tanto i personaggi nello specifico, quanto i loro
rispettivi partiti.
Veniamo alla cronaca:
dopo l'attentato a Togliatti, la
reazione del popolo italiano fu immediata ed impressionante: per
un'intera settimana l'Italia rimase paralizzata da scioperi,
manifestazioni con durissimi scontri (14 morti), occupazioni di
fabbriche, assalti ai commissariati (tra i quali quello di Milano).
Insomma l'Italia era in uno stato a dir
poco pre-insurrezionale e i poteri forti hanno vissuto sicuramente
giorni di grande terrore.
Significativo, tra l'altro, fu il fatto
che il tutto si calmò (lentamente) grazie proprio al decisivo
intervento dello stesso Togliatti, il quale dal letto del suo
ospedale fece appello alla calma e alla cessazione delle agitazioni.
Neanche l'ombra di una simile reazione
si riscontra negli USA dopo l'attentato a Kennedy, peraltro mortale,
in questo caso.
Certo, ci fu indignazione,
costernazione, dolore, dubbi, sospetti. Ma non ci fu alcuna
mobilitazione popolare e i poteri forti americani nemmeno per un
secondo hanno avuto un accenno di paura.
Perchè tali differenze?
Di motivi se ne potrebbero trovare
diversi, ma ce n'è uno -a mio avviso- che appare fondamentale e
decisivo: la profonda differenza tra il PCI italiano e il Partito
Democratico americano.
Il Partito Comunista Italiano era un
partito di massa, fortemente radicato tra i lavoratori e nei
quartieri popolari e ben organizzato. Aveva non soltanto una forte
teoria, ma lavorava anche sotto l'aspetto culturale, sociale ed
economico. Il PCI diede un contributo decisivo alla
sprovincializzazione di molti ceti popolari italiani e rimase per
decenni un punto di riferimento insostituibile per milioni di
persone.
Insomma, era molto più di un semplice
partito d'opinione. Gli iscritti -ma anche i soli votanti- si
identificavano nel partito e nel "loro" segretario.
Poi, certo, anche il fatto che c'era
stata pochi anni prima la Resistenza (in cui lo stesso PCI ebbe un ruolo notevole)
diede il suo contributo.
Viceversa, il Partito Democratico
americano (così come oggi il PD italiano) era un classico partito
d'opinione. Finanziato dalle potenti lobbies, può trovare, tra i
ceti popolari, simpatie, voti, qualche vago sostegno, ma niente più.
E' un po' la tendenza che ormai da
decenni si è affermata anche in Italia (dove, chissà perchè, si
tende ad acquisire sempre e solo le cose peggiori dall'America e mai
quelle migliori), dove ormai i partiti di massa sono semi-scomparsi
ed è nata una pletora di partiti "leggeri" e d'opinione, spesso facenti capo ad un personaggio famoso.
L'ultimo "parto" è un po' l'esaltazione di questa tendenza: il
Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, fenomeno altamente
mass-mediatico.
Senza esaltazioni
"rivoluzionarie" o "insurrezionali", ciò che
accadde in Italia dopo l'attentato a Palmiro Togliatti dimostra, però, una
cosa importante:
che allora i lavoratori e le classi
popolari italiane erano organizzate e capaci di dare risposte
fortissime e che il potere era costretto a rispettarle e a farci i
conti.
Oggi, finche non si ricostruiranno
partiti di quel tipo, le grandi lobbies economico-bancario-mafiose
dormono sonni tranquilli.
E non sarà certo un grillo parlante a
turbarli.
il primo passo per emancipare un popolo e renderlo libero non è quello di farlo votare, bensì quello di istruirlo e renderlo consapevole e cosciente
domenica 25 novembre 2012
mercoledì 14 novembre 2012
sciopero 14 novembre. Finalmente una risposta europea
Non so se si è capita la portata di
ciò che è successo oggi. E' la prima volta che viene indetto uno
sciopero a livello europeo.
Non è una banalità e non era un fatto scontato.
Possiamo trovare tante pecche e limiti in questo sciopero, nonchè tante differenze da paese a paese. Ma ciò non toglie che per la prima volta s'è realizzata una protesta contemporaneamente nei vari paesi colpiti dalle misure pesantissime che una politica economica europea assolutamente sbagliata (se ne sta accorgendo perfino il Fondo Monetario Internazionale, il che è tutto dire...) sta portando avanti.
I paesi che hanno aderito ufficialmente allo sciopero sono, oltre alla Spagna (dove è stata concepita l'idea), il Portogallo, la Grecia, l'Italia, Malta e Cipro.
Ma manifestazioni ci sono state pure a Bruxelles, a Parigi e persino in Germania (e mi pare anche da altre parti).
