Non sono mai stato una persona molto
patriottica.
O forse sì: forse lo sono stato molto
più di quanto io stesso me ne rendessi conto.
E, anzi, negli ultimi anni ho molto
rivalutato l'importanza di una certa dose di patriottismo, che a ben
vedere non è necessariamente in contraddizione con
l'internazionalismo.
Di solito il patriottismo viene
associato ad una matrice politica di destra, ma in realtà le cose
non stanno proprio così: molto spesso i socialisti, i comunisti, i
rivoluzionari hanno fatto appello al patriottismo (vedi ad esempio il
noto slogan dei rivoluzionari cubani "patria o muerte").
Diciamo che non sono mai stato un
nazionalista, ma quella è un'altra cosa.
Il patriottismo è un generico
sentimento di amore verso il proprio paese, i suoi costumi, la sua
cultura, i suoi usi.
Mentre per nazionalismo di solito si
intende una teoria, che reputa un determinato popolo o nazione in una
posizione di superiorità, rispetto agli altri. E questo sì, è
tipicamente di destra.
Spesso, infatti, il nazionalismo è
servito a perseguire o a giustificare politiche aggressive e di
dominio di certi Stati nei confronti di altri più deboli,
soprattutto durante il colonialismo (anche se poi a ben vedere chi
beneficiava veramente dei vantaggi delle politiche aggressive era
solo la classe sociale dominante; non certo il popolo o i soldati,
che magari combattevano, loro sì, per sentimenti patriottici).
Ma molto spesso accade che il
nazionalismo venga anche utilizzato strumentalmente proprio per
camuffare l'opposto, ossia, una subordinazione di fatto.
Ad esempio, durante la dittatura
golpista e sanguinaria in Cile, i militari facevano appello al
nazionalismo, ma in realtà questo serviva a coprire la lunga mano
degli Stati Uniti, i veri artefici, nonchè beneficiari di quella
crudele dittatura.
Mentre, viceversa, un certo
patriottismo, quando è legato alle esigenze di emancipazione di un
popolo oppresso da un'altra nazione dominante, allora è sicuramente
un fatto positivo e progressista.
Ha senso oggi in Italia essere
patriottici?
Se lo si è nel giusto modo, sì.
Fin dal dopoguerra, infatti, il Bel
Paese è stato ridotto ad una condizione di "sovranità
limitata" di fatto.
Durante questi decenni gli Stati Uniti
hanno condizionato pesantemente la politica italiana, arrivando
perfino -tramite la Gladio- ad esercitare un ruolo nella stagione del
terrorismo, tra l'altro facendo fallire il Compromesso Storico.
Ogni governo italiano per insediarsi
deve avere prima il "placet" americano (mentre quello del
popolo conta molto di meno, come abbiamo visto anche in questi ultimi
anni).
Gli USA inoltre posseggono -attraverso
la NATO- oltre 100 basi militari nel nostro territorio, dove per
giunta alloggiano diverse decine di testate nucleari (e sono sempre
loro a decidere se, come e quando usarle).
Come se non bastasse, gli yankees
esercitano un notevole potere economico ed una fortissima influenza
ideologica su di noi, grazie all'utilizzo di strumenti e tecniche di
comunicazione sempre più raffinate e pervasive (TV,
giornali/riviste, internet, social networks ecc.).
Oltre agli USA, l'Italia è subordinata
anche all'Europa (essenzialmente alla Germania) che ci toglie
sovranità economica, grazie all'Euro, e ci impone politiche
economiche socialmente devastanti.
Dunque, il patriottismo è sicuramente
utile laddove questo serve a battersi contro lo strapotere americano
(e, in misura minore, tedesco) in Italia. Non lo è -anzi, è
controproducente- quando invece copre la nostra reale suddittanza.
A livello politico-istituzionale,
infatti, i sentimenti patriottici sono stati tirati fuori di recente
in almeno 3 occasioni: nel 2003, con i caduti di Nassirya, in Iraq,
sul caso Cesare Battisti in Brasile e attualmente con la vicenda dei
due Marò in India.
Nel primo caso, quello di Nassirya, si
è incitato all'orgoglio nazionale per coprire il fatto che abbiamo
invaso militarmente un paese praticamente solo per supportare gli
americani, che ce lo avevano richiesto (d'altronde anche Sarkozy s'è
comportato allo stesso modo, ritirando in ballo la "grandeur"
francese, in occasione dell'intervento in Libia, perseguito
essenzialmente nell'interesse degli USA).
Il caso di Battisti, in Brasile, e dei
due Marò in India è un po' diverso: lì ci troviamo di fronte ad
una resistenza, da parte dell'Italia, a riconoscere l'aumentata
importanza, sulla scena mondiale, di questi due paesi (nonchè la
diminuita importanza dello Stivale).
I diplomatici nostrani, abituati da
decenni a trattare India e Brasile come Stati del Terzo Mondo -e
quindi con una certa sufficienza- ora si trovano in difficoltà di
fronte ad una situazione mutata, che vede i due paesi in questione
progredire e aumentare di peso sotto molteplici aspetti (pochi anni
fa, ad esempio, entrambe i paesi hanno superato l'Italia come
produzione industriale; e sono in continua ascesa, mentre essa da noi
diminuisce anno per anno).
Da notare che nell'ambito dei rapporti
politico-diplomatici poco importa se le persone in questione
-Battisti e i due Marò- siano state realmente colpevoli o meno
(ricordiamoci come il pilota americano responsabile della tragedia
del Cermis -20 italiani morti!- venne subito rimpatriato negli States
e nel relativo processo venne sostanzialmente assolto. Lì il
messaggio diplomatico che gli americani ci hanno mandato era questo:
a casa vostra comandiamo noi e facciamo impunemente come ci pare!)
Dunque, tirare in ballo il nazionalismo
nel caso dei Marò equivale a farsi grandi contro un paese (che noi
riteniamo) inferiore, mentre contemporaneamente ci dimentichiamo di
essere poco più che una colonia degli USA, per giunta bistrattata.
Ancora più ridicola è l'esibizione di
un presunto patriottismo (o nazionalismo) di fronte al fenomeno
dell'immigrazione: l'ostilità nei loro confronti da parte di molte
persone può essere definita solo in un modo: guerra tra poveri!
E non c'è assolutamente nulla di
patriottico in ciò.
(a scanso di equivoci, NON mi piace
bollare le persone che odiano gli extracomunitari come "razziste";
non solo perchè scadrei in un discorso moralista -poco utile- ma
perchè tale ostilità ha di solito poco a che vedere con il razzismo
vero e proprio; si tratta il più delle volte di mancata comprensione
del fatto che gli immigrati -come d'altronde pure gli italiani non
benestanti- sono alla fine vittime del capitalismo e delle sue
molteplici forme di sfruttamento).
Nessun commento:
Posta un commento