Mi riferisco al mito del "mettersi in proprio" e soprattutto a quello del "piccolo è bello".
Oggi sono proprio le piccole imprese e il piccolo commercio a risentire maggiormente della crisi economica.
I dati della CGIA (associazione artigiani piccole medie imprese) di Mestre parlano chiaro: nel 2011 sono oltre 11 mila le ditte che hanno chiuso i battenti!
Intanto un dato curioso: l'enorme diffusione delle piccole-medie imprese (spesso monocommittenti e dunque autonome solo in apparenza), di aziende artigianali, di negozi a conduzione familiare, nonchè la pletora di liberi professionisti (avvocati in modo particolare) è una peculiarità del Bel Paese. In nessun altro paese quantomeno dell'Europa Occidentale esiste una percentuale così elevata di questi cosiddetti ceti medi.
Come mai?
Probabilmente è il risultato di diversi fattori combinati, tra i quali quelli che mi sembrano maggiormente determinanti sono due: la relativa arretratezza dello sviluppo industriale-capitalisico in Italia unita a fattori politici particolari in un paese-frontiera, come lo siamo stati nel dopoguerra e durante tutta la Guerra Fredda.
Le politiche dei decenni scorsi della Democrazia Cristiana (e poi del PSI e degli altri partiti centristi) sono state spinte fondamentalmente da un grosso timore: quello del sorpasso del PCI e il rischio che questo andasse al governo.
La stessa Democrazia Cristiana è sempre stata composta -di fatto- da partitini differenti e spesso molto distanti fra di loro, ma tenuti assieme proprio dal fattore anti-PCI. Partiro, quest'ultimo, che otteneva consensi e adesioni tra la massa dei lavoratri soprattutto delle grandi imprese e dei ceti popolari in genere.
Per ovviare a ciò, la DC (e poi PSI e gli altri) ha favorito in tanti modi la diffusione -appunto- di tutti questi ceti piccolo-imprenditori (negozianti, professionisti, ecc.), in maggioranza legati politicamente ad essa.
Uno di questi modi è la proverbiale tolleranza italica all'evasione fiscale.
Un altro modo è stato lo spezzettamento di grandi imprese per motivi sempre fiscali, ma anche per dividere e indebolire la classe operaia italiana.
Il mito del "piccolo è bello" nasce qui.
Dopo l'89, con la fine della Guerra Fredda e venuto meno il PCI (non a caso subito dopo è implosa anche la DC), sono arrivati i governi di Centro-sinistra e soprattutto Berlusconi. Degno rappresentante della classe imprenditoriale italiana -fra le più incapaci al mondo- invece di investire -anche da Presidente del Consiglio- sulla ricerca e l'innovazione, ha continuato a "campare" sul consenso di questi "ceti medi", mantenendo intatte (anzi, aumentando) evasione fiscale, condoni vari, ecc.
Ma Karl Marx non aveva studiato il capitalismo a vanvera e le dinamiche che egli aveva già allora notato e predetto, ora si stanno drammaticamente verificando.
In particolare, il fatto che le piccole e medie imprese, soprattutto durante le crisi economiche, sono destinate a scomparire e a lasciare il posto ad aziende di dimensioni (e di capitale) via via sempre più grandi e avanzate tecnologicamente.
Questo è ciò che puntualmente (o forse un po' in ritardo, ma poco cambia) sta accadendo: il mondo imprenditoriale italiano, anche quello delle grandi imprese (FIAT in testa) è incapace di competere con le multinazionali straniere e sta sempre più cedendo il passo.
I primi a risentirne sono ovviamente le piccole imprese artigianali, il piccolo commercio e in generale la piccola-media borghesia.
Anche perchè Mario Monti, essendo legato al mondo bancario internazionale, oltre a colpire i lavoratori e i pensionati, non sembra propenso a voler risparmiare neanche questi ceti medi.
A poco serve abbassare ulteriormente il costo del lavoro (in Italia già fra i più bassi) ad esempio abolendo l'articolo 18.
Per rilanciare l'economia italiana (seriamente) servirebbero un piano economico-industriale, investimenti, specie nella ricerca, un rilancio della formazione. Cioè, l'esatto opposto di ciò che è stato fatto negli ultimi anni, prima da Berlusconi e ora da Monti!
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