A parte le prevedibili tensioni, lo sciopero e le manifestazioni sono state un successo un po' da tutte le parti. In Italia si è manifestato praticamente in ogni città. E così in Europa. Lavoratori e studenti. Giovani e meno giovani.
Si tratta di un segnale importante.
Ma che non deve finire qui: la costruzione di un fronte sindacale e di protesta il più possibile unitario a livello europeo è sempre più un'esigenza, imposta dai pesanti attacchi al lavoro e alle nostre condizioni di vita a livello continentale.
Le politiche di austerità imposte dalla Banca Centrale Europea ai paesi europei, e basati sul dogma del "risanamento del debito pubblico" stanno impoverendo milioni di greci, spagnoli, portoghesi, italiani e sempre più anche i francesi e altri ancora.
E oltre all'impoverimento, deprimono sempre più l'economia. Solo Monti "vede" la ripresa vicina. Altri parlano di 5 anni. E forse pure di più.
Ma il bello è che le politiche di contenimento del debito pubblico non solo producono povertà e deprimono l'economia, ma STANNO FALLENDO ANCHE SULLO STESSO DEBITO PUBBLICO.
In Italia il rapporto tra debito pubblico e PIL è balzato dal 120% dello scorso anno, quando si è insediato Monti, al 126% di ora.
In Grecia siamo già alla quinta (o sesta, non ricordo) manovra "lacrime e sangue". In teoria, se tali manobre erano giuste, sarebbe dovuta bastare la prima. E invece, notizia di queste ore, il PIL ellenico è a oltre -7% (in Italia siamo al -2,5%). E di risanamento del debito pubblico neanche a parlarne.
Di fronte ad un simile fallimento, non solo si dovrebbe dimettere Monti, ma tutto l'establishment europeo, portatore di queste politiche economiche fallimentari e di massacro sociale.
Ma come fanno a dimettersi i banchieri che decidono -di fatto- le politiche economiche del nostro continente, se non sono mai stati eletti da nessuno?
Eppure i nostri governi prendono ordini da loro, come ormai dovrebbe essere evidente un po' a tutti.
Per questo è fondamentale che si inizi a rispondere a livello europeo.
Tra l'altro la mobilitazione sindacale europea ha avuto un'ulteriore effetto positivo: è riuscita, almeno per un giorno, anche a mettere d'accordo sindacati che normalmente non si guardano in faccia.
Infatti, allo sciopero del 14 hanno aderito sia la CGIL, che l'USB (i Cobas).
Naturalmente (e spero) qui si tratta di un primo passo. Ed era importante iniziare.
L'ampiezza dell'attacco alle nostre condizioni di vita impone che in futuro si prosegua su questa strada di coordinamento e organizzazione a livello europeo delle lotte.
Non è una banalità e non era un fatto scontato.
Possiamo trovare tante pecche e limiti in questo sciopero, nonchè tante differenze da paese a paese. Ma ciò non toglie che per la prima volta s'è realizzata una protesta contemporaneamente nei vari paesi colpiti dalle misure pesantissime che una politica economica europea assolutamente sbagliata (se ne sta accorgendo perfino il Fondo Monetario Internazionale, il che è tutto dire...) sta portando avanti.
I paesi che hanno aderito ufficialmente allo sciopero sono, oltre alla Spagna (dove è stata concepita l'idea), il Portogallo, la Grecia, l'Italia, Malta e Cipro.
Ma manifestazioni ci sono state pure a Bruxelles, a Parigi e persino in Germania (e mi pare anche da altre parti).
A parte le prevedibili tensioni, lo sciopero e le manifestazioni sono state un successo un po' da tutte le parti. In Italia si è manifestato praticamente in ogni città. E così in Europa. Lavoratori e studenti. Giovani e meno giovani.
Si tratta di un segnale importante.
Ma che non deve finire qui: la costruzione di un fronte sindacale e di protesta il più possibile unitario a livello europeo è sempre più un'esigenza, imposta dai pesanti attacchi al lavoro e alle nostre condizioni di vita a livello continentale.
Le politiche di austerità imposte dalla Banca Centrale Europea ai paesi europei, e basati sul dogma del "risanamento del debito pubblico" stanno impoverendo milioni di greci, spagnoli, portoghesi, italiani e sempre più anche i francesi e altri ancora.
E oltre all'impoverimento, deprimono sempre più l'economia. Solo Monti "vede" la ripresa vicina. Altri parlano di 5 anni. E forse pure di più.
Ma il bello è che le politiche di contenimento del debito pubblico non solo producono povertà e deprimono l'economia, ma STANNO FALLENDO ANCHE SULLO STESSO DEBITO PUBBLICO.
