In queste ultime settimane sono
riemerse le voci circa il patto tra Stato e mafia che ci sarebbe
stato nei primi anni '90, in seguito agli attentati terroristici e
poi all'assassinio di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino. Sono in
molti a ritenerlo, a cominciare dal Presidente del Tribunale di
Palermo Leonardo Guarnotta, ad Antonio Ingroia, Procuratore.
Traggo spunto da queste ultime vicende
per porre una domanda. Una domanda che è tanto semplice a farsi
quanto estremamente difficile a rispondersi: per quale motivo
l'Italia è l'unico paese -quantomeno in Europa- ad ospitare al suo
interno delle organizzazioni di tipo mafioso?
Ossia, parliamo di strutture criminali,
con un fortissimo radicamento nel tessuto sociale d'origine (e non
solo d'origine) e una discreta presenza nelle istituzioni, come lo
sono Cosa Nostra, la Camorra, la Ndrangheta e la Sacra Corona Unita.
Qui non abbiamo a che fare con semplici
bande criminali, come ne esistono in molti paesi, composte da qualche
decina -o massimo poche centinaia- di persone, prive di un sostegno
sociale diffuso e con scarsa o nessuna copertura istituzionale.
Sono state date diverse interpretazioni
del fenomeno. Naturalmente è impossibile in quest'articolo
esaminarle anche solo sinteticamente. Mi limiterò a fare qualche
osservazione.
La nascita e lo sviluppo di tali
organizzazioni è da mettere in relazione, almeno in una prima fase,
con lo stato di semi-colonia -non dichiarata, ma di fatto- nella
quale s'è venuta a trovare l'Italia Meridionale (Roma e Lazio
compresi) dopo l'Unità d'Italia. La classe dirigente politica
sabauda e la forte borghesia industriale-commerciale del Nord
scelsero di sviluppare in pratica solo le regioni settentrionali,
lasciando il Mezzogiorno nell'arretratezza.
La classe dirigente meridionale, un po'
per limiti intrinseci e un po' per subordinazione a quella del Nord
ha prodotto una serie di contraddizioni economico-politico-sociali,
all'interno delle quali si sono sapute ben inserire le organizzazioni
mafiose.
Nel secondo Dopoguerra Cosa Nostra si è
rafforzata ed espansa, grazie anche al rapporto ambiguo che gli Stati
Uniti hanno mantenuto con essa (basti pensare al ruolo decisivo
svolto da Lucky Luciano nello sbarco alleato in Sicilia).
Inoltre, gli USA hanno utilizzato il
Piano Marshall (ERP) per distribuire provvidenziali risorse alle
forze politiche di centro (DC in primis), da gestire in modo
clientelare e corrotto, in funzione anti-comunista. E anche qui le
varie mafie si sono sapute ben inserire.
Ma le organizzazioni mafiose hanno
avuto addirittura "una marcia in più". Al contrario della
classe dirigente meridionale "legale", con un'ottica
meramente gestionale, conservatrice, sonnolenta e tesa a vivacchiare,
i mafiosi si sono dimostrati -a modo loro, purtroppo- molto più
spregiudicati, veloci e capaci non soltanto nel controllo del
territorio, ma anche nel fiutare nuove attività redditizie, come, ad
esempio, il narcotraffico o la gestione dei rifiuti (negli ultimi
anni spesso al centro della cronaca, soprattutto in Campania).
Il vasto e diffuso consenso sociale di
cui godono spesso le organizzazioni mafiose nel loro territorio
d'origine non può essere spiegato certo soltanto con l'omertà. Ci
piaccia o non ci piaccia, le mafie fanno girare l'economia di molte
zone e creano lavoro, laddove l'unica alternativa è spesso soltanto
l'emigrazione.
Dico questo non certo per giustificare
Cosa Nostra, Ndrangheta, Camorra e SCU, bensì -al contrario- per
denunciare le profonde carenze e limiti della classe dirigente
economica -prima che politica- italiana. E non tanto di quella
meridionale, quanto di quella del Nord, che in questi 150 anni ha
molto speculato sull'arretratezza del Mezzogiorno.
E veniamo finalmente al rapporto
Stato-mafia.
Tommaso Buscetta, pentito di mafia
considerato tra i più attendibili, ha più volte affermato che Cosa
Nostra è tutt'altro che imbattibile e che se lo Stato italiano si
fosse deciso a contrastarla con energia e fermezza, l'avrebbe
sconfitta.
Il problema è che non l'ha voluto.
Ossia, se si eccettuano singoli
personaggi eroici, non c'è stata complessivamente da parte delle
istituzioni una seria politica di lotta alla mafia (anzi, alle
mafie).
E il problema non riguarda solo lo
stato italiano. Oltre ai già citati USA, a trafficare, almeno
finanziariamente, con Cosa Nostra abbiamo avuto anche lo IOR di
Marcinkus. Ossia, il Vaticano. E restano tutti da chiarire i rapporti
tra l'Opus Dei e il boss della Banda della Magliana, De Pedis (in
contatto con Cosa Nostra attraverso Pippo Calò).
In questo contesto non c'è dunque da
meravigliarsi di fronte alla notizia emersa recentemente del patto
tra Stato e mafia. C'è invece da preoccuparsi quando lo stesso
Presidente della Repubblica, Giorgo Napolitano non trova di meglio
che inveire contro i magistrati, che indagano su ciò, esaminando le
intercettazioni del Quirinale.
E quando un procuratore come Antonio
Ingroia è costretto a lasciare l'Italia.
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