Qualunque discorso serio, e non propagandistico, sulle
prospettive di governo nell’Italia di oggi –e quindi sul vero senso di queste
elezioni politiche- non può prescindere dalla considerazione su quanti margini
di autonomia effettiva goda oggi il governo di un paese dell’UE, e
specificamente della zona-euro.
Oggi, infatti, un governo può decidere, in modo autonomo,
su numerose questioni. Ma soltanto su quelle secondarie. Per nessun
motivo può mettere in discussione gli indirizzi generali delle politiche
economiche. Queste sono decise da organismi potentissimi e non eleggibili dai
cittadini, quali la Commissione Europea e la BCE (Banca Centrale Europea), le
quali sono strettamente legati alle grandi banche e alle multinazionali.
I trattati europei, il fiscal compact, i vincoli di
bilancio sono stati decisi una volta per tutte e nessun governo può metterli in
discussione (come ha ampiamente dimostrato il caso-Tsipras; ma questo vale
anche per i paesi più “forti”).
Dunque tagli (ulteriori) alla sanità, alla scuola, alla
cultura, alle pensioni e a tutti i servizi, ecc. non sono a discrezione dei
governi democraticamente eletti. Sono imposti obbligatoriamente. Punto e basta.
La scusa è sempre quella del debito pubblico (scusa che
naturalmente viene meno quando si tratta di aumentare le inutili spese militari
o di salvare le banche, cioè i privati che falliscono).
Tale indirizzo economico non verrà messo in discussione
né dal PD, né dal Centro-destra. Non lo farà Salvini, né tantomeno il M5S.
A questo punto non pochi si domanderanno a che cosa serva
andare a votare, visto che le cose più importanti sono già state stabilite in
partenza.
A mio avviso votare serve, eccome (anche se non basta;
occorre anche lottare).
Certo, non serve mica per ottenere un governo che cambi
radicalmente indirizzo e che persegua finalmente i nostri interessi. Quello
–almeno nella situazione attuale- ce lo scordiamo.
L’unico obiettivo importante che oggi si può e si deve raggiungere
è quello di costruire e rafforzare una seria OPPOSIZIONE.
Nell’Italia di oggi non è possibile altro. I rapporti di
forza sono troppo squilibrati in favore del grande capitale finanziario.
L’unico modo per iniziare a creare un minimo di tutela per i ceti popolari è
quello di costruire una seria opposizione.
Ma quale opposizione? Perché c’è opposizione e
opposizione.
Permettetemi una metafora: se una persona, magari armata,
ti aggredisce per rapinarti dei tuoi averi, tu, certo, la puoi anche criticare
perché non aveva le scarpe lucidate o magari perché il colore della sua
maglietta non si abbinava a quello dei calzini. Ma ovviamente una critica del
genere non avrebbe alcun senso in quel contesto.
Fuor di metafora, l’Italia sta per essere, via via,
sempre più depauperata e privata delle risorse da investire per elementi
fondamentali, quali la sanità, la cultura, i trasporti, la scuola, le pensioni,
ma anche la tutela del territorio e del patrimonio archeologico e tanto altro.
Noi, certo, possiamo anche prendercela con gli immigrati,
come fanno i partiti di destra. Possiamo convincere numerosi italiani che sono
gli extracomunitari che ci prendono le nostre risorse (magari facendo anche
finta di dimenticarci che la legge italiana sull’immigrazione è ancora e sempre
la Bossi-Fini, una legge fortemente di destra).
Ma, così facendo, ci limitiamo a spostare l’attenzione e
l’indignazione popolare su un facile capro espiatorio, senza, però, toccare
l’essenza dei problemi seri che abbiamo nel nostro paese e senza sfiorare
minimamente le vere responsabilità di questi.
D’altronde quelli che oggi se la prendono con gli
immigrati sono gli stessi che negli anni scorsi –al servizio della BCE e
dell’oligarchia finanziaria- hanno contribuito, assieme al PD, a toglierci la
pensione (votando la Riforma Fornero, del Governo Monti) e a condannare la
generazione attuale (e presumibilmente pure quelle future) alla precarietà a
vita, oltre che a tagliare fondi sugli Enti Locali, sugli ospedali, ecc.
Le destre, quindi, a dispetto della loro retorica sulla
difesa degli italiani, in realtà difendono –di fatto- soltanto i ricchi,
spingendo il grosso della popolazione italiana meno benestante a “sfogarsi”
contro gli ultimi arrivati, nella classica guerra tra poveri, la quale contribuisce, in definitiva, a consolidare il potere degli sfruttatori.
