La prima cosa da dire è che (anche) quest'anno la disoccupazione è aumentata e il lavoro è sempre più precario.
Moltissime sono le piccole aziende, i laboratori artigianali, i negozi che stanno chiudendo o che hanno già chiuso (con i nuovi esercizi che sono numericamente assai al di sotto dal compensare le cessazioni). Ovunque si registra un crollo della domanda.
Chiudono ospedali, asili-nido, i servizi sono sempre più ridotti e sempre più a pagamento. Le pensioni sono sempre più basse e le tasse e i prezzi sempre più elevati.
E si potrebbe proseguire ancora...
Insomma, la grande maggioranza degli italiani (ma non tutti) si è impoverita.
Di chi è la colpa?
La colpa -se di "colpa" si può parlare- non è nè di Berlusconi, nè di Monti: si tratta di una classica crisi economica, legata al capitalismo. Il capitalismo produce periodicamente delle crisi. Marx l'ha messo bene in luce e ne ha studiato i meccanismi fondamentali, tuttora validi. Non entro in profondità.
Ora, se nella seconda metà del '900 le crisi economiche sono state limitate e soprattutto limitati ne erano gli effetti sulla popolazione (ma anche sulle imprese), ciò era dovuto alla diffusione di politiche di welfare state e di intervento diretto degli Stati nell'economia, spesso gestendo direttamente importanti unità produttive.
Ma il "crollo del Muro di Berlino"
e le successive politiche liberiste hanno a poco a poco ridotto,
quando non eliminato, tali misure, bollandole come "vecchi
residuati ideologici".
Tolti questi correttivi al capitalismo,
nulla ne ha più frenato le dinamiche intrinseche,e, con queste, le
crisi.Della serie: ora stiamo cominciando a pagare le conseguenze di un trentennio di "superamento delle vecchie ideologie".
I torti di Berlusconi prima e di Monti poi sono, semmai, quelli di gestire questa crisi nel peggiore dei modi.
Ma ciò non dipende tanto e solo da loro: è tutta l'Europa che richiede tali politiche. E le principali forze politiche (PD compreso) sono in linea con queste.
Tutto ciò, oltre a creare disagi, povertà, malessere sociale, emarginazione e ignoranza, costituisce anche un colpo alla democrazia.
Quest'ultima, infatti, non consiste semplicemente in un sistema di norme formali, quanto in una parteipazione EFFETTIVA della popolazione alle istituzioni e alle scelte politiche , che va molto al di là dell'esprimere un voto alle elezioni.
Ma tale partecipazione presuppone un minimo di coscienza, di benessere, di diritti. Chi è economicamente ricattato o ignorante non sarà mai veramente libero e il suo voto sarà sempre condizionato da chi ha già potere.
L'importantissimo articolo 3 della nostra costituzione (frutto del decisivo contributo dei comunisti, questo Benigni se l'è "dimenticato"), recita: "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese."
Il costante aumento dell'astensionismo elettorale e la sfiducia crescente verso "i politici" sono indicativi di come gran parte degli italiani percepisca le elezioni sempre più come uno strumento inutile per risolvere i problemi o per difendere i loro diritti.
D'altronde sta diventando sempre più evidente che le decisioni economicamente importanti sono prese dall'Europa (traduz: dalla Banca Centrale Europea, egemonizzata dalla Germania e comunque NON eletta dai cittadini), dietro il ricatto dello spread, e con l'ossessione -tragicamente sbagliata- che "va risanato il debito pubblico".
Il risultato paradossale è che non solo gli italiani (e i greci, gli spagnoli, i portoghesi, ecc.) si impoveriscono, ma il debito pubblico AUMENTA. E la crisi si aggrava.
In queste condizioni si può veramente parlare di "democrazia"?
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