venerdì 27 dicembre 2013

Nelson Mandela, grande eroe della lotta anticoloniale!

Dopo mesi di agonia, alla fine si è spento recentemente il grande Nelson Mandela.

E’ impossibile sintetizzare in un breve articolo la sua vita. Ma alcune osservazioni di fondo vanno fatte.
Mandela è stato l’eroe della lotta contro l’Apartheid.
Per chi non lo sapesse, l’Apartheid era un regime razzista e segregazionista del Sudafrica, governato allora dai bianchi, discendenti dei colonizzatori inglesi e olandesi. La grandissima maggioranza della popolazione, ossia i neri, non avevano di fatto cittadinanza e non potevano votare.

Per diversi decenni, Mandela, socialista, ha lottato contro quel brutale regime, fondando L’ANC (African National Congress), e facendosi, per questo, ben 27 anni di carcere. E divenendo poi presidente del Sudafrica una volta caduto il vecchio regime, nel 1994.
Fin qui è cosa nota.

Cosa meno nota ai più giovani (e forse dimenticata da molti altri meno giovani) è che i grandi campioni di “democrazia”, nonché “difensori dei diritti civili”, ossia, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno sostenuto fino alla fine tale regime repressivo.
E l’Apartheid non era solo razzismo: significava anche brutale sfruttamento della forza-lavoro di colore, soprattutto nelle miniere (il Sudafrica è ricchissimo di minerali) e povertà diffusa, sempre ovviamente tra la popolazione nera.
Dunque, Nelson Mandela e l’ANC non hanno dovuto combattere soltanto contro il regime sudafricano, ma di fatto anche contro gli USA e la GB.

Ma in questa lotta per fortuna non erano soli.
Un grosso e determinante aiuto è venuto dall’Angola (che il Sudafrica invase, attraverso la Namibia) e soprattutto da Cuba.
I cubani, infatti, hanno dato un aiuto determinante durante la guerra che gli angolani hanno dovuto sostenere contro l’invasore sudafricano. La battaglia decisiva fu quella (vinta) di Cuito Canavale, nel 1988, che ha permesso la liberazione dell’Angola e ha messo in crisi il regime sudafricano dell’Apartheid. Cosa che ha fatto sì che in seguito il regime dovette fare delle aperture –liberando Mandela- e che portarono, alla fine, a libere elezioni e alla vittoria dell’ANC.

La lotta eroica di Mandela e dell’ANC è stata, quindi, contro il colonialismo e tutte le varie forme con cui questo ancora oggi sopravvive.
Cessato, infatti –sull’onda del movimento anticoloniale del dopoguerra- il colonialismo politico diretto e ufficiale (e anche questo non ancora del tutto; diversi territori sparsi nel mondo ancora appartengono a GB, Francia e USA), vi è un altro colonialismo, più indiretto, basato sullo sfruttamento economico e su dittature e regimi vari “locali”, ma dipendenti di fatto –o comunque vicini- alle grandi potenze occidentali (vedi Israele e la sua brutalissima repressione del popolo palestinese).

Incredibile a dirsi, ma Nelson Mandela nel 1993 riesce ad ottenere pure il Premio Nobel per la Pace –difficilmente lo danno a chi non piace a USA e GB- anche se assieme a De Klerk (sarebbe stato troppo, sennò), ossia, l’allora presidente del Sudafrica, protagonista anche lui dell’apertura del regime all’ANC, ma, certo, molto meno eroico del primo.

Ma, morto Mandela, la lotta contro il colonialismo è tutt’altro che finita. E questo molti popoli del cosiddetto “Terzo Mondo” lo sanno bene, anche perché lo subiscono sulla loro pelle.
Numerose, infatti, sono le “guerre civili” o “guerre tribali” soprattutto in Africa, che –a differenza di ciò che ci fanno credere i nostri mass-media- sono in realtà guerre fomentate, finanziate e armate dalle potenze europee e soprattutto dagli USA, per ottenere indirettamente lo sfruttamento delle immense risorse, soprattutto minerarie e petrolifere, del Continente Nero (Sudan, Congo, Nigeria, ecc).

giovedì 19 dicembre 2013

ma sì, continuiamo a privatizzare....

