domenica 24 novembre 2013

Sarno, Sardegna, alluvioni e TAV

Che cosa c’entra –chiederà qualcuno- la tragedia che ha colpito la Sardegna la scorsa settimana e quella del 1998, che colpì la città di Sarno, con oltre 100 morti (e tante altre simili), con la TAV?
C’entra tantissimo.
In tutti i casi di cementificazione selvaggia (spesso abusiva, ma tanto poi sistematicamente condonata) e di mancato intervento sulla salvaguardia del territorio, ci sono in ballo gli interessi delle lobbies costruttrici. Anche dietro alla costruzione della TAV in Val di Susa (e non solo lì) ci sono in ballo gli stessi interessi.

Le ennesime provocazioni alla manifestazione dei NO TAV qualche giorno fa a Roma stanno a dimostrare che contro queste lobbies NON SI DEVE PROTESTARE.
Quando c’era il Fascismo ti punivano con l’arresto e il confino (se non peggio). Oggi ti lasciano apparentemente libero di manifestare, ma poi sistematicamente ti mandano i provocatori, di modo che così i mass-media -di solito collusi con i palazzinari- hanno facile gioco a scatenarti contro tutta l’opinione pubblica, facendoti passare per teppista.
Moderne tecniche di repressione.

Ritornando all’alluvione in Sardegna, ora immagino che qualcuno tirerà in ballo l’imprevedibilità dell’evento, secondo lo “stile-Alemanno” (ricordate la nevicata a Roma nel febbraio 2012?) e magari getterà tutte le colpe al cambio climatico. Curioso, in un paese come l’Italia, dove la classe dirigente economico-politica, particolarmente miope, non è mai stata granché sensibile a questo genere di tematiche.
Ma quando si tratta di giustificare mancati interventi di prevenzione o di tutela del territorio, di manutenzione/riparazione delle infrastrutture pericolanti (ponti, strade, acquedotti, ecc.), allora tutto fa brodo.
E sì, che in Italia nubifragi e alluvioni sono tutt’altro che inconsueti, e questo non solo negli ultimi anni, ma dalla notte dei tempi. Oltre al già citato episodio di Sarno, solo negli ultimi decenni ricordo numerosi alluvioni con morti e danni in varie parti dello Stivale, dalla Liguria, alla Versilia, al Piemonte, alla Sicilia, ecc. E, ancora più indietro, il famoso alluvione di Firenze del 1966 e quello del Polesine, negli anni ’50, per citare gli episodi più noti e tragici.

Insomma, diciamo che nel Bel Paese l’attività di prevenzione è in genere molto scarsa, quando non del tutto inesistente. Come d’altronde tutto ciò che non porta ad un immediato guadagno/tornaconto.
Ma additare, come di solito si fa, la “casta” dei politici serve a ben poco.
Il vero problema in Italia è lo strapotere delle lobbies del cemento.

Le imprese costruttrici da noi riescono –come da nessun’altra parte- a costruire praticamente dappertutto, sui letti dei fiumi, come sui pendii franosi, come su aree destinate all’agricoltura o al verde.
Tanto poi i condoni sono all’ordine del giorno.
E non solo: riescono a costruire spesso con materiali scadenti. Infatti non di rado crollano ponti e addirittura interi palazzi. Pur di guadagnare di più…

E, tornando alla TAV in Val di Susa, l’opera, che viene definita “strategica” a ben vedere lo è soltanto per le imprese costruttrici.
In Italia, grazie alle politiche sull’alta velocità, ci si mettono tre ore per andare da Roma a Milano (e questo potrebbe anche avere una sua utilità) e magari ci si mette quasi lo stesso tempo per andare da un quartiere di Roma all’altro.
Perché il trasporto locale viene trascurato, dato che è meno profittevole dell’alta velocità. Poco importa se poi milioni di pendolari ogni giorno devono sopportare disagi per andare al lavoro.
Il profitto –e solo quello- decide tutto.

Dunque l’inutile TAV in Val di Susa si fa. Anche se la stessa Francia è titubante a farla. Ma i palazzinari sono quanto mai determinati a violentare l’ambiente locale, pur di realizzare i loro profitti.