Per quanto riguarda il M5S, il minimo che si possa dire è
che la sua opposizione si è concentrata, in questi anni, essenzialmente su
questioni superficiali e secondarie.
Inveire praticamente contro il solo ceto politico (“la
casta”) non aiuta a comprendere i meccanismi di fondo del potere nell’Italia e
nell’Europa di oggi. Tanto più se “i politici” non vengono contestati per il
vero motivo per cui sarebbero da criticare –ossia, per la loro subalternità ai
cosiddetti “poteri forti”- bensì per i loro guadagni (eccessivi, certo, ma del
tutto trascurabili, in termini macroeconomici) o per la loro vera o presunta
“disonestà”.
Su liberi e Uguali mi limito a constatare come i suoi
leaders non solo sono stati, negli anni passati, i protagonisti delle
devastanti politiche liberiste e di austerity, ma non risulta che abbiano fatto
un minimo di autocritica in tal senso. Che questi, poi, vogliano fare la guerra
a Renzi, non posso che considerarlo un regolamento di conti tra di loro.
Inoltre, che senso ha continuare a prospettare ancora un
“centro-sinistra”? Che, anche nel caso fosse possibile riesumarlo, non potrà
che essere all’insegna delle politiche di austerity e di massacro sociale?
In ogni caso, nessuna di queste forze politiche parla, o
dà il giusto risalto, alla vera e propria rapina (non trovo termine più adatto)
che i popoli europei e soprattutto quello italiano, stanno subendo da anni, con
la scusa del debito pubblico. L’enorme spostamento di ricchezza –a cui
assistiamo da anni- dalle tasche dei lavoratori e dei ceti popolari verso le
grandi banche e le multinazionali non sembra veramente preoccupare questi
soggetti.
Anche combattere la colossale evasione fiscale, la quale
contribuisce ad impoverire milioni e milioni di italiani meno ricchi, non
sembra interessarli granché.
Resta Potere al Popolo.
Per come la vedo io, Potere al Popolo rappresenta una
scommessa, una sfida, come viene ripetuto. Ma la sfida non è tanto quella di
raggiungere il quorum del 3% dei voti per entrare al Parlamento.
Cosa sicuramente importante. Ma c’è qualcosa di molto più
importante.
La vera sfida è quella di riuscire ad invertire una
tendenza storica negativa, che data da 30 anni circa: quella della devastazione
e polverizzazione dei comunisti e della “vera” sinistra, ossia, quella che ha a
cuore la difesa dei lavoratori e dei ceti popolari. E di provare a ricomporre
finalmente le varie realtà.
Potere al Popolo, infatti, è costituita da almeno 4 forze
comuniste (Rifondazione, PCI, Sinistra Anticapitalista e Rete dei Comunisti), a
cui si aggiungono una serie di realtà importanti, come “Je so’ Pazzo”,
“Eurostop”, e molto altro ancora. Si tratta di realtà spesso radicate in alcuni
territori e con anni e anni di esperienze di lotta.
E’ in gestazione, quindi, di un primo tentativo di
ricomposizione della ormai decennale diaspora della sinistra, -quella seria-
per provare a costruire un qualcosa di più grande, significativo, e,
soprattutto, di più radicato tra i ceti popolari e maggiormente rappresentativo
degli interessi della maggior parte del popolo, di tutti quelli che faticano ad
arrivare alla fine del mese.
Tutte le componenti di Potere al Popolo partono da una
constatazione palese, quanto basilare, ossia, che al giorno d’oggi non esiste
una forza politica –nell’ambito dei comunisti e della sinistra di classe- che
possa considerarsi autosufficiente (constatazione evidente, ma, ahimè, non
scontata, visto che in giro c’è anche chi, ritenendosi autosufficiente, si
presenta alle elezioni da solo, rifiutando sdegnosamente qualsiasi “compromissione”
con qualunque altra forza politica, anche comunista).
Solo nel confronto e nel lavoro politico congiunto, i
“cocci” possono sperare di ricostruire, col tempo, un ampio fronte popolare e
un partito comunista che non sia testimoniale e marginale.
Non sappiamo se tale sfida avrà successo. Dove per
successo intendo, ripeto, non tanto il risultato elettorale, quanto la messa in
atto, finalmente, di un processo –strategico e presumibilmente di lungo
termine- di ricomposizione dei comunisti e della sinistra di classe.
E, con essa, di ricostruzione, in Italia, di
un’opposizione forte e saldamente legata agli interessi dei ceti popolari.
Si tratta, appunto, di una sfida.
Una sfida che comunque passa anche attraverso il
risultato elettorale.