Molto spesso in politica
(come anche in altri ambiti d’altronde) assistiamo al nascere e al diffondersi
di termini, che in alcuni periodi riscuotono un grande successo, a livello di
massa, fino ad entrare nel senso comune. Il più delle volte sono parole “di
moda”, ossia diventano d'uso comune per un determinato periodo, per poi, in
seguito, sparire di scena.
Si tratta di concetti di solito molto evocativi, cioè che suscitano reazioni emotive (positive o negative) e aspettative. E, soprattutto, danno la facile impressione, in chi ha scarsa dimestichezza con le dinamiche socio-politiche, di comprendere bene ciò che è in ballo.
Si tratta di concetti di solito molto evocativi, cioè che suscitano reazioni emotive (positive o negative) e aspettative. E, soprattutto, danno la facile impressione, in chi ha scarsa dimestichezza con le dinamiche socio-politiche, di comprendere bene ciò che è in ballo.
Questo genere di termini
devono il loro successo, paradossalmente, proprio al fatto di essere molto
generici, poco specifici, quando non ambigui. Di solito, infatti, non
definiscono nulla di preciso, sono concetti che sembrano esprimere tanto, a
prima vista, ma, a ben vedere non dicono niente, se non in modo assai vago e
impreciso.
Questa caratteristica permette un utilizzo di questi termini in modo molto libero ed arbitrario.
Questa caratteristica permette un utilizzo di questi termini in modo molto libero ed arbitrario.
La diffusione di queste parole
incontra particolare successo negli ambiti in cui vi è scarsa coscienza
politica, com’è il caso dell’Italia degli ultimi 20-30 anni.
Tra questo genere di termini rientrano “complottismo”, “populismo”, “totalitarismo” e tanti altri, fino al sempreverde “libertà”.
Tra questo genere di termini rientrano “complottismo”, “populismo”, “totalitarismo” e tanti altri, fino al sempreverde “libertà”.
Un concetto che nell’Italia recente
sta avendo parecchio successo e si sta sempre più diffondendo è quello di
“buonismo”.
Anche il termine
“buonismo” sembra, in apparenza, voler significare tanto, ma in realtà, almeno
in ambito politico, non significa assolutamente nulla.
La politica, infatti, è un fenomeno SOCIALE e con numerosi legami con l’economia. E non ha praticamente niente a che spartire con il carattere personale dei soggetti che governano. Senza contare poi il fatto che di solito chi siede formalmente a capo del governo, in realtà decide fino ad un certo punto (le decisioni che contano vengono prese dalle varie massonerie, o comunque da lobbies potentissime e poco appariscenti).
La politica, infatti, è un fenomeno SOCIALE e con numerosi legami con l’economia. E non ha praticamente niente a che spartire con il carattere personale dei soggetti che governano. Senza contare poi il fatto che di solito chi siede formalmente a capo del governo, in realtà decide fino ad un certo punto (le decisioni che contano vengono prese dalle varie massonerie, o comunque da lobbies potentissime e poco appariscenti).
L’illusione che le politiche
dei governi siano decise dal carattere e dalla psicologia del leader politico è
tanto suggestiva, quanto erronea e fuorviante. Le politiche vengono sempre fatte
in funzione di determinati settori o classi sociali e non seguono di certo
criteri di “bontà”.
Di solito chi parla di buonismo lo fa quasi sempre con l’intento di criticare le politiche della cosiddetta “sinistra” (cioè, il PD), le quali sarebbero, secondo loro, eccessivamente favorevoli agli immigrati.
Questo discorso tradisce -nel migliore dei casi- una profonda ignoranza, a vari livelli (negli altri casi è fatto in malafede).
E infatti dovrebbe essere
noto che in Italia le politiche sull’immigrazione sono regolate dalla legge.
Legge che, dal 2002 (cioè da ben 15 anni) porta il nome di Legge BOSSI-FINI.
Quindi una legge chiaramente di destra, fatta dallo stesso partito di Matteo
Salvini. Perché nessuno lo ricorda mai?
Un’altra dimostrazione di superficialità sta nel credere che i flussi migratori siano determinati dalle politiche, più o meno accoglienti, del paese d’arrivo (che spesso, poi, non è nemmeno l’Italia, che molti degli immigrati vedono soltanto come un paese di transito). Non è così. Prova ne è che durante i recenti governi di Centrodestra (FI, AN e Lega) il numero degli immigrati è quasi triplicato.
Non parliamo, poi, di chi fa distinzione fra profughi di guerra e non. Come se fuggire da fame, miseria e persecuzioni fosse meno legittimo e accettabile che fuggire dalle guerre.
Un’altra dimostrazione di superficialità sta nel credere che i flussi migratori siano determinati dalle politiche, più o meno accoglienti, del paese d’arrivo (che spesso, poi, non è nemmeno l’Italia, che molti degli immigrati vedono soltanto come un paese di transito). Non è così. Prova ne è che durante i recenti governi di Centrodestra (FI, AN e Lega) il numero degli immigrati è quasi triplicato.
Non parliamo, poi, di chi fa distinzione fra profughi di guerra e non. Come se fuggire da fame, miseria e persecuzioni fosse meno legittimo e accettabile che fuggire dalle guerre.
Si potrebbe andare ancora
avanti a lungo nel mostrare quanta superficialità, quanti pregiudizi e
stereotipi -e alla fine ignoranza- ci siano dietro chi lancia accuse di
“buonismo”. Ignoranza sia in relazione alle cause più profonde dell’immigrazione,
che alle sue reali dinamiche, alle sue effettive dimensioni, nonché alla reale
capacità di assorbimento “indolore” (per gli italiani).
Ma il problema serio è un
altro. Termini come “buonismo” non sono soltanto sintomo di ignoranza. Il loro
utilizzo finisce per alimentare questa e per diffondere pregiudizi e stereotipi,
ostilità, fomentando la classica guerra tra poveri, tanto cara ai ricchi
sfruttatori.
E andando ad incidere in
modo negativo sulla coscienza politica di milioni di italiani, oggi già
bassissima.