La grande ondata privatizzatrice in Italia è iniziata negli anni ’90, sull’onda della “sbornia ideologica” liberista, per cui veniva messo ferocemente in discussione il ruolo dello Stato (considerato inefficiente, corrotto, se non ladro) nell’economia, in favore delle imprese private (considerate, viceversa, la parte “sana” della società).
Questa “sbornia ideologica” liberista, oltre ad aver favorito l’emergere di figure discutibili come Berlusconi (allora considerato solo un abilissimo imprenditore di successo), portò soprattutto il governo del Centro-sinistra Prodi a privatizzare enormi settori imprenditoriali e bancari, fino allora dell’IRI (da notare che paesi molto più avanzati ed efficienti di noi –tipo Germania e Francia- si sono guardati bene dal privatizzare settori di importanza strategica, come è stato fatto da noi). L'elenco sarebbe lunghissimo e ve lo risparmio.

I risultati?
Ora, mettiamo da parte i guadagni miliardari di imprenditori di dubbie capacità (e moralità), del calibro di Colaninno o Tronchetti-Provera e proviamo anche a dimenticarci che molte aziende e banche sono state svendute a prezzi bassissimi (quando valevano assai di più).

Passiamo alle conseguenze: intanto aziende italianissime sono passate nel giro di pochi anni in mano straniera (Alitalia ai francesi, Telecom agli spagnoli, Alcoa agli americani, solo per citare i casi più noti).
Poi, i tanto sbandierati miglioramenti del servizio si sono rivelati spesso un flop (Trenitalia investe praticamente solo sull’alta velocità, a scapito del servizio locale e pendolare, in condizioni da paese sottosviluppato).
I costi dei servizi molte volte invece di diminuire sono aumentati e i tagli sui posti di lavoro sono stati notevoli. Per non parlare di aziende che chiudono (l’Alcoa e, almeno in parte, l’Ilva).
Non è un caso che in diversi paesi europei (Francia, GB) alcuni servizi già privatizzati, vengono ri-pubblicizzati.

Ma veniamo ai giorni nostri.
Il Governo Letta, nell’intento di rispettare gli accordi europei sulla riduzione del debito pubblico (fiscal compact), vuole proseguire con le privatizzazioni. E’ possibile che la scelta di privatizzare sia dettata dalla volontà di attenuare il massacro sociale che si avrebbe praticando una politica di soli tagli.
Ma, per i motivi di cui sopra, le privatizzazioni si riveleranno comunque un massacro sociale, anche se un po’ più “soft”.

Naturalmente non viene presa nemmeno in considerazione l’idea di tagliare gli enormi sprechi e privilegi vari, oppure di prendere i soldi là dove ce ne sono, e pure in grande abbondanza.
Ad esempio, si continua a non voler contrastare seriamente la grande evasione fiscale. Si potrebbero tassare i grandi patrimoni, oppure le rendite finanziarie, oppure quantomeno una parte delle colossali ricchezze che la Chiesa Cattolica detiene in Italia, nonché il suo immenso giro d’affari e di interessi.

Naturalmente si finge di dimenticare il fatto che tutti i numerosi paesi che in passato hanno provato a ridurre il loro debito, attraverso massicci tagli alla spesa pubblica, sono andati incontro ad un clamoroso e totale fallimento (l’Argentina è solo il caso più noto), deprimendo fortemente la loro economia, riducendo in miseria la grande maggioranza della loro popolazione, compreso i cosiddetti “ceti medi”. E senza riuscire, nonostante tutto ciò, a ridurre significativamente lo stesso debito pubblico.

Mi sto sempre più convincendo che in questo contesto la prima cosa da fare è quella di riacquistare la nostra sovranità monetaria USCENDO DALL’EURO.
Certo, la sola uscita dall’euro non basta a risolvere i problemi di fondo, che sono dovuti alla crisi economica, effetto delle politiche liberiste degli ultimi decenni. Si tratta di una misura-tampone, che però, oggi come oggi si sta rivelando sempre più urgente.

martedì 3 dicembre 2013

Grillo, il M5S e Gramsci


Antonio Gramsci può essere considerato un semi-sconosciuto. Almeno in Italia (all’estero è molto più studiato che da noi).
In teoria tutti sanno chi è stato, molti lo citano, ma sono pochissimi quelli che veramente conoscono le sue geniali –è il caso di dirlo- analisi e intuizioni, anche a sinistra e perfino tra i comunisti. Il fatto che la frase sua di gran lunga più citata sia quella sugli “indifferenti” (che risale al Gramsci giovane, immaturo e ancora venato di idealismo) la dice lunga.
In realtà il “vero” Gramsci è quello delle Tesi di Lione, quello del “blocco sociale e storico”, dell’”egemonia”, quello dell’”intellettuale organico”, dell’”intellettuale collettivo”, delle “casematte”, del “senso comune”, eccetera.

