lunedì 30 gennaio 2017

Sinistra e populismo in Italia. Riflessioni.

Sinistra
Una delle frasi divenute di moda, in Italia, da qualche anno a questa parte, è: "parlare oggi di destra e sinistra non ha più senso."
Sono sempre stato molto contrario con questa affermazione (o simili). Purtroppo debbo constatare, prendere atto, che qualcosa di vero -ahimé- c'è in questo discorso, almeno nell'Italia di oggi.
Da noi, infatti, il concetto politico di "sinistra" negli ultimi decenni ha finito per perdere del tutto, o quasi, il suo significato originario.
Per almeno 150 anni -e ancora oggi in gran parte del mondo- essere "di sinistra" ha sempre significato essere a favore dei ceti popolari e perseguire i loro interessi, a scapito delle classi più benestanti. Quindi, politiche di incremento dei salari e dei diritti dei lavoratori, lotta alla disoccupazione, politiche di welfare-state.
A livello più politico, "di sinistra" è chi propugna un ridimensionamento, una limitazione del potere della borghesia, e, contemporaneamente, un aumento del peso dei settori proletari nel governo e nelle istituzioni in genere.

A partire soprattutto dagli anni '90, in Italia, il concetto di "sinistra" ha finito, però, per perdere, a poco a poco, questa connotazione sociale, per identificarsi sempre più con un partito, cioè il Partito Democratico della Sinistra (PdS), poi divenuto Democratici di Sinistra (DS) e infine trasformato in Partito Democratico (PD).
Il fatto che il PDS discendesse da un partito prestigioso e indiscutibilmente di sinistra -com'è stato il PCI- ha fatto sì che l'associazione, nella mente della maggioranza degli italiani, tra sinistra e PDS si fosse prodotta in modo meccanico e scontato e avesse poi continuato a marciare per parecchi anni.

La dialettica politica tra PDS-DS-PD da una parte, e forze di Centrodestra (e soprattutto Berlusconi) dall'altra -dialettica, a mio avviso, fortemente gonfiata, dato che entrambi erano in fin dei conti fautori di politiche liberiste- ha ulteriormente "politicizzato" il concetto di sinistra in Italia (siamo arrivati al punto che perfino uno come Marco Travaglio -di scuola liberale e montanelliana- è stato da molti considerato "di sinistra" solo per le sue critiche a Berlusconi).

E così il termine "sinistra" ha finito per perdere qualsiasi connotazione di classe e quindi qualunque riferimento agli interessi dei ceti popolari, tant'è vero che il PDS-DS-PD -non meno del Centrodestra- fedele al liberismo e alle direttive UE e atlantiche, ha attaccato le pensioni (riforme Dini e Fornero), ha precarizzato il lavoro (Legge Treu e poi Jobs Act), ha privatizzato (più che altro svenduto a basso costo) imprese statali una volta in salute e che oggi sono fallite o comunque navigano in pessime acque (Telecom, Ilva, Alitalia, ecc.).
Anche la CGIL s'è adeguata, purtroppo, a tale andazzo (ne ho fatto parte per molti anni, ma le cose vanno dette): protestava vivacemente quando il Centrodestra attaccava i lavoratori e sostanzialmente taceva quando erano governi di Centro-sinistra a farlo.

Anche fuori dal PDS-DS-PD, il resto della sinistra -essenzialmente Rifondazione Comunista e suoi derivati (PdCI, SEL, ecc.)- ha subito pesantemente il clima di restaurazione liberista post-89, finendo per rimanere sostanzialmente subalterno all'egemonia del primo.

Il paradosso che s'è venuto a creare in Italia (non solo, però; anche in altri importanti paesi europei) è ben rappresentato dalle ultime elezioni comunali romane: nei quartieri del centro storico e in quelli benestanti ha prevalso il voto a "sinistra", mentre nelle borgate e nei quartieri più popolari -e in modo particolare proprio nella ex "cintura rossa"- la "sinistra" è andata male e il voto è andato prevalentemente alle destre e soprattutto al Movimento 5 Stelle.