In Italia il rapporto tra debito pubblico e PIL è balzato dal 120% dello scorso anno, quando si è insediato Monti, al 126% di ora.
In Grecia siamo già alla quinta (o sesta, non ricordo) manovra "lacrime e sangue". In teoria, se tali manobre erano giuste, sarebbe dovuta bastare la prima. E invece, notizia di queste ore, il PIL ellenico è a oltre -7% (in Italia siamo al -2,5%). E di risanamento del debito pubblico neanche a parlarne.
Di fronte ad un simile fallimento, non solo si dovrebbe dimettere Monti, ma tutto l'establishment europeo, portatore di queste politiche economiche fallimentari e di massacro sociale.
Ma come fanno a dimettersi i banchieri che decidono -di fatto- le politiche economiche del nostro continente, se non sono mai stati eletti da nessuno?
Eppure i nostri governi prendono ordini da loro, come ormai dovrebbe essere evidente un po' a tutti.
Per questo è fondamentale che si inizi a rispondere a livello europeo.
Tra l'altro la mobilitazione sindacale europea ha avuto un'ulteriore effetto positivo: è riuscita, almeno per un giorno, anche a mettere d'accordo sindacati che normalmente non si guardano in faccia.
Infatti, allo sciopero del 14 hanno aderito sia la CGIL, che l'USB (i Cobas).
Naturalmente (e spero) qui si tratta di un primo passo. Ed era importante iniziare.
L'ampiezza dell'attacco alle nostre condizioni di vita impone che in futuro si prosegua su questa strada di coordinamento e organizzazione a livello europeo delle lotte.
venerdì 2 novembre 2012
Aiuto! Ci scippano la politica!
...e il bello è che moltissimi
italiani, forse la maggioranza, neanche se ne sono accorti. O, se se
ne sono accorti, non si rendono conto dell'entità del furto.
E in effetti la gente in giro si indigna per via delle tasse o dei vari tagli alle pensioni e ai servizi sociali. E indubbiamente si tratta di un furto pure quello.
Moltissimi si indignano perchè vedono "i politici" con le auto blu, o con stipendi e privilegi che noi neanche ci sogniamo. Certo, si tratta di briciole al confronto di quanto ci viene estorto dalle banche soprattutto e poi dalle grandi multinazionali e in Italia dal Vaticano, autentica macchina mangia-miliardi.
Ci scippano i soldi, il benessere, i diritti. Ma ci scippano qualcos'altro di ancora più grave: LA POLITICA!
Oggi abbiamo una visione molto distorta di ciò che significa il termine "politica". Associamo a questa parola le varie beghe tra i personaggi o tra i partiti -o all'interno di questi- per accaparrarsi delle poltrone. E ci sembra che la politica sia sostanzialmente ciò.
E, siccome certe dinamiche non ci piacciono, la tendenza è a non voler averci niente a che fare. Tendenza che porta, in ultima analisi, al non voto, com'è accaduto -molto prevedibilmente- in Sicilia.
Quante volte abbiamo sentito frasi come: "sono tutti un magna magna", "basta, il mio voto non glielo dò più", "ladri, pensano solo alla poltrona", e simili.
L'aumento dell'astensionismo testimonia la percezione dell'inutilità del voto che si sta sempre più radicando nella popolazione italiana. Per molti è una forma di protesta.
Protesta un po' ridicola, a pensarci bene: al sistema di potere che (mal) governa la Sicilia e l'Italia gli hai fatto il solletico! Continuerà a malgovernare (e a rubare) come e più di prima, senza farsi troppi scrupoli.
Il vero problema è un altro: l'astensionismo crescente, che poi è un astensionismo essenzialmente di estrazione proletaria, è il sintomo del fatto che i ceti popolari hanno perso e stanno sempre più perdendo potere nella società.
Le classi dominanti, che ben tollerano il mugugno popolare contro "i politici", hanno invece paura quando i ceti popolari lottano, quando prendono coscienza e si organizzano e soprattutto quando vogliono andare ad incidere sulle decisioni che riguardano la società. Ossia, quando pretendono di FAR POLITICA.
La diffidenza, se non ostilità, di tantissimi italiani nei confronti della politica purtroppo fa il gioco dei poteri forti. I quali hanno tutto l'interesse a tenere il popolo lontano dalla politica, che deve rimanere appannaggio delle elites economiche (o religiose, che poi sono sempre economiche anche quelle).
Certo, c'era una base di verità, nel senso che diversi partiti erano effettivamente diventati luoghi di corruzione e di lotte di potere. Ma, come vuole la buona tradizione italiana, si è gettato via il bambino con l'acqua sporca, accanendosi indistintamente contri i partiti tout-court.