Ma veniamo a Beppe grillo e al Movimento 5 Stelle.
In che modo ci può aiutare Gramsci?
Intanto con il suo discorso sull’egemonia (l’egemonia in Gramsci è la capacità di una classe sociale –in genere quella dominante- di far passare i propri interessi di classe come interessi generali della società).

In Italia negli ultimi 30 anni i ceti dominanti (banchieri, grandi imprese, gerarchia ecclesiastica, dirigenti vari), ossia la borghesia, hanno ripreso alla grande il controllo della società, sconfiggendo il movimento operaio, eliminando un partito come il PCI e qualsiasi altro partito seriamente di sinistra, “rottamando” –per usare un termine alla moda- la teoria marxista, ormai considerata “vecchia ideologia superata”.
Ora, è vero che la borghesia è, a sua volta, divisa al suo interno e i suoi vari settori sono spesso in guerra tra di loro. Ciononostante, essa esercita un’egemonia politico-ideologica talmente forte, che perfino il malcontento popolare e di classe –anche radicale- trova in parte espressione in un “movimento” borghese, quello del M5S di Grillo e Casaleggio (si chiama “movimento”, ma è un’azienda con tanto di titolare, che è Grillo).
Milioni di proletari, anche persone tradizionalmente di sinistra, oggi sono sempre più attratti dal M5S, a riprova di quanto l’egemonia della borghesia sul popolo italiano sia potentissima e pervasiva. E di quanto il “senso comune” –per usare sempre un concetto gramsciano- si sia spostato a destra.

Ma l’enorme seguito che il M5S riscuote fra i ceti popolari non deve trarre in inganno: la vera natura di questo movimento-azienda è squisitamente borghese. Ossia, la sua base sociale sono le piccole-medie imprese e anche quelle grandi, ma poco internazionalizzate e finanziarizzate. Che sono poi gli stessi settori sociali che fino a poco tempo fa seguivano Berlusconi, la Lega e Alleanza Nazionale, ma anche –nelle regioni cosiddette “rosse” - il PdS-DS-PD.
Oggi questi strati sociali risentono della crisi economica e delle politiche europee di austerità e non si sentono più tutelati dalle forze politiche “tradizionali”. Si stanno sempre più radicalizzando e seguono sempre più Grillo.
E in effetti le misure concretamente portate avanti dai pentastellati laddove governano gli enti locali sono a favore delle piccole imprese.

Anche qui vediamo quanto sia utile distinguere fra “base sociale” e “base di massa” di una forza politica. La prima è la classe sociale (o una parte di questa) che una determinata forza politica rappresenta effettivamente, ossia, è ad essa organica, mentre il secondo caso (“base di massa”) è composto da larghi strati di ceti popolari che seguono una determinata forza politica, anche se quest’ultima –al di là dei discorsi strumentali e demagogici- non persegue i loro interessi (o lo fa solo in minima parte), e, anzi, spesso persegue interessi opposti.
E’ il caso del “Movimento” 5 Stelle, che ha la sua base sociale nella piccola-media borghesia nazionale e la base di massa nei ceti popolari italiani, i quali si illudono di aver trovato finalmente un loro riscattatore.

Un altro concetto gramsciano sicuramente da tenere presente è quello di “sovversivismo delle classi dirigenti (o sovversivismo dall’alto)”.
Il M5S rientra –a mio avviso- pienamente in questa categoria.
E non tanto per la banale considerazione che Beppe Grillo e a maggior ragione Casaleggio (probabilmente il vero “padrone” del M5S) sono miliardari e il secondo è un grande imprenditore nella comunicazione (guarda caso…). Anche molti dirigenti comunisti storici erano di estrazione borghese.
Ma il vero motivo risiede nel fatto che, a differenza dei comunisti (almeno quelli seri), il M5S non organizza i ceti popolari e soprattutto non fa un lavoro di coscientizzazione di questi, attraverso un lavoro teorico-ideologico e di analisi complessiva. L’attività di Grillo –prendere di mira di volta in volta singoli personaggi o singole aziende, in modo estemporaneo e, almeno all’apparenza, senza un preciso disegno organico- non rientra in ciò. E di sicuro tale comportamento non rafforza i ceti popolari.

In questi ultimi decenni il movimento operaio e i comunisti hanno perduto un’importante “casamatta” (altro concetto gramsciano): quella teorico-ideologica.
Il disorientamento, la confusione, le divisioni che regnano nella sinistra nostrana e tra i comunisti, e quindi l’annullamento politico, ne sono una conseguenza.
Forse è proprio dal ricostruire la “casamatta” teorico-ideologica che occorre ripartire.