Populismo
Parallelamente alla perdita del significato originario di "sinistra", negli anni recenti abbiamo assistito alla diffusione di un altro concetto, quello di "populismo".
Diciamo subito che il termine populismo sta riscuotendo un certo successo, perchè è il classico termine generico, poco definito e, diciamo così, adatto a tutte le stagioni. E quindi ben si presta ad etichettare negativamente l'avversario politico, soprattutto in mancanza di argomenti convincenti (e meno che mai di un'analisi).

Di solito per populismo si intende un tipo di governo -o di partito- che fa appello al popolo e ai suoi interessi/diritti, ma in modo strumentale e demagogico.
Il problema è che tale termine viene di solito utilizzato indistintamente per etichettare governi o forze politiche molto eterogenee tra di loro, se non diametralmente opposte, come concezione politica (c'è un abisso tra il Venezuela bolivariano e socialista di Hugo Chàvez -e oggi del successore Maduro- e, ad esempio, la Lega di Salvini, anticomunista, xenofoba e di natura piccolo-medio borghese).

Comunque, a ben vedere, l'utilizzo frequente ed indiscriminato del termine "populismo" per screditare altre forze politiche è indice di una visione politica, nella quale si è rinunciato a perseguire e a difendere gli interessi e i diritti dei ceti popolari e magari si accetta anche la logica dell'austerity (per le masse popolari, ovviamente, non certo per banche, multinazionali e spese per armamenti).
Chi ha sposato le politiche liberiste non riesce (più) a concepire il fatto che qualcuno possa fare appello al popolo e ai suoi interessi. E quindi tende a vedere chiunque lo faccia come un demagogo, a prescindere dal fatto se tale appello sia strumentale, oppure sincero e coerente.



Oggi in Italia esiste, come già accennato, un grande paradosso: da una parte abbiamo una "sinistra" (PD, soprattutto, ma non solo) che ha perso praticamente ogni legame -anche ideale- con i ceti popolari. E, dall'altra parte, questi ultimi tendono ad esprimere i loro interessi e soprattutto il loro malcontento spesso attraverso tematiche di destra, xenofobe, e premiandone le relative forze. Oppure usando tematiche "populiste" e votando per il Movimento 5 Stelle.

Quindi nella situazione attuale, per chi è sinceramente di sinistra (nel senso originario del termine) si presenta un compito difficilissimo, ai limiti dell'impossibile. Da una parte si tratta di recuperare concetti come "sinistra", "socialismo", "comunismo", che oggi sono ampiamente screditati agli occhi della maggioranza della gente.
Dall'altra parte andrebbe spiegato a milioni di proletari in difficoltà che è vero che il nemico di classe principale oggi è il capitale finanziario e chi lo rappresenta politicamente, ossia, l'UE e la zona-euro e in Italia il Partito Democratico. Ma la Lega di Salvini -che peraltro ha già governato l'Italia, non distanziandosi dal dogma liberista- non rappresenta certo una soluzione.
E tantomeno aiuta l'indirizzare tutta l'indignazione popolare contro un elemento molto appariscente, ma tutto sommato marginale, com'è la "casta" dei politici, nonchè facendo discorsi moralistici sull'onestà, discorsi che non tengono minimamente in conto la complessità della politica (non a caso parecchi esponenti del M5S quando poi entrano nelle istituzioni, tendono spesso a deludere le aspettative e appaiono, nella migliore delle ipotesi, come degli sprovveduti; il caso più evidente è quello della Raggi).


La vera scommessa, la vera sfida -a mio avviso- è quella di ricostruire una sinistra NEL SENSO ORIGINARIO DEL TERMINE che sappia radicarsi fra i ceti popolari e i lavoratori e diventare espressione di questi e dei loro interessi/diritti.
Per far ciò occorre portare avanti una politica DI ROTTURA contro le politiche liberiste e di austerity che ci impone l'UE -e soprattutto l’area-euro- e contro quelle imperialiste dell'Occidente e della NATO (che peraltro favoriscono l'immigrazione massiccia degli extracomunitari).
Rottura chiara e netta, dunque, col PD e con tutte le politiche a favore del capitale finanziario.

La sinistra deve ritornare a fare gli interessi del popolo. Altrimenti tenetevi il populismo (il quale, certo, per la borghesia costituisce un male minore).

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