Ora, i poteri forti non hanno bisogni di partiti politici. Governano e rubano anche meglio senza.
Sono i ceti popolari che ne hanno bisogno.
Anche perchè i vari leaders carismatici e santoni -alla Beppe Grillo- possono al massimo dare l'illusione di fare una rivoluzione. Ma non la fanno per davvero e non la possono fare.
Perchè la vera rivoluzione -e ce ne sarebbe bisogno- presuppone che il popolo si organizzi e arrivi ad incidere politicamente in modo cosciente e con degli obiettivi chiari, acquisendo potere nei vari ambiti della società.
Limitarsi a seguire un leader carismatico porta in tutt'altra direzione.
E in effetti la gente in giro si indigna per via delle tasse o dei vari tagli alle pensioni e ai servizi sociali. E indubbiamente si tratta di un furto pure quello.
Moltissimi si indignano perchè vedono "i politici" con le auto blu, o con stipendi e privilegi che noi neanche ci sogniamo. Certo, si tratta di briciole al confronto di quanto ci viene estorto dalle banche soprattutto e poi dalle grandi multinazionali e in Italia dal Vaticano, autentica macchina mangia-miliardi.
Ci scippano i soldi, il benessere, i diritti. Ma ci scippano qualcos'altro di ancora più grave: LA POLITICA!
Oggi abbiamo una visione molto distorta di ciò che significa il termine "politica". Associamo a questa parola le varie beghe tra i personaggi o tra i partiti -o all'interno di questi- per accaparrarsi delle poltrone. E ci sembra che la politica sia sostanzialmente ciò.
E, siccome certe dinamiche non ci piacciono, la tendenza è a non voler averci niente a che fare. Tendenza che porta, in ultima analisi, al non voto, com'è accaduto -molto prevedibilmente- in Sicilia.
Quante volte abbiamo sentito frasi come: "sono tutti un magna magna", "basta, il mio voto non glielo dò più", "ladri, pensano solo alla poltrona", e simili.
L'aumento dell'astensionismo testimonia la percezione dell'inutilità del voto che si sta sempre più radicando nella popolazione italiana. Per molti è una forma di protesta.
Protesta un po' ridicola, a pensarci bene: al sistema di potere che (mal) governa la Sicilia e l'Italia gli hai fatto il solletico! Continuerà a malgovernare (e a rubare) come e più di prima, senza farsi troppi scrupoli.
Il vero problema è un altro: l'astensionismo crescente, che poi è un astensionismo essenzialmente di estrazione proletaria, è il sintomo del fatto che i ceti popolari hanno perso e stanno sempre più perdendo potere nella società.
Le classi dominanti, che ben tollerano il mugugno popolare contro "i politici", hanno invece paura quando i ceti popolari lottano, quando prendono coscienza e si organizzano e soprattutto quando vogliono andare ad incidere sulle decisioni che riguardano la società. Ossia, quando pretendono di FAR POLITICA.
La diffidenza, se non ostilità, di tantissimi italiani nei confronti della politica purtroppo fa il gioco dei poteri forti. I quali hanno tutto l'interesse a tenere il popolo lontano dalla politica, che deve rimanere appannaggio delle elites economiche (o religiose, che poi sono sempre economiche anche quelle).
Storicamente il popolo ha iniziato a
voler incidere nella politica costruendo il suo partito. I primi
partiti di massa, infatti, erano partiti socialisti (parliamo dei
socialisti veri, niente a che vedere con gente come Craxi).
Non è un caso che l'ostilità nei
confronti dei "politici ladri" è stata condita, a partire
dagli anni '90, di ideologia anti-partitica. Il partito in Italia era
visto -ed è tuttora visto- come il male assoluto della politica.Certo, c'era una base di verità, nel senso che diversi partiti erano effettivamente diventati luoghi di corruzione e di lotte di potere. Ma, come vuole la buona tradizione italiana, si è gettato via il bambino con l'acqua sporca, accanendosi indistintamente contri i partiti tout-court.
Ora, i poteri forti non hanno bisogni di partiti politici. Governano e rubano anche meglio senza.
Sono i ceti popolari che ne hanno bisogno.
Anche perchè i vari leaders carismatici e santoni -alla Beppe Grillo- possono al massimo dare l'illusione di fare una rivoluzione. Ma non la fanno per davvero e non la possono fare.
Perchè la vera rivoluzione -e ce ne sarebbe bisogno- presuppone che il popolo si organizzi e arrivi ad incidere politicamente in modo cosciente e con degli obiettivi chiari, acquisendo potere nei vari ambiti della società.
Limitarsi a seguire un leader carismatico porta in tutt'altra direzione.
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