A prescindere dal giudizio che si possa dare circa l’operato finale di Alexis Tsipras –e più avanti esporrò il mio- è deprimente sentire (o leggere, ad esempio su facebook) così tanti commenti superficiali, schematici e soprattutto sganciati da qualsiasi riferimento ad un contesto, da qualsiasi considerazione circa i rapporti di forza concreti e privi spesso di una minima capacità di valutazione complessiva dei soggetti e degli attori in campo (ad esempio, concetti come “traditore” non aiutano a capire nulla): l’impressione a volte è quella di avere a che fare con i tipici commenti degli spettatori televisivi di una partita di calcio.
Prima
dunque, di valutare la scelta finale di Tsipras, preferisco partire da alcune
premesse.
La
prima è che intanto Syriza, partito inequivocabilmente di sinistra, è riuscita,
negli anni scorsi, a rappresentare il malcontento popolare e in genere i ceti
popolari e i lavoratori. In Italia siamo lontanissimi da un simile risultato.Forte di questa capacità, ha vinto le elezioni politiche, nonostante avesse contro persino un partito come il KKE, con un suo discreto radicamento tra i lavoratori.
Perlomeno
fino al referendum, il governo di Syriza è rimasto fedele e coerente al mandato
elettorale –unico caso in tutta Europa!- portando avanti misure che andavano
decisamente controcorrente rispetto ai dominanti diktat liberisti.
Lo
stesso ricorso al referendum è stato una sfida del tutto inedita, nel panorama
politico europeo, nei confronti dello strapotere della Troika: un nano che
sfida un gigante!
Contemporaneamente
non vanno dimenticate le condizioni della Grecia -la miseria cresciuta negli
anni scorsi, un’economia a terra- ma soprattutto il ricatto economico
costituito dalla chiusura delle banche e dei bancomat (sarei proprio curioso di
vedere come reagirebbero la maggioranza degli italiani che oggi gridano che
bisogna uscire dall’euro, di fronte alla chiusura inoltrata dei bancomat).
Infine,
l’ultima –ma non per importanza- premessa è quella di carattere internazionale,
o meglio, di carattere intercontinentale, e riguarda i rapporti con altri
attori, che hanno di sicuro giocato un ruolo importante nella vicenda, anche se
vengono poco menzionati. Ossia, gli USA, in primis, poi la Russia e la Cina.
Infatti
dalle mie (sicuramente limitate) informazioni, mi risulta che non solo gli
americani, ma anche le altre due potenze non fossero d’accordo a che Atene
uscisse dall’euro. E ovviamente parliamo di paesi che contano e pesano.
Finite
le premesse, provo a dire una mia opinione.
Secondo
me Syriza avrebbe dovuto fin da subito lavorare per preparare il cosiddetto
“piano B”, ossia l’eventuale uscita dall’euro.Intanto per un motivo banale: se il tuo nemico (perché tale va considerato) ha due alternative e tu ne hai una, vince lui.
E poi perché non solo le politiche di austerity, ma lo stesso euro –per come è strutturato- ha come conseguenza l’attacco al salario (diretto e indiretto, ossia il welfare-state) dei lavoratori e dei ceti popolari.
Infatti,
a mio avviso occorrerebbe che non solo la Grecia, ma anche l’Italia
incominciasse a pensare seriamente di uscire dall’euro.
Ma
purtroppo la cosa non è così semplice: l’uscita dall’euro –demagogia a parte- è
un percorso complicato e delicato, sia economicamente che politicamente, e deve
essere ben preparato e seguito da diverse misure adeguate, altrimenti potrebbe
portare per davvero alla catastrofe. Ma può e deve essere fatto, prima o poi.
L’errore
di Tsipras, dunque, è stato quello di non ipotizzare tale possibilità.
Sempre
che tale “errore” non sia stato condizionato –come già detto- da dinamiche
geopolitiche e economiche intercontinentali.
Comunque
sia, tanto di cappello e grande stima per un partito come Syriza, che rimane l’unico
partito europeo che finora ha provato concretamente a fare politiche in
contrasto con il dogma liberista. Almeno ci ha provato…
sì stima per Syriza e per Tsipras che almeno ci ha provato
RispondiEliminaun po' di tristezza pure.. Noi invece col vento in poppa, no?..
ciao e buone vacanze