A proposito di lobby del cemento, lo Stato italiano (e quindi noi) dopo aver sborsato chissà quanti soldi per la progettazione del ponte sullo Stretto di Messina, ora che non si farà più dovrà (dovremo) pagare una penale di miliardi. Altri ingenti risorse nostre che si riversano su Impregilo e CO.
Ma per le lobbies del cemento i soldi si trovano sempre. Per la sanità, per le pensioni, per la scuola, per la cultura è il solito tantra: “non ci sono i soldi”.
E così Pompei cade in rovina. E con lei l’Italia.

lunedì 11 novembre 2013

come la Cina cambierà l'economia mondiale (e nostra)


Di solito quando si tratta l’argomento Cina i nostri mezzi di informazione tendono a parlarne in modo superficiale e distorto e spesso trascurano le notizie più importanti e significative.
Ciò accade non solo e non tanto per una precisa volontà di disinformare il pubblico, quanto per pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni e ignoranza degli stessi cronisti. La maggioranza dei quali sono interessati molto più alla sensazionalizzazione delle notizie e assai poco inclini all’approfondimento di queste (cosa, quest’ultima, molto meno redditizia).

Da noi, quindi, si tende ad avere un’immagine dei cinesi, visti un po’ come i nostri “parenti poveri”, quelli che scopiazzano male ciò che noi faremmo bene, quelli che inquinano molto più di noi, quelli che prestano poca attenzione all’igiene e all’ambiente ecologico e infine quelli che abitano sotto un regime dittatoriale e che reprime i tibetani.

Logico, dunque, che pochi in Occidente si sono accorti che la Cina negli ultimi anni sta investendo miliardi per l’ecologia. Pochi sanno che il gigante asiatico sta a poco a poco soppiantando gli Stati Uniti (e gli altri paesi occidentali) come principale partner commerciale di molti paesi, perfino nel Sudamerica (ad es. il Brasile), fino a poco fa “cortile di casa” degli USA.
Pochi sanno che il paese di Mao sta uscendo semi indenne dalla crisi economica (la quale, viceversa, sta devastando l’Occidente, Europa in primis) perché sta praticando politiche opposte a quelle liberiste, aumentando i salari e i servizi sociali, e in genere il tenore di vita del suo popolo, stimolando, così, la sua economia.
E ancora pochi sanno che se la Cina sta incrementando progressivamente le relazioni (sia commerciali, che sempre più anche politiche) con molti paesi africani e sudamericani -oltre che ovviamente asiatici- ciò è dovuto non tanto, come di solito si crede, al basso costo delle sue merci, quanto al fatto che pratica uno scambio economico molto più equo, di quanto non faccia l’Occidente. E anche le relazioni politiche che instaura con questi paesi sono improntate al reciproco rispetto e alla non ingerenza negli affari interni loro (e non coll’arroganza da post-colonizzatori, come continuano a fare europei e americani).
I cinesi inviano addirittura loro tecnici in molte regioni sottosviluppate, in ausilio alle loro necessità di infrastrutture.

Ma c’è un’altra cosa ancora che da noi sta passando quasi sotto silenzio (come d’altronde accade con più o meno tutte le notizie veramente importanti): l’attacco al dollaro in quanto moneta di scambio mondiale.
L’egemonia economica mondiale americana –basata sulle loro capacità produttive, certo, ma anche sulla loro forza militare e sul ruolo della loro valuta, il dollaro- sta per avere gli anni contati. La Cina e gli altri paesi del BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) sta lavorando per soppiantare il dollaro come (unica) moneta di scambio mondiale, per sostituirlo non con lo yuan (moneta cinese), bensì con un paniere di valute.
Ciò vuol dire che il Dragone cesserebbe di acquistare la valuta americana, e, anzi, tenterebbe di disfarsi di tutta quella che ha, causando dei temibili contraccolpi sull’economia americana (già in crisi) e soprattutto sulla sua egemonia mondiale.

Gli scenari che si apriranno nei prossimi anni (se non mesi) sono del tutto inediti e difficilmente prevedibili nelle loro conseguenze.
Una cosa è certa: in un prossimo futuro non vedremo più i cinesi come i nostri “parenti poveri” e saremo costretti a portare loro molto più